Polemiche gratuiteLa verità, vi prego, sulla plastica (e sulla plastic tax)

Tra plastofili che prospettano stangate dai 138 ai 165 euro a famiglia e plastofobi che vedono nei polimeri il male assoluto, su imballaggi e monouso c’è un magma di preconcetti, certezze e dubbi etici. Ma con raziocinio, il tema si può regolamentare

Photo by Jonathan Chng on Unsplash

To be free or not to be free? La plastic tax su cui si sta dibattendo ha diverse chiavi di lettura. Perché colpire proprio la plastica? Qual è il vero obiettivo? Quale industria di materie alternative c’è dietro? Quale Paese? È davvero possibile pensare a riciclo, riuso, riutilizzo della plastica, al punto da liberarne il mondo, senza però rinunciarvi? Si sa, dietro all’imposta su imballaggi e prodotti monouso, c’è un magma di preconcetti, certezze, dubbi etici, eccetera. Tuttavia, prima di affrontare questa matassa di contraddizioni, è utile cercare di superare la dialettica sterile tra plastofili e plastofobi, per capire di cosa si sta parlando. Molto banalmente: cos’è la plastica?

È innegabile infatti che ci sia un approccio irrazionale al problema. Isole di plastica che galleggiano sugli oceani (vero), cumuli di rifiuti non degradabili che soffocano i fiumi africani e asiatici (vero), inceneritori che avvelenano l’aria (un po’ meno vero). L’antitesi a questa Armageddon è doppia. C’è chi ricorda Giulio Natta, con il suo Nobel per la chimica, e il Carosello di Gino Bramieri sul Moplen. Ma andiamo! Di fronte a un quadro tanto drammatico, tracciato dai plastofobi, non è possibile rispondere con evocazioni tanto naif. E men che meno hanno speranza di riuscita coloro che, vedi Federconsumatori e Codacons, prevedono stangate che andrebbero dai 138 ai 165 euro a famiglia, qualora i produttori decidessero di compensare gli aumenti fiscali con i prezzi al consumo. 138-165 euro: più o meno due mensilità degli 80 euro renziani. Circa un terzo di una mensilità di reddito di cittadinanza. Ma le minacce di bombe sociali, si sa, sono come Pierino e il lupo.

No, qui bisogna essere lucidi. Si potrebbe dire per esempio che le imprese dell’industria della trasformazione plastica in Italia sono circa 11mila, che fatturano più o meno 30 miliardi l’anno e che danno lavoro a 110mila persone. Una filiera che, da sola, rappresenta un quinto dell’intero settore europeo. I numeri sono forniti dalla Federazione Gomma Plastica e fanno un certo effetto. O quanto meno dovrebbero farlo. Basta una minima conoscenza delle questioni economiche infatti, per rendersi conto che si sta parlando di tanta roba. Gente che produce, investe, esporta. Altra che lavora, fatica e quindi dà da mangiare e fa studiare i propri figli. Insomma, non bisogna essere Draghi per capire tutto questo.

L’airbag della macchina di mio figlio è in plastica. Pure il catetere del nonno! Già, non c’avevo pensato. Vuoi vedere che tutta questa storia della plastic free va un attimo ridimensionata?

Tuttavia quant’è efficace il fact checking in un Paese che non si sta facendo alcun problema a chiudere l’Ilva? I fischi a Balotelli, i parlamentari che non si alzano di fronte alla signora Segre, i blocchi alla Tav e all’ampliamento di Fiumicino. Come scriveva questo giornale giorni fa, l’Italia sta attraversando una fase storica tragicomica, in cui si è tutti più o meno consci dei problemi. Salvo che nessuno si prenda la briga di affrontarli. Bene, in un contesto del genere, si è davvero sicuri dell’efficacia dei numeri di cui sopra?

Ideologia, eccitazione collettiva e disinteresse sono i pilastri di un fil rouge metodologico che accomuna le criticità appena elencate, plastica inclusa, come anche altre. Risposte semplici per problemi complessi.

E allora facciamola semplice in un altro modo. Tempo fa, sempre Federazione Gomma Plastica ha diffuso una bella infografica che spiegava come la plastica fosse parte quotidiana della nostra vita. Ma in maniera virtuosa e insostituibile. Lasciamo perdere i numeri, che poi si ricasca nel giochino di prima. Per quanto non farebbe male riflettere sul fatto che con le confezioni in plastica si abbatte del 50% lo spreco alimentare, oppure che l’utilizzo delle parti in plastica su un’automobile, in sostituzione dei materiali più pesanti, fa risparmiare al veicolo mediamente 750 litri di carburante nel suo intero ciclo vita. No, facciamo finta che questi dati non abbiamo peso. Concentriamoci piuttosto sulle spiegazioni e sugli esempi a loro supporto. Il casco per la moto è fatto in plastica. Le sacche trasfusionali pure. Ci abbiamo mai pensato?

Il blocco ideologico è un muro di gomma, che non si scalfisce con ragionamenti troppo elevati. La semplicità tratteggia l’ultimo miglio di un ragionamento ideologico. Per questo la controparte si deve adeguare. Serve quindi un’operazione di consapevolezza, di ritorno alla realtà delle cose. Forse ci vuole del tempo. Non è neanche detto che ci si riesca. Non essere ideologici significa non saper nemmeno dispensare certezze. Però è la strada più ragionevole. C’è un problema. C’è chi lo affronta con l’accetta. Nulla ci vieta di fare altrettanto. Ben sapendo che A) la nostra accetta è più affilata; B) siamo anche un filo più esperti. L’airbag della macchina di mio figlio è in plastica. Pure il catetere del nonno! Già, non c’avevo pensato. Vuoi vedere che tutta questa storia della plastic free va un attimo ridimensionata?

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