Tagliato con un grissinoI cinquestelle hanno aperto il Pd come una scatoletta di tonno

Per intercettare la voglia di reagire al populismo che viene dalle sardine, in Emilia e non solo, bisogna avere voglia di combattere. Possibilmente non al fianco di Di Maio

Foto da Twitter

Oggi a Bologna gli elettori del centrosinistra scenderanno in piazza a sostegno della candidatura di Stefano Bonaccini alla presidenza dell’Emilia-Romagna, ma un po’ anche, in fondo, della permanenza di Giuseppe Conte alla presidenza del Consiglio. E speriamo che non se ne ricordino proprio al momento di uscire.

Vedremo come andrà oggi la manifestazione, e domani le elezioni. Come sanno anche i sassi, per il gruppo dirigente del Partito democratico, e non solo quello di vertice, la primissima motivazione alla base della strategia dell’abbraccio con i cinquestelle era proprio questa: non perdere l’Emilia. E oggi, paradossalmente, il governo che secondo Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini aveva senso solo come primo passo di quella strategia, rischia di essere proprio ciò che affosserà tutto: l’Emilia, l’alleanza e la strategia. Esito inevitabile, secondo Carlo Calenda e tutti i contrari della prima ora. Esito evitabilissimo, secondo Matteo Renzi e anche diversi esponenti del Pd, convinti che la gravità della situazione dipenda non già dalla scelta di fare un governo con i cinquestelle, ma di farlo così. A cominciare magari, aggiungo io, dalla scelta di tenersi Giuseppe Conte come presidente del Consiglio, su cui Zingaretti fu l’unico a protestare (mentre Renzi, invece di dare una mano, ne irrideva la mancanza di realismo, visti i numerosi e autorevolissimi sponsor dell’«avvocato del popolo»).

Inutile declamare per l’ennesima volta il catalogo dei cedimenti democratici ai grillini, aggiornando ogni mattina l’interminabile elenco dei provvedimenti, dei capricci, delle insensatezze che i democratici hanno ingoiato senza fiatare

Quale che sia il giudizio sulla genesi di questa situazione e le relative responsabilità, è difficile non convenire sulla diagnosi. Impietosamente illustrata da quella che potremmo considerare come l’ultima lastra del Pd: la foto di Nicola Zingaretti in camice e cappellino bianchi, accanto a una gigantesca scatoletta di tonno Callipo, con marchio bene in vista e candidato omonimo al fianco, orgogliosamente twittata dallo stesso segretario del Pd. Con un effetto persino peggiore della sfortunatissima foto di Narni, a metà tra la pubblicità progresso della Tv delle ragazze e il Woody Allen travestito da spermatozoo in «Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul sesso». La diagnosi, comunque, è presto fatta: la verità è che i cinquestelle hanno aperto il Pd come una scatoletta di tonno. E tutti noi abbiamo improvvisamente scoperto che era vuota.

Inutile declamare per l’ennesima volta il catalogo dei cedimenti democratici ai grillini, aggiornando ogni mattina l’interminabile elenco dei provvedimenti (questa volta, per brevità, ne metterò solo le iniziali: r.d.c., q.c., t.d.p.), dei capricci (anche con conseguenze tragiche, come il no allo scudo penale sull’Ilva), delle insensatezze (vedi il penoso balletto sul Mes di questi giorni) che i democratici hanno ingoiato senza fiatare.

Sostenere che il Pd stia perdendo la battaglia dell’egemonia contro Luigi Di Maio sarebbe un’offesa non solo ai suoi attuali dirigenti, ma anche alla memoria di Antonio Gramsci

Sostenere che il Pd stia perdendo la battaglia dell’egemonia contro Luigi Di Maio sarebbe un’offesa non solo ai suoi attuali dirigenti, ma anche alla memoria di Antonio Gramsci, per quel poco o tanto della sua eredità che ancora dovrebbe essere in circolazione nelle vene del Pd (pochino, si direbbe). Resta però obiettivamente difficile, di fronte a simili risultati, anche solo muovere una critica costruttiva.

Eppure proprio l’inaspettato successo delle sardine mostra che nella società ci sono ancora anticorpi e capacità di reagire, anzitutto contro l’onda populista che dalle elezioni del 2018 è sembrata sommergere tutto. Ma bisogna avere qualcosa da dire, e anche voglia di combattere. Possibilmente non al fianco di Di Maio.

Ciò non significa negare che il Pd, in questi giorni, sia impegnato in uno sforzo sovrumano, in cui si può scorgere persino un tratto di nobiltà, quasi un titanismo al contrario, che coniuga in modo difficile da definire il cedimento totale e l’insistenza caparbia, in una sorta di mistico abbandono al principio di inerzia.

Nella lingua urone, parlata da alcune tribù irochesi, il sostantivo «orenda» indica quell’invisibile energia spirituale, presente in tutti gli esseri, che permetterebbe all’uomo di cambiare il mondo anche contro un destino avverso. Non penso esista termine migliore per definire l’attuale strategia del Pd.

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