Tra il salvataggio di Alitalia, la crisi Ilva, e le sardine in piazza, il governo non parla più del Nord Italia. Quando lo fa, critica il modello Milano perché toglie risorse al resto del Paese o denuncia i ritardi del Mose come se la colpa fosse solo dei veneziani. I viadotti liguri crollano, gli affluenti del Po esondano, le opere pubbliche rimangono bloccate. E il governo invece di dare risposte discutere se attenuare gli effetti della plastic tax o se togliere le tasse sulle auto aziendali. Questa è la tesi di Stefano Parisi, leader di Energie per l’Italia che assieme a + Europa organizza nella Sala consiglio della Città Metropolitana di Milano a Palazzo Isimbardi un evento per rilanciare la questione settentrionale nell’agenda del Paese.
Parisi, il governo si è dimenticato del Nord?
Completamente. Il governo gialloverde prima e quello giallorosso ora, stanno ignorando le esigenze del Nord che ha bisogno di meno burocrazia, meno tasse e più infrastrutture. Deve aumentare la capacità competitiva delle nostre imprese verso i mercati internazionali e bisogna attrarre investimenti. Bisogna rilanciare la vera locomotiva del Paese.
Anche il Sud non deve essere dimenticato.
Chiedere di affrontare i problemi del Nord Italia vuol dire occuparsi del rilancio del Paese. Oggi parleremo molto anche del Sud che non può vivere solo di politiche assistenziali come il reddito di cittadinanza e quota 100. Per esempio si possono fare subito tre cose. Primo, togliere tutti gli incentivi e rendere tutto il Mezzogiorno una zona a zero tasse. Per dieci anni chi investe nel sud non paga imposte, l’unico modo per attrarre investimenti. Secondo, usare i fondi europei per le infrastrutture, ma veramente. Meno campi da calcio e più autostrade per collegare in modo decente Palermo e Catania o usare i finanziamenti europei per togliere i treni a carbone e collegare il Sud con il resto d’Italia alla stessa velocità con cui Milano è collegata a Roma.
E la terza cosa da fare?
Abolire i contratti nazionali di lavoro che ormai sono leggerissimi e fare i contratti aziendali o territoriali decentrati in modo tale che ci siano flessibilità che portino più investimenti nel Mezzogiorno. La differenza salariale è la cosa più importante. Per quale motivo il dipendente del Comune di Catanzaro guadagna quanto un dipendente del Comune di Milano. Il costo della vita è completamente diverso. Bisogna togliere al Sud l’alibi dell’assistenzialismo. Ma il governo ha una visione statalista che vede nell’Iri e nella nazionalizzazione la soluzione a tutti i problemi. Invece di rilanciare l’economia italiana il governo si perde nel bicchier d’acqua di Alitalia.
Ecco parliamo di Alitalia, come siamo arrivati in questa situazione?
È il risultato di errori fatti dai governi negli ultimi 20 anni. Cosa possiamo pretendere da una classe dirigente che non è riuscita mai a fare un anno di equilibrio di bilancio? Non dico di utile, ma di equilibrio almeno. Il centro destra e il centro sinistra hanno salvato più volte Alitalia, un’azienda che andava chiusa dieci anni fa. La colpa è di tutti. Da Berlusconi, il regista della cordata guidata da Colaninno che lasciò allo Stato un bad company con miliardi di debito da far pagare ai contribuenti. O Gentiloni che ha concesso un prestito di 900 milioni per tenerla in piedi quando il sindacato disse no all’unico piano di salvataggio che c’era.
Anche questo governo non è riuscito a trovare un compratore. Patuanelli dice che è fallito il mercato.
No, non è fallito il mercato, è fallita Alitalia. Non può reggere con quel modello di business e quella struttura dei costi. Ma il governo giallo rosso e giallo verde sono entrambi statalisti. Pensano soltanto a quanti altri soldi pubblici dobbiamo buttarci dentro.
Non c’è proprio alcuna differenza?
Hanno toni diversi sull’Europa e l’immigrazione e posizioni diverse su grandi temi civili, ma le ricette economiche sono le stesse: più spesa pubblica, più deficit e il desiderio di rendere Cassa depositi e prestiti la nuova Iri. Su questo tema Salvini, Zingaretti e Di Maio sono uguali. Solo che Salvini vuole fare più deficit per abbassare le tasse alle imprese, mentre i dem per orientare i comportamenti degli italiani sulla green economy. Ma questo toglie ulteriori risorse all’esigenze del Paese.
