Poche volte si è sentito di più il distacco tra realtà e fiction, o tra rimodulazione cinematografica e cronaca dei fatti. In Inghilterra, a distanza di poche ore, è uscita prima l’intervista della Bbc al principe Andrew, terzogenito della Regina, sui suoi rappori con il finanziere pedofilo Jeffrey Epstein. E poi , subito dopo, la nuova stagione della serie tv The Crown, in cui viene messa in scena, con ritmi cadenzati e atmosfere ovattate, la vita e il regno di Elisabetta II. Cronaca e finzione nello stesso momento: non lo si poteva immaginare, ma è stato il cortocircuito perfetto.
Da un lato, sono arrivate le rivelazioni – o meglio, le gaffe e le contraddizioni – del principe, ottavo nella linea ereditaria del trono, che hanno scatenato un putiferio. Nel corso dell’intervista, quasi senza accorgersi della gravità della sua posizione, il principe ha cercato senza successo di ridimensionare la sua frequentazione con Epstein. «Non eravamo così amici», ha detto. Ammette di averlo rivisto nel 2010, quando l’americano era già stato arrestato per induzione alla prostituzione femminile, ma solo per «dirgli in faccia che volevo chiudere la nostra amicizia».
Sul caso più scottante, cioè quello di Virginia Roberts (ora Giuffre), la ragazza che avrebbe avuto, ancora minorenne, tre rapporti sessuali con lui, ha respinto ogni accusa. Tutto falso, ha detto. Anche la fotografia che li mostra insieme, con lui che le cinge la vita con il braccio: «L’avranno manipolata». Anche le notazioni – disgustose – sul fatto che lui, in discoteca, sudasse molto: «Non è possibile: uno shock conseguente alla guerra nelle Falkland mi impedisce di sudare», risponde, e sembra una presa in giro. E infine, l’alibi di ferro per una delle serate incriminate: «Ero andato a Woking con una delle mie figlie a una festa a Pizza Express», cioè in una catena di fast food. Una scelta piuttosto insolita per un membro della famiglia reale, concede, «ma proprio per questo la ricordo con una certa chiarezza».
Risultato? Un danno d’immagine enorme. In tanti nel suo entourage avevano insistito perché l’intervista non venisse concessa. Il principe, dicevano, non era in grado di reggere alle domande della giornalista Emily Maitlis e non avrebbe saputo difendere una posizione già compromessa. Avevano ragione, ma la consolazione è più che magra: per la credibilità della famiglia reale quello di sabato sera è stato l’ennesimo duro colpo, che va ad aggiungersi ai trent’anni di scandali, errori, incomprensioni, strappi alle regole, pettegolezzi e, come tutti sanno, tragedie.
Il disastro del principe Andrew e la storia della giovane regina sono, di fatto, narrazioni contemporanee. Se sovrapposte, sembrano combinare una sorta di ritorno al futuro
Questa la realtà. Poi viene la finzione, cioè la terza stagione di The Crown. In scena ci sono gli stessi personaggi (la famiglia reale) ma in un’altra epoca, in un altro contesto e, verrebbe da pensare, in un’altra dimensione.
Il salto all’indietro è anche una mutazione, quasi improvvisa, di stile e di temi. La serie copre gli anni che vanno dal 1964 al 1977. Le vicende, anche queste scritte e sceneggiate da Peter Morgan, vero e proprio cantore delle vite di uomini illustri del nostro tempo, ruotano intorno a una regina Elisabetta che, con una certa riluttanza, assume una sempre maggiore coscienza del proprio ruolo, inventando un modo personale di gestione del potere. Il dramma, che si gioca in una serie di conflitti interiori, intenzioni non realizzate e frustrazioni crescenti, è messo in scena dal premio Oscar Olivia Colman, che subentra alla talentuosa (ma troppo giovane per la parte) Claire Foy. Al suo fianco non si troverà più Matt Smith come principe Filippo, ma Tobias Menzies, che ha il compito di donare al personaggio profondità e sfumature. Diventa preponderante anche il ruolo della sorella Margaret (Helena Bonham Carter), che assume contorni quasi sapienziali e, intorno, cominciano a svilupparsi le storie di Carlo e di Camilla Parker Bowles, filone che – come sa chiunque – diventerà cruciale.
Rarefatta e contenuta, la tensione reale (e regale) emerge per accenni, allusioni, incertezze. Non mancano le scene dolorose (la frana di Aberfan, disgrazia nazionale) e i riferimenti storici più marcati (l’allunaggio visto con gli occhi del principe Filippo), ma il tutto si gioca comunque in un’atmosfera più lenta, placida, riflessiva. Più british.
E allora, verrebbe da chiedersi: quale delle due è la vera monarchia britannica? Quella del mito o quella dello scandalo? Uscite a distanza di poche ore, il disastro del principe Andrew e la storia della giovane regina sono, di fatto, narrazioni contemporanee. Se sovrapposte, sembrano combinare una sorta di ritorno al futuro.
È tutto nella natura di The Crown, una serie che di fatto non segue le regole delle serie tv: nessuno la guarda per sapere come andrà a finire la storia. Tutti la seguono per vedere come viene rappesentata. Nell’epoca dei selfie, è l’equivalente dell’attesa necessaria per lo sviluppo di un rullino fotografico. Solo a distanza di giorni, anche settimane, si potrà vedere come si era al momento dello scatto. E riconoscersi.
E allora è possibile, nonostante tutto, che in futuro le cose dell’oggi, saranno viste in maniera diversa. Le vicende dello scandalo della pizzeria, che tanto fanno patire il Guardian per la frustrazione di dover aspettare, per vederle rappresentate, «almeno dieci anni», magari saranno dimenticate. Forse (è lecito esagerare?) non ci sarà nemmeno una monarchia in Inghilterra. E allora riguardare questi episodi, domani come oggi, sarà soltanto una fuga in un passato favoloso.