Il Codacons si impiccia di temi che non gli competono, è la sintesi di una sentenza del Tar del Lazio, il tribunale amministrativo regionale che per competenza territoriale si occupa più o meno di tutto. Il giudizio del Tar nasce dall’iniziativa con cui il Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, questo il significato della sigla Codacons, ha fatto ricorso presso la Corte dei Conti contro la decisione del governo Conte di sdoppiare il Ministero dell’Istruzione, per imporre al presidente Mattarella di non firmare le nomine di Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi. «Lo sdoppiamento del Ministero della pubblica istruzione comporterà costi ingenti per i cittadini, poiché porterà ad un trasferimento di compiti e personale, con un aumento non indifferente delle spese in capo alla collettività», spiega il presidente Carlo Rienzi. Da cui «l’esposto alla Corte dei conti affinché apra una indagine per verificare eventuali danni erariali».
In effetti, sul punto magari il Codacons ha ragione. Diciamo di più: nato nel 1986 come “Associazione di Associazioni”, leader quell’avvocato Carlo Rienzi che si candidò alle ultime amministrative a sindaco di Roma prendendo lo 0,21%, il Codacons mette il becco in talmente tante cose che risulta oggettivamente impossibile che in almeno qualcuna non ci azzecchi. Semplicemente spulciando a caso le agenzie scopriamo che mentre faceva esposto alla Corte dei Conti contro la separazione del ministero dell’Università e della Ricerca da quello dell’Istruzione il Codacons formulava anche una jettatoria previsione sulla partenza dei saldi invernali dal 2 gennaio: «Saranno un flop totale». E chiedeva ai sindaci di vietare i botti di Capodanno. E minacciava cause legali contro la Rai se davvero avesse affidato Sanremo a Chiara Ferragni, indicata come cattivo esempio per l’esibizione del figlio sui social. E se la prendeva col Fatto quotidiano per aver accusato la stessa Codacons di aver attaccato la Ferragni «dimenticando le vallette precedenti». E rendeva noto che dal caso Cirio agli scandali Parmalat, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, fino all’ultimo della Banca Popolare di Bari, i crac bancari e finanziari degli ultimi anni avrebbero danneggiato 1,3 milioni di risparmiatori italiani, con una perdita media di 34.427 euro a risparmiatore. E chiedeva le dimissioni in massa di tutti i consiglieri comunali di Catanzaro. E denunciava un libro per bambini sui demoni.
Questo soltanto nelle ultime settimane. Tornando indietro nel tempo, il Codacons ha denunciato Corto Maltese come istigatore “subliminale” al vizio del fumo presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni e la Procura della Repubblica di Roma. E ha presentato un esposto contro la decisione dell’allora presidente del Senato Piero Grasso di bloccare la proiezione allo stesso Senato di Vexxed: film contro i vaccini di cui è regista quell’Andrew Wakefield che è stato condannato e radiato dal Medical Register del Regno Unito per aver pubblicato uno studio che metteva in relazione con l’autismo la vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia e che è stato giudicato falso perché completamente privo di evidenze scientifiche da tutti gli studiosi, e addirittura corroborato da dati fasulli. E ha pure minacciato «una raffica di denunce» contro piani di «vaccinazioni di massa». E ha fatto un esposto per chiedere il «divieto totale di diffusione dell’App Pokémon GO sul territorio italiano». Secondo Rienzi, infatti, «giochi di questo tipo rappresentano un pericolo concreto perché vengono utilizzati in qualsiasi momento della giornata e distolgono i giocatori dalla dovuta attenzione verso la strada e l’ambiente circostante».
Il Codacons ha anche denunciato alla Corte dei Conti la passerella realizzata da Christo sul Lago d’Iseo, per verificare «se ci fosse stato o no spreco di denaro pubblico». Chiese la chiusura e il «licenziamento in tronco degli autori» del Grande Fratello Vip, per «sessismo e omofobia». Ha denunciato Ballando con le stelle, quando Anna Oxa si ruppe una gamba. Ai Mondiali del 2002, a nome dei tifosi italiani chiese i danni al guardalinee malese Awang Hamat, che a Italia-Messico aveva annuato un gol di Inzaghi per un fuorigioco inesistente. E nel 2015 è sceso pure in campo per la bambina siciliana che come celebrazione del suo nono compleanno aveva chiesto una torta con l’effige di Little Pony, che un pasticcere evidentemente più versato in musica leggera che in cartoni animati aveva invece realizzato con Little Tony.
Insomma, nella variegata galassia del consumierismo italiano, forse solo la Adusbef di Elio Lannutti si agita altrettanto. A favore di Rienzi possiamo attestare che non solo non elogia i Protocolli dei Savi di Sion come il senatore Cinque Stelle candidato alla Commissione sulle Banche, ma che anzi i grillini non li può proprio vedere. A parte essersi candidato contro la Raggi, ha avuto il coraggio di sostenere che le Olimpiadi di Roma potevano essere fatte senza eccessivi aggravi semplicemente grazie agli sponsor, presentando un sondaggio da cui risultava che i cittadini le volevano. Ha chiesto il commissariamento del Comune di Roma se la Raggi tardava ancora a fare la giunta. Ed è tornato a fare causa al Comune di Roma per lesioni, dopo essere caduto a causa di una buca.
Però, lo ripetiamo, si impiccia in troppe cose. E non è un nostro opinabile giudizio, ma la semplice traduzione in giornalistico di una sentenza del Tar del Lazio. Quando nel 2010 ha respinto un ricorso Codacons contro l’ampliamento del novero dei potenziali fruitori dei voli di Stato. Si legge nella sentenza 7459 che l’iscrizione del Codacons nel registro delle associazioni rappresentative a livello nazionale riguarda esclusivamente «la tutela dei consumatori e degli utenti in ordine ai fondamentali diritti previsti dal testo normativo in questione». Non è una «legittimazione ad agire in giudizio così vasta da ricomprendervi qualsiasi attività di tipo pubblicistico che si riverberi economicamente in modo diretto o indiretto sui cittadini non in quanto consumatori e/o utenti, ma in quanto contribuenti».