Che cosa fareste voi di Energie per l’Italia e + Europa al loro posto?
Partirei da tre cose: tagliare davvero la spesa pubblica, zero deficit e fare un grande investimento di trasformazione digitale nella Pubblica Amministrazione, rendendo interoperabili tutte le sue banche dati per combattere la lotta all’evasione. Ma anche rendere sistemi di controllo più efficienti. Oggi abbiamo una grandissima occasione: 500 mila dipendenti pubblici vanno in pensione. La ministra della pubblica amministrazione sostiene sia una grande opportunità per sbloccare il turnover e assumere. Sarebbe un errore. Bisognerebbe invece riorganizzazione la digitalizzazione dell’amministrazione pubblica e assumere solo 100 mila giovani tra ingegneri informatici e analisti. L’efficienza consentirebbe di ridurre la spesa pubblica per poter riorganizzare il fisco e abbassare le tasse.
I soldi sono pochi. Abbassare le tasse a chi?
Bisogna impostare un percorso certo, di cinque anni in cui il governo abbassa in modo importante le tasse sugli investimenti e sugli immobli. Un Paese non cresce se non riparte il settore dell’edilizia. E la rigenerazione urbana è la vera strada per affrontare il problema dell’ambiente e della qualità dell’aria. Tutto il resto sono chiacchiere. La cosa drammatica però è che non c’è nessun partito in questo momento contro la spesa pubblica. Renzi chiede di sforare il deficit al 2,9%, Salvini voleva fare una manovra arrivando al 3,2%. Nessuno in questo Paese pensa ai giovani e ad abbattere il debito pubblico.
Ho parlato tanto con Calenda e penso che partiti con leader muscolari televisivi non servano. Ce ne sono fin troppi. Bisogna costruire un soggetto plurale che metta insieme liberali, popolari e riformisti
Neanche Calenda? Anche lui si oppone all’alleanza con il Movimento Cinque Stelle o la Lega. Perché non vi alleate insieme?
Perché Calenda ha voluto fare un partito personale, costola del Partito democratico. Ho parlato tanto con lui e penso che partiti con leader muscolari televisivi non servano. Ce ne sono fin troppi. Bisogna costruire un soggetto plurale che metta insieme liberali, popolari e riformisti. Unire culture diverse per un grande progetto di ricostruzione post populista dell’area liberale e popolare. Calenda ha voluto fare da sé. In bocca al lupo.Quindi Energie per l’Italia e +Europa stanno costruendo un nuovo partito?
No, stiamo cercando di provare a vedere se abbiamo delle idee in comune. Bisogna partire dal confronto sui temi. Non si possono unire a freddo quattro sigle e quattro leader come voleva fare Calenda. Il lavoro di ricostruzione è più difficile perché i liberali sono stati sconfitti. Per recuperare uno spazio politico è necessario ripartire dalle soluzioni ai problemi e dalla capacità di comunicare in modo popolare le nostre idee. Questo è l’inizio di un confronto che speriamo possa portare alla costituzione di una più ampia area politica che un domani sia molto più grande di una sommetta di partitini.Però se il Parlamento approverà una legge elettorale proporzionale ne nasceranno altri di partitini.
Energie per l’Italia tre anni fa è nata proprio con la speranza del proporzionale, perché credo che questo Paese abbia bisogno di tornare a votare “per” qualcuno e non contro gli altri. Oggi non esiste una forza di centro importante perché le estreme dominano nel nostro sistema così maggioritario. In un sistema proporzionale una futura forza di centro dovrà avere l’ambizione di essere il più forte possibile per poter poter condizionare la sinistra o la destra al governo. E poi si vedrà. La politica è l’arte del compromesso. Ma più sarà votato questo progetto, più potrà attuare il suo programma.Potrebbe farne parte anche Italia Viva di Matteo Renzi?
Renzi ha dei pro e dei contro. I pro sono che ha rotto col Pd e che dice alcune cose condivisibili su tasse e giustizia, anche se solo da due giorni, prima non ne parlava. I contro sono che è al governo con il Movimento Cinque Stelle e un anno fa nel libro che scrisse in vista della campagna elettorale del 2018, disse che voleva fare il 2,9% di deficit. Non è uno che pensa a tagliare la spesa pubblica, ed è stato lui a licenziare Cottarelli dal ruolo di commissario alla spending review. Non basta accogliere la Polverini e far capire alla Carfagna che le porte sono aperte per dire che lui è il futuro Berlusconi. E poi bisognerebbe cancellare l’Autorità nazionale anti corruzione che lui ha creato.Addirittura.
