Molto bene in Gran Bretagna the firm, la ditta, l’Old Labour che avrebbe dovuto cantarle chiare al New Labour liberal-democratico e post socialista di Tony Blair ancor più che agli avversari nazional-sovranisti, e anche un poco buffoni, di Boris Johnson.
Davvero un grande successo per il ritorno al passato che finalmente avrebbe dovuto riconciliare la sinistra alle tradizionali radici sindacali e operaie strappate dall’odiato neoliberismo, ma che nel frattempo ha preferito non prendere posizione su una bazzecola chiamata Brexit né sulla quisquilia dell’antisemitismo per cercare di non scontentare nessuno, finendo però per scontentare tutti al punto da subire, ieri notte, la più catastrofica sconfitta della sinistra inglese in quasi un secolo.
Sounds familiar? Se vi sembra di averla già sentita è perché siamo nella stessa situazione in Italia, con un Partito Democratico nato da un’intuizione di Walter Veltroni a vocazione maggioritaria per allargarsi alla tradizione cattolica e liberal democratica e uscire dalle secche della sinistra post comunista, ma che in odio a Matteo Renzi, il Rignano Spice della Terza Via di Tony Blair e Bill Clinton, che l’aveva condotto al 40 per cento due volte, alle Europee e al referendum costituzionale, è tornato sotto il saldo controllo della ditta Pds e Ds per trasformarsi, a essere generosi, in un’agenzia interinale che fornisce professionisti di buona qualità a governi più o meno presentabili.
Che cosa sia davvero il Pd di Nicola Zingaretti non è dato saperlo. Il progetto di un’alleanza strategica con la Casaleggio Associati è di straziante comicità. Le Cronache di Narni sono surreali. Il silenzio sul candidato a presiedere la Commissione Banche, forte dell’expertise di aver diffuso i Protocolli dei Savi di Sion quale prontuario per combattere lo strapotere dei banchieri ebrei, è sconcertante. L’apatia nell’accettare qualsiasi paturnia di Luigi Di Maio è grottesca. Gli appelli alla saggezza di Beppe Grillo e l’evocazione della leadership di Giuseppe Conte, vabbè.
Questa sinistra liberale e democratica ha i suoi problemi, a cominciare dalla devozione fideistica nei confronti dell’innovazione e della globalizzazione, ma l’alternativa a una ricetta di successo degli anni Novanta non può essere quella degli anni Ottanta
Il Pd di Nicola Zingaretti non è nemmeno così orgogliosamente socialista come il Labour di Jeremy Corbyn o i Democratici di Bernie Sanders o i Millennial Socialists di Alexandria Ocasio Cortez: vorrebbe esserlo ma se ne vergogna, si limita a non contestare il reddito di cittadinanza e la pensione anticipata a quota 100 e ad accettare per inerzia la chiusura dell’Ilva, l’aumento delle tasse e la fine della prescrizione orchestrata da Fofò Dj e Marco Travaglio, mentre quando si spinge oltre, con il ministro Peppe Provenzano, rimastica tesine di sociologi d’area Old Labour per criticare Milano perché non restituisce. Soprattutto, il Pd è un partito dipendente dagli umori del primo pubblico ministero che alza la voce, quando non pensa di candidarlo, e dai loro megafoni mediatici.
Il Pd sembra non accorgersi che affidarsi ai giudici è la strada maestra per consegnarsi ai Cinque stelle, che prendere tempo non paga, che imitare Corbyn porta alla catastrofe, magari dovrebbe riconsiderare il rigetto antropologico nei confronti della Terza Via liberal-progressista che è l’unica strada ad aver avuto consenso di qua e di là dell’Atlantico e ad aver fatto crescere e progredire la società contemporanea.
Questa sinistra liberale e democratica ha i suoi problemi, a cominciare dalla devozione fideistica nei confronti dell’innovazione e della globalizzazione, ma l’alternativa a una ricetta di successo degli anni Novanta non può essere quella degli anni Ottanta, superata già trent’anni fa, né la scorciatoia giudiziaria al socialismo, semmai un adeguamento ai tempi e alle nuove esigenze sociali dell’unico approccio che ha funzionato. Abbattuti i muri della libera circolazione delle idee, dei capitali e delle persone semplicemente non si può tornare indietro.
Proprio ieri, mentre Corbyn guidava la vecchia sinistra a una sconfitta landslide, a valanga, Renzi ha pronunciato al Senato uno dei discorsi più potenti degli ultimi anni in difesa della politica, dei partiti e delle istituzioni democratiche e contro le ingerenze della magistratura che fa indagini a strascico, che intimidisce i privati cittadini che contribuiscono legalmente e in modo trasparente alle attività pubbliche della Repubblica e che pretende di guidare la politica dei partiti e anche la politica economica.
Il leader del mondo liberale e progressista italiano, né ex comunista né reazionario, di quell’area politica che negli ultimi dieci anni ha votato dal Partito democratico ai radicali e dai socialisti a Forza Italia, la famigerata “alleanza contro gli stronzi” aperta a chiunque non sia sovranista, populista e sconsiderato, piaccia o no è Matteo Renzi. Magari, come il Labour, un New Renzi, non un Old Renzi. Prima lo digeriranno il Pd, Carlo Calenda, Emma Bonino, Mara Carfagna, Stefano Parisi, Beppe Sala, Giorgio Gori e, attenzione, innanzitutto lui stesso, il senatore di Rignano che ne ha da farsi perdonare, meglio sarà per tutti noi.