Il 4 gennaio del 1960 muore, in un terribile incidente automobilistico, lo scrittore francese Albert Camus. Sull’episodio sono sorte varie teorie del complotto, più o meno strampalate e veritiere, che arrivano a coinvolgere persino il KGB. Ma – come succede per tutti i grandi autori – la sua fine fisica non coincide con quella letteraria. I suoi libri continuano a essere letti e venduti, mantenendo in vita la sua opera, il suo spirito e il suo nome che riecheggiano sempre più potenti anno dopo anno, anniversario dopo anniversario.
Ora che sono passati sessant’anni da quel fatale giorno, ciò che ha scritto Camus continua a essere ancora molto attuale. Mi è capitato di rileggere Lo straniero, libro che avevo molto amato da ragazzo, e di apprezzarlo ancora di più per la sua potenza visionaria e la capacità di essere perfettamente trasferibile alla realtà del giorno d’oggi mantenendo la freschezza narrativa e linguistica. La sensazione potente di assuefazione e soffocamento è la stessa che proviamo ogni giorno.
Meursault, il protagonista, vive in un prolungato stato di apatia che sfocia in angoscia solo quando si trova davanti al più estremo finale della sua vita. Si sente frustrato e assuefatto da una realtà nella quale ha provato a vivere, ma che lo ha fatto solo galleggiare da un’azione all’altra senza la minima soddisfazione personale – oppure senza provare un dolore così grande da farlo almeno soffrire. Non piange per la madre defunta, non si ricorda neppure con esattezza il giorno in cui è morta, e non riesce a pentirsi per aver ucciso un arabo sulla spiaggia accecato da una strana luce che non ha nessuna valenza divina ma solo fisica.
Quello che succede ne Lo straniero avviene quotidianamente su internet e sui social, dove in molti si muovono con apatia scorrendo le immagini con il dito, tra la foto di un bambino morto e un video in cui succede qualcosa di così idiota da essere estremamente divertente. Eppure è una risata o una tristezza che dura solo un momento, è risucchiata da altro che scorre senza limiti e finisce nel grande buco nero delle cose dimenticate, in un universo che sembra essere indifferente all’umanità.
Quello stesso universo a cui pensava Meursault attendendo di essere ucciso, non tanto per il delitto commesso ma per la sua totale mancanza di rimorso. La società non accetta questa sua scelta estrema perché è straniera al quieto vivere e all’omologazione sociale. E nell’oscuro mondo subacqueo di internet in cui la parola “navigare” dovrebbe essere sostituita dal “non affogare” (nella mole di informazioni, fake news e input) spesso ci sentiamo stranieri in un territorio che crediamo conoscere alla perfezione.
Non c’è libertà in un algoritmo e in una scelta imposta da una promozione pagata da qualcuno, siamo tutti schiavi più o meno consapevoli di questa scelta e quando qualcuno decide di essere diverso viene condannato da una massa urlante, potenziata a colpi di “mi piace” e “cuoricini”, pronta a trovare la vittima sacrificale da donare al dio profano del falso perbenismo.
E ogni giorno gli esempi si moltiplicano e quei pochi brandelli di umanità che, per fortuna, si trovano ed esistono vengono sotterrati sotto la sabbia dell’odio puerile vomitato senza sosta da esseri umani che si sentono in diritto di poter dire anche la più becera delle cose, senza pensare che potrebbe avere delle conseguenze sugli altri e su se stessi. Accecati dallo schermo luminoso di un cellulare, proprio come Meursault dal sole, si perde il senso della scelta e si possono fare (e pensare) cose terribili.