Persona dell’annoGreta Thunberg, l’icona stanca (che ha tutto il diritto di esserlo)

Anche se l’entourage della sedicenne svedese riuscirà in futuro a gestire le sue apparizioni e a centellinare la presenza mediatica, Greta non potrà scomparire nel nulla (e, intanto, il 13 sarà a Torino). È un personaggio pop, il suo pregio e la sua condanna

CRISTINA QUICLER / AFP

Emaciata, stressata, stanca. È apparsa così Greta Thunberg alla Conferenza sul clima di Madrid dopo aver attraversato in piroscafo l’Oceano Atlantico per la seconda volta nel giro di cinque mesi. In una conferenza stampa ha detto ai giornalisti: «Non dovete ascoltare solo me, ma anche gli indigeni che soffrono le conseguenze del cambiamento climatico». Da settimane cerca di dare spazio agli scienziati e gli altri ragazzi del movimento FridaysForFuture, ma gli occhi dei media sono solo su di lei.

Per la rivista Time Greta è la persona dell’anno, la più giovane di sempre, ma sembra che il suo unico desiderio sia quello di andare a casa per tornare a essere una sedicenne come tutte le altre. Almeno a Natale. Anche se il suo entourage riuscirà in futuro a gestire le sue apparizioni e a centellinare la presenza mediatica, Greta non potrà scomparire nel nulla perché in molti hanno capito che l’ambientalismo ha bisogno del carisma e della tenacia di questa sedicenne per non passare di moda.

Il più grande pregio di Greta Thunberg è anche la sua condanna: è un personaggio pop, riconoscibile e digeribile dall’opinione pubblica. Fa discutere, costringe a prendere una posizione e a dare un giudizio su di lei. Le treccine, l’inglese fluente, il civismo svedese, i 16 anni portati come se fossero 40, la rabbia controllata che non sfocia mai in una ribellione sterile, la rendono un personaggio perfetto per la comunicazione social.

Anche così si spiega come una liceale che scioperava da sola ogni venerdì con un cartello di cartone davanti al Parlamento svedese, a guidare in meno di un anno e mezzo un movimento giovanile mondiale. Ha sgridato i potenti del mondo in un discorso virale all’assemblea delle Nazioni Unite, stringe la mano alle star, lancia occhiatacce a Donald Trump, compie scelte divisive che ispirano milioni di persone a scendere in piazza in tutto il mondo ogni venerdì. Ogni cosa che fa, scatena un dibattito.

C’è però il rovescio della medaglia. Perché a fare da contrappeso all’agiografia di chi vuole dipingerla come una super eroina senza macchia e senza paura ci sono i critici che la chiamano «rompicoglioni» e fanno battute sulla sua sindrome di Asperger. In Rete ci sono già teorie del complotto secondo le quali George Soros avrebbe finanziato la mamma manager fino alle multinazionali che hanno costruito un personaggio a tavolino per favorire la quarta rivoluzione industriale dell’economia verde aumentando i prezzi per i consumatori.

Per questo ogni gesto di Greta viene analizzato al dettaglio e ogni occasione è buona per darle della traditrice e incoerente. Dal video in diretta dal piroscafo che l’ha portata dall’Europa agli Stati Uniti in cui appare una bottiglia di plastica (non sua visto che lei beve dalla borraccia), alla foto di inizio 2018 di Greta con la madre in cui appare sullo sfondo una poltrona in pelle (scattata prima che iniziasse il primo sciopero sul clima).

L’ultima critica è sul treno che ha scelto per andare da Lisbona a Madrid. In un percorso di 800 km il trenhotel Lusitania ha percorso 200 km in una linea non elettrificata e quindi ha usato una locomotiva diesel. Il fatto che stiamo parlando di questi dettagli insignificanti vuol dire che Greta ha già vinto la sua battaglia: discutere di cambiamento climatico. Un tema che fino a qualche mese aveva lo stesso appeal mediatico dell’Aids o delle condizioni dei detenuti in carcere.

Sembra impossibile per molti, casualmente più anziani (ok, boomer), che una ragazzina abbia colto lo spirito del suo tempo come hanno fatto altri personaggi comuni nel Novecento, diventati poi grandi grazie alle loro battaglie. «Thunberg è diventata la più grande voce sul più grande problema del pianeta e la personificazione di un più ampio passaggio generazionale nella nostra cultura che si sta diffondendo ovunque» ha scritto Edward Felsenthal, redattore capo del Time.

Coloro che criticano Greta perché nel suo linguaggio diretto non cita in modo analitico i risultati scientifici sul cambiamento climatico e invece punta più sulle emozioni, non hanno capito il vero risultato della sua impresa. Thunberg è riuscita a convincere le multinazionali più inquinanti che la sostenibilità ambientale è un tema che sta a cuore dei consumatori di tutto il mondo. Il suo sciopero ha reso l’ambientalismo una moda che tutte le grandi aziende vogliono cavalcare per non rimanere fuori dal discorso globale. Prodotti ecosostenibili, campagne per la transizione energetica, scelte politiche per arrivare a emissioni zero di Co2.

L’ambientalismo è diventato un fenomeno pop e Greta dovrà fare i conti con il movimento che ha creato. Il 13 dicembre sarà a Piazza Castello a Torino per l’ennesimo sciopero sul clima a cui parteciperà nel suo ritorno a casa. Ma a Stoccolma non potrà fare uno sciopero dal suo lavoro mediatico. Anche se apparirà più emaciata, stanca e stressata, Greta ormai ha creato qualcosa più grande di lei e non può fermarsi. Da grandi copertine, derivano grandi responsabilità.

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