“Lo scorso settembre, quando milioni di persone si sono riversate per le strade per richiedere un intervento in merito al cambiamento climatico, molte di loro hanno evidenziato l’impatto significativo e duraturo che questo fenomeno avrà sulla crescita e sulla prosperità economica, un rischio che i mercati fino ad oggi sono stati più lenti a recepire. Ma la consapevolezza sta cambiando rapidamente e credo che siamo sull’orlo di una completa trasformazione della finanza. I dati sui rischi climatici obbligano gli investitori a riconsiderare le fondamenta stesse della finanza moderna. Ricerche di varie organizzazioni (…) rafforzano la nostra comprensione di come il rischio climatico avrà un impatto non solo sul mondo fisico, ma anche sul sistema globale che finanzia la crescita economica”.
Queste parole e questi concetti sono stati l’incipit dell’annuale lettera ai Ceo di Lerry Fink, Ceo di BlackRock, la più grande società di gestione di capitali al mondo (quasi 7mila miliardi di dollari in gestione). Una lettera totalmente focalizzata sulla sostenibilità. Una posizione che ha avuto molta eco sulle pagine dei media anche nazionali, che in larghissima parte vi hanno letto quello che giustamente vi era da leggere e cioè l’annuncio che il fondo voterà contro i cda delle imprese che non fanno progressi sul clima.
Tuttavia, si tratta di una lettera che contiene molte domande su cui vale la pena di soffermarsi e molte considerazioni importanti che vi voglio riportare per opportunità di conoscenza. Le prime, per esempio, sono: le città saranno in grado di far fronte alle nuove necessità infrastrutturali mentre il rischio climatico ridisegna il mercato obbligazionario degli enti locali? Cosa succederà ai mutui trentennali – un tassello chiave della finanza – se chi li eroga non è in grado di stimare l’impatto del rischio climatico su un arco di tempo tanto lungo, e se non sussistono opportunità di mercato per le assicurazioni contro incendi o inondazioni nelle aree interessate? Che accadrà all’inflazione, e di conseguenza ai tassi d’interesse, se il costo del cibo aumentasse a causa di siccità e inondazioni? Come possiamo costruire una crescita economica se i mercati emergenti vedono la propria produttività diminuire a causa di temperature estreme o di altri impatti climatici?
Tra le considerazioni, le seguenti due: “Stiamo affrontando il più grande dei problemi a lungo termine. Non sappiamo ancora quali previsioni sul clima saranno più accurate, né quali effetti non abbiamo preso in considerazione. Ma non si può negare la direzione verso cui stiamo andando. Ogni governo, azienda e azionista deve fronteggiare il cambiamento climatico.” E “Le prospettive di crescita di ogni azienda sono indissolubili dalla sua capacità di operare in modo sostenibile e di servire l’intera comunità dei suoi stakeholder. L’importanza di portare beneficio alle parti interessate e di perseguire uno scopo, rappresentano aspetti sempre più centrali del modo in cui le aziende definiscono il proprio ruolo nella società”.
La parola inglese che viene usata per parlare di scopo è purpose, che in italiano si traduce anche con fine, proposito, finalità, intento, intenzione, motivo, senso, obiettivo, compito, destinazione, vocazione. Tutti sostantivi che definiscono quella possibilità che ultimamente sta venendo invece rimossa dalle nostre teste e dai nostri cuori da un sistema che ci vorrebbe sempre più passivi e deresponsabilizzati rispetto a tutto quanto sta accadendo attorno a noi quando invece ognuno di noi, compresi me e te, siamo chiamati ad assumerci la nostra responsabilità. Una responsabilità che prima di tutto è un passo indietro rispetto alle nostre convinzioni, una possibilità di ripartire da noi stessi, di scansare quell’eterno bivio e decidere cosa essere, prima ancora di decidere cosa poter fare. Molto presto il vero valore da perseguire non sarà più soltanto la responsabilità sociale, la filantropia, o anche la semplice sostenibilità, ma l’individuazione di un modo nuovo per raggiungere quel successo economico che è necessario alla sopravvivenza di un’impresa e alla produzione di un surplus, il profitto, che una volta rimesso in circolo genererà altro benessere per l’insieme. Dobbiamo sospingere verso il declino il tempo dell’accumulo e contribuire ad avviare il tempo della condivisione.
Le aziende di domani dovranno possedere una maggiore comprensione delle vere nuove basi della produttività aziendale. Le imprese sono la principale forza che abbiamo a disposizione per affrontare le questioni urgenti che si pongono quotidianamente di fronte a noi e su scala planetaria. Il momento per una nuova concezione del capitalismo è ora. Ma solo chi agirà sul serio, ispirato da una vocazione profonda al bene comune e non da un preconfezionato “purpose”, in futuro sarà premiato. Innoveranno davvero solo le aziende che muoveranno un autentico senso di gratitudine.