Disastri politiciI democratici e l’abbraccio mortale del Partito No Pil

Di fronte alla catastrofe dell’Ilva, alcuni esponenti del Pd hanno detto la cosa più intelligente che si possa dire in questi casi: abbiamo fatto un errore. Ma non è stato un errore isolato

DONATO FASANO / AFP

Di fronte alla catastrofe annunciata dell’Ilva – annunciata, per la precisione, da quando una settimana fa l’intera maggioranza ha scelto di seguire il Movimento 5 stelle sulla linea del no allo scudo penale – alcuni esponenti del Pd hanno detto la cosa più intelligente che si possa dire in circostanze simili: abbiamo fatto un errore. Il problema è che non si è trattato di un errore isolato, ma della conseguenza di una precisa strategia. La stessa seguita su reddito di cittadinanza e quota cento, taglio dei parlamentari e decreti sicurezza, prescrizione e manette agli evasori. In pratica, su ogni questione aperta: fare tutto quello che volevano i cinquestelle, come volevano i cinquestelle, quando lo chiedevano i cinquestelle. Considerato che il Movimento 5 stelle è il partito che dal 2018 a oggi ha perso più voti di tutti, totalizzando a ogni tornata elettorale – si trattasse di europee o amministrative – un risultato peggiore della tornata precedente, non può stupire che anche il Pd, fino a quel momento in costante crescita, da quando è partita la strategia del grande abbraccio abbia cominciato a precipitare, nei sondaggi e nelle urne.

La vicenda dell’Ilva ha naturalmente una dimensione e un significato che vanno al di là di tutti gli «errori» precedenti, che andavano peraltro tutti nella stessa direzione. E di conseguenza, sommandosi a quelli, può dare un messaggio all’opinione pubblica ancora più micidiale e definitivo.
Ricapitolando: il fallimento del reddito di cittadinanza è certificato ogni giorno da nuovi dati (da ultimo, due giorni fa, quelli dello Svimez) che si aggiungono — alimentandoli — ai numeri già pessimi dei sondaggi, secondo i quali, tra tutte le misure del governo precedente, il reddito di cittadinanza è la meno gradita e la prima che gli italiani farebbero saltare, dovessero decidere loro dove risparmiare.

Il problema del Pd è che ormai prende voti quasi solo lì, nei centri delle grandi città dove risiede quel ceto medio sempre più riflessivo e sempre meno produttivo che però, per quanto sovradimensionato, non basta a vincere le elezioni

Le campagne No Tav, No Triv e No Vax si sono già spente da sole, e in fondo, prima o dopo, per la stessa ragione: perché un partito di opposizione radicale può benissimo sommare i voti dei più diversi e anche contraddittori movimenti di contestazione locale, senza che l’appoggio a una campagna disturbi più di tanto i sostenitori dell’altra. È del resto il meccanismo fondamentale del populismo, alla base del suo successo anche online, grazie alla possibilità, attraverso l’uso dei dati, di bombardare con estrema precisione determinati segmenti di elettorato con messaggi mirati e praticamente personalizzati, del tutto invisibili agli appartenenti ad altri segmenti, oggetto di apposita e anche opposta propaganda. Un gioco, dicevamo, che può riuscire benissimo dall’opposizione, ma che è assai più complicato condurre dal governo. Perché, banalmente, quando sei al governo non puoi più nasconderti, nemmeno dietro l’algoritmo.

E così, alla fine, il Movimento 5 stelle ha dovuto fare chiarezza su qual era la sua reale scala di priorità, e la semplice verità di questi due anni di furiose battaglie contro i Treni ad alta velocità e contro Autostrade, per i negozi chiusi la domenica e per l’Ilva chiusa e basta, è che il quadro che ne è emerso – il ritratto del partito No Pil – agli elettori non è piaciuto per niente. E come dar loro torto, in un paese inchiodato da decenni a una crescita stentatissima, che il governo precedente ha riportato di nuovo a zero, con un enorme debito pubblico e un drammatico (e decennale) deficit di produttività. Un paese che se ha un problema, come ha mostrato di recente anche il libro di Luca Ricolfi (La società signorile di massa, la Nave di Teseo), è proprio il fatto che la maggioranza della sua popolazione semplicemente non lavora. Vive di rendita, di pensioni, dei risparmi accumulati dai genitori. Ma quanto si può andare avanti così?

Il problema del Pd, da ben prima di accodarsi ai cinquestelle, è che ormai prende voti quasi solo lì, nei centri delle grandi città dove risiede quel ceto medio sempre più riflessivo e sempre meno produttivo che però, per quanto sovradimensionato, non basta a vincere le elezioni.

Proprio per questo il messaggio che viene dal caso Ilva, unito alla scelta di non toccare nessuna delle misure bandiera della politica economica del precedente governo, rischia di portare al supremo paradosso di un partito che, proprio mentre dichiara di volersi spostare a sinistra, espelle da sé anche gli ultimi residui legami con il mondo del lavoro. Il risultato è la decrescita infelice del paese, e prima ancora dell’intera sinistra italiana. Sarebbe dunque il caso di invertire la rotta, per il bene dell’uno e dell’altra, prima che sia troppo tardi.

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