Lunedì sera la trasmissione di Raitre Presa Diretta ha svolto un servizio pubblico straordinario, raccontando quello che nessuno in televisione finora aveva mai raccontato in modo così approfondito, ovvero il sistema Casaleggio e la vicenda di un movimento che di fatto è di proprietà privata dell’erede del suo fondatore. Davide Casaleggio, su Facebook, ha definito l’inchiesta di Presa Diretta «vomitevole», tanto non era abituato ad avere a che fare con dei giornalisti. Guardatela su Raiplay.
Presa Diretta ha citato gli articoli de Linkiesta e ha parlato con Nicola Biondo, l’autore di un’intervista a Marco Canestrari pubblicata su queste pagine a proposito dell’app dell’attivista a Cinque Stelle che consentiva alla Casaleggio di accedere alle informazioni non solo dell’utente che dava volontariamente il consenso a trattare i suoi dati, ma anche a quelle dei suoi ignari amici di Facebook. Un’attività perfettamente lecita, come abbiamo scritto, anche perché era consentita da Facebook, ma che, in seguito allo scandalo di Cambridge Analytica e alla successiva maggiore attenzione alle questioni legate alla privacy degli elettori, la stessa Facebook ha deciso di limitare mentre l’Unione europea ha approvato il regolamento GDPR sulla protezione dei dati. Bene.
I fatti sono questi. Ma la risposta che Casaleggio ha inviato alla redazione di Presa Diretta è stata formulata, come altre note in passato, per negare nel modo più deciso ogni addebito cercando però contemporaneamente di non negare ciò che è innegabile.
Andiamo con ordine: Casaleggio scrive che gli unici dati utilizzati sono stati quelli autorizzati dall’utente, evviva, ma aggiunge che nonostante «gli amici dell’utente fossero resi visibili da Facebook non è mai stato utilizzato nessun dato degli stessi». Cioè lascia intendere che quei dati erano visibili quale gentile omaggio di Zuckerberg. Non è così.
Intanto dobbiamo fidarci di Casaleggio sul mancato utilizzo, visto che quei dati lo stesso Casaleggio dice che sono stati cancellati senza specificare quando come e perché, ma il punto è che Facebook non rendeva visibili i dati degli amici degli utilizzatori dell’app, il punto è che Casaleggio quei dati li ha richiesti esplicitamente come dimostra il link tecnico la cui url contiene le specifiche informazioni che