La vita veramenteL’artista ostinato dalla lingua sciolta: Fulminacci è il fiore nel deserto della banalità musicali

Vero nome Filippo Uttinacci, è un giovane cantautore romano. Con la sua musica pop leggera e i suoi testi spiritosi, consacra nel bene e nel male la quotidianità. Sold out in pochi giorni per il suo prossimo concerto che si terrà a Roma il 12 dicembre

Fulminacci/ pagina ufficiale Facebook

Fulminacci, cantautore romano pischello (“non lo sarò per sempre”) scrive pezzi pop leggeri, spiritosi, molto rotondi, che diventano facilmente un’abitudine. Ha cominciato proprio dalla base: simpatico, caruccio, sveglio il giusto, ha dovuto cercare il modo di farsi strada fin su, ancora non proprio dalle parti di Paul McCartney, suo modello umano assoluto, ma comunque nei paraggi. Ha 22 anni e la lingua sciolta che ricorda il veterano a cui è inevitabile paragonarlo: Daniele Silvestri. “Io canto, ma non è che canto proprio” dice nel geniale versetto conclusivo dell’uptempo “Borghese in Borghese”, lo stesso che analizza in modo piuttosto vertiginoso il raffronto tra i normali e gli strani, magari inquadrati in una estrema e sonnolenta periferia della Capitale (“Figuriamoci se nella loro vita c’è spazio / per un problema che non riguardi la Roma o la Lazio / per un disturbo, un dilemma, un disturbo da pazzo / che non ha capo né coda / né braccia, che cazzo”).

L’album di Fulminaccivero nome Filippo Uttinaccis’intitola appropriatamente “La vita veramente”, perché di quello parla, mettendo in fila elucubrazioni su possibili metodi di sopravvivenza di un ragazzo ostinato nell’idea di fare l’artista, nel deserto della banalità. Il disco poco alla volta ha camminato con le sue gambe e il passaparola ha funzionato tra quelli che gli somigliano e che l’hanno riconosciuto, prendendo ad ascoltarlo, vedendo ciò che c’era da vedere, compresa una serie di videoclip divertenti, e portandolo su, dagli abissi della discografia indie fino a galla, tra le figure di cui vale la pena parlare. Qui è arrivato un primo riconoscimento significativo, in tutta la sua tradizionalità: il premio per la migliore opera prima al Tenco 2019, e poi è arrivata l’estate, un tempo propizio perché pezzi come l’ormai popolarissimo “Tommaso” (due milioni e mezzo di clic su Spotify) diventassero un micro-genere, nel repertorio d’ascolti di una nicchia di pubblico che si sta definendo attraverso le sue scelte: Gazzelle, Peyote, Quintale, Canova, Paradiso (con riserva)… e adesso decisamente Fulminacci, tutte alternative credibili ai deliqui trap, per le coscienze ragionatrici di giovani concreti, equilibrati, per lo più universitari sospinti da un’indole positiva.

Del resto lui scrive “Tra un po’ non avrai più vent’anni / e la vita diventa un mestiere” e il bello è che lo scriva adesso, ovvero nel pieno di questo interessante procedimento di ricostruzione di un senso della canzone italiana, dopo il grande freddo. Perché questo canzoniere di ventenni ironici che rifuggono dai grandi temi sta progressivamente conquistando rappresentatività, viene riconosciuto, adottato, rispettato da un pubblico di riferimento che si va allargando. E dunque non c’è da stupirsi che l’imminente concerto romano di Fulminacci nella Capitale, il 12 dicembre allo Spazio Rossellini, sia andato sold out in pochi giorni e che di biglietti ne avrebbe potuto vendere il triplo. Interessante: era da un po’ di tempo che un concerto non diventava l’occasione di una possibile consacrazione, di un salto di qualità, della nascita di un qualcosa.

Ci fosse ancora Lucio Dalla, ci piacerebbe che diventasse suo amico, lo prendesse sotto protezione e gli offrisse un seminario in una sala di registrazione

La sensazione è che la scaletta di quel giorno sarà un favorevole esame per vedere se Fulminacci davvero funziona, se saprà superare l’emozione e cantare le sue storie di stress quotidiano insieme a quello che sta pensando di diventare il suo pubblico. Nel frattempo vale la pena di dare un’occhiata a ciò che stanno facendo i vecchi cantautori, quelli “importanti”, in particolare coloro che nelle ultime stagioni hanno dato vita all’impressionante procedimento del disarmo, chi per stanchezza, Fossati e Guccini, chi perché provati dalla vita, come il romantico Franco Battiato. Se ci badate, però, uno alla volta stanno tornando all’ovile (insomma, alla musica), perché mica se ne può stare lontani, finché campi. Ti puoi stufare, spazientire, deprimere. Ma poi l’abitudine risale, le orecchie si stappano, la chitarra ti guarda.

Ecco: sarebbe bello che presto cominciasse un procedimento di trasmissione, osmosi, di vicinanza, tra i vecchi e i giovani. E’ capitato talvolta in passato, e poi non più. Prendiamo Fulminacci: ha un arsenale notevole e lo dimostra con “La Vita Veramente”. E ha l’energia, quella indispensabile e quella che col passare degli anni si affievolisce. Ci fosse ancora Lucio Dalla, ci piacerebbe che diventasse suo amico, lo prendesse sotto protezione e gli offrisse un seminario in una sala di registrazione. Per quanto ci riguarda, l’invito è ad ascoltare lui e i suoi soci. C’è un mondo nuovo di canzoni che si va componendo e che racconta ciò che ci sta succedendo, dal punto di vista di cantanti intelligenti, attorno ai loro vent’anni. In passato le chiamavano “scuole”. Per adesso, semplificando, ci limitiamo a essere contenti che esistano.

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