Lo dico da tre anni: non si combatte la corruzione con l’Anac. Serve controllo di gestione, contabilità economica e la capacità di analisi degli effetti economici degli investimenti pubblici. Solo così si può togliere l’acqua nella quale cresce la corruzione. L’Anac ha bloccato quel poco di capacità di investimenti che aveva il Paese. Ha messo sotto ricatto tutte le amministrazioni pubbliche. I sistemi di controllo nelle aziende affiancano il dirigente decisore, mentre nell’amministrazione pubblica lo aspettano al varco. E quindi il decisore non decide perché ha paura. L’Anac è un mostro giuridico che non solo controlla ma fa anche le norme. Quindi può decidere di volta in volta che norme fare. Sono tutti sotto ricatto, tutti potenzialmente corrotti, tutti fermi. Non servono i giuristi o i magistrati per combattere la corruzione. Hanno fatto danni anche con l’Ilva.Il sistema giudiziario ha sostituito la debole politica
Lo scudo penale ai dirigenti Ilva però l’ha tolto il Governo.
Sì, ma il problema è a monte. Ed è pura responsabilità del nostro sistema giudiziario. Perché nel 2012 quando si aprì l’indagine, la Procura sequestrò i magazzini, rendendo non operativa l’azienda e uccidendola dal punto di vista economico con provvedimenti cautelari assolutamente ingiustificabili rispetto all’indagine. Non ho visto ancora condanne, soltanto qualche patteggiamento. Il supposto reato di danno ambientale era lì, non c’era bisogno di sequestrare i magazzini. Così hanno messo in ginocchio l’Ilva che non poteva vendere più ciò che produceva. L’hanno resa così debole da essere comprata dal primo arrivato. Il sistema giudiziario ha ormai sostituito la debole politica. Dal fine vita alla politica industriale, la linea la dettano i giudici. Ma la colpa non è loro, è dei politici che abbiamo avuto fino a oggi.Anche Renzi ha attaccato i giudici.
Renzi se ne accorge adesso. Anche lui è stato messo sotto la pressione mediatico giudiziaria e ha ceduto ulteriore terreno ai magistrati. In questi anni è stata messa sotto ricatto la politica per colpa della spinta giustizialista dei Cinque Stelle che hanno dettato l’agenda. E i politici che si sono allineati. I grillini vogliono smontare il sistema dei partiti e non a caso sono gli unici a non essersi iscritti nel registro dei partiti per eludere le norme. Anche Renzi e il Pd si sono fatti trascinare con il taglio demagogico del numero dei parlamentari. Oggi un politico è considerato un potenziale corrotto quando ha a che fare con le banche o con una partecipazione o una società e quindi i sistemi di controllo su di me sono dieci volte più imponenti, anche sui miei figli.Quale sarebbe il primo punto della sua riforma della giustizia?
Abolire l’obbligatorietà dell’azione penale. O noi orientiamo l’azione della magistratura sulle vere patologie del Paese o vedremo magistrati star continuare a inseguire processi spot come l’accordo Stato-Mafia. I giudici devono occuparsi di demolire il sistema criminaleche c’è nel Mezzogiorno e nel resto d’Italia. Il Parlamento deve dare un indirizzo perché da soli non lo faranno mai e continueranno a fare inchieste che portano fama e fanno finire sui giornali.Lotta contro l’invasione di campo della magistratura, meno tasse, valori liberali. Sembra di sentire un leader di Forza Italia. Cosa non ha funzionato con Berlusconi?
Forza Italia diceva di essere un partito liberale, ma non si è mai comportata così. Ha preso in giro gli elettori e ormai è sparita. Il rapporto si è rotto nel novembre del 2016 c’era una manifestazione a Firenze dove andarono Toti e Meloni per lanciare la campagna di Salvini premier. Dissi che quello non era il centrodestra che volevamo noi. Dopo tre giorni Berlusconi fece una dichiarazione dicendo che non ero in grado di svolgere la funzione che lui aveva in mente per me. Per fortuna non sono mai entrato in Forza Italia. Non mi andava di essere assunto e poi licenziato da Berlusconi che non ha mai voluto rilanciare Forza Italia e renderla contendibile. Finalmente ha trovato il suo delfino: Salvini. Anche se l’ha subita. Non esiste più il centro destra ma la destra destra.