Un filo di razionalitàC’è anche una plastica buona, quella che combatte lo spreco alimentare

È stata eletta a Leviatano dei nostri tempi, ma ha parecchi meriti che le crociate ambientaliste tendono a rimuovere dal discorso pubblico: ad esempio, con un corretto utilizzo aiuta a limitare la produzione e il consumo del cibo

Ezequiel BECERRA / AFP

Il 2019 passerà ai posteri come l’anno in cui i mostri del disastro ambientale si sono rivelati agli occhi di un’umanità responsabile, ma finora inconsapevole, dei danni che ha commesso verso la natura e che, adesso, non sa come rimettere insieme i cocci. La plastica ha il triste onore di essere stata eletta Leviatano dei nostri tempi, che solca gli oceani soffocandoli con le sue isole di rifiuti e avvelena l’aria che respiriamo con nuvole di diossina.

Ok, no panic. Se c’è una cosa positiva che va riconosciuta a Greta Thunberg & friends è l’averci fatto capire che abbiamo un problema. Ora però, o meglio, nel 2020, sarà il caso di guardare la faccenda con un filo di razionalità in più. Come tutte le crociate infatti, l’impostazione ideologica che ha mosso il movimento green, plastic free, save the planet eccetera, non ha preso volutamente in esame l’aspetto razionale – imprescindibile invece per la soluzione di un problema – e si è focalizzato sull’emotività. Senza arrivare così ad alcuna soluzione.

Domanda schietta – astenersi talebani del verde, la loro risposta è ovvia – possibile che la plastica e tutto il mondo che vi ruota intorno non abbiano assolutamente nulla di buono? La maggior parte di noi, infatti, chiude questo 2019 con il sospetto che il materiale che ha reso strepitosa la nostra infanzia – per colori, profumi e oggetti di uso quotidiano – sia più letale delle metanfetamine.

Sembra assurdo, ma più si va avanti a parlare di questa storia dell’ambiente, e maggiori sono le contraddizioni che si incontrano. Non è questa la sede per fare del fact-checking a Greta, colta in flagrante quest’estate con una bottiglia di plastica sulla sua barca a vela mentre arrivava a New York. No, il paradosso emerge dall’errore di narrazione con cui stiamo procedendo nel tentare di affrontare il problema. Le vie emozionali sono sterili se si vuole arrivare a un dunque. Le emozioni provocano, stimolano, inducono a pensare. Poi il pensiero dev’essere razionale. Lineare.

Il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla) ha lanciato una campagna di promozione della raccolta differenziata. Con Diego Abatantuono che, nel video, è come sempre eccezionale, il messaggio lanciato è: fai la differenziata, ma soprattutto la differenza. Bravo Diego! Ma come? Abbiamo il gesto, il tono di voce, perfino la musica di sottofondo. La campagna di comunicazione è fatta. Manca però un input ancora più inequivocabile. E più forte. Vale a dire che per riciclare la plastica, bisogna prima di tutto produrla. Ta-daaaaa!

Ci sono momenti e azioni della nostra quotidianità, ecosostenibili al mille per mille, in cui la plastica di prima missione – quella non riciclata, quella brutta e cattiva – è determinante. Pensiamo alla battaglia contro lo spreco alimentare. Missione morale, prima di tutto.

Secondo il primo osservatorio social sugli sprechi alimentari, realizzato da Al.ta Cucina e Too Good To Go, nove italiani su dieci riconoscono l’esistenza di un legame diretto tra sprechi alimentari e inquinamento ambientale. Tuttavia, sempre nelle stesse proporzioni il campione intervistato ammette di buttar via il cibo comprato. In pratica, sai che stai facendo qualcosa che non va, ma te ne fotti. E meno male che siamo un Paese cattolico, in cui il senso di colpa dovrebbe regnare sovrano. Ah già, il senso di colpa è una comfort zone: se lo risolvi, ti ritrovi in un vuoto esistenziale. In Italia invece si buttano circa 20 milioni di tonnellate di cibo ogni anno. Circa 15 miliardi di euro che vanno nel rusco. Quasi un punto di Pil. Tanta roba.

Ora, la connessione tra cibo gettato e inquinamento è già stata elaborata. C’è uno spreco produttivo a monte, che si potrebbe contenere. Di otto chili di mele comprate al mercato, non sai cosa fartene – ammesso che tu non sia affetto da una dipendenza ossessiva da strüdel e calvados – quindi ne lasci almeno la metà dal fruttarolo. Il quale a sua volta eviterà di ordinarne così tante casse dal suo fornitore, e ancora prima nei campi e nei frutteti si ridurranno le colture intensive. E poi c’è uno spreco a valle. Ovvero di smaltimento scorretto. Buttar via mele come se piovesse, ma non solo le mele, poverine, cambiamo esempio, gettare nella rumenta pane secco, uova marce e prosciutto rancido vuol dire generare gas serra. In pratica è come andare con un diesel in montagna.

Bene, una busta di plastica può fare la differenza? Sì. Non è però chiaro il perché chi combatte lo spreco alimentare con le più nobili intenzioni, quali app e campagne di sensibilizzazione collettiva, non lo ammetta. Forse perché è scomodo. Forse perché fa da sostegno a quelle imprese – sfuggite per un soffio alla tassazione della plastic tax – che invece, sì, possono dare una soluzione (razionalità) alle angosce (emotività). Ricorrendo al packaging in materiale plastico avanzato – di prima missione, ma figlio di un lungo e costoso processo di ricerca – è possibile raddoppiare i giorni di conservazione degli alimenti.

Ok, ma quanta plastica serve per tutto questo cinema? Sempre meno. Ormai si è dimezzato lo spessore dei film di plastica utilizzato per impacchettare gli alimenti. Un po’ per i costi delle materie prime. Un po’ perché – altro paradosso – le imprese sono molto più sensibili all’ambiente di quanto ci si aspetti. Forse perché a essere green ci si guadagna. Oppure per difesa preventiva. Chi si professa ecofriendly evita la gogna mediatica. Giustificazioni, entrambe mosse da un utilitarismo che non va visto come un peccato. Anzi. Se c’è chi si comporta bene, ne beneficiamo tutti. È così che si fa la differenza.

Morale della storia. C’è un discorso di backstage che va svelato. Un mondo nascosto di innovazione e progettazione da conoscere, anche da chi compie esorcismi sulla plastica. Altrimenti ti ritrovi a maledire le bottiglie in mare e le buste del prosciutto senza sapere da dove arrivino. E perché esistano.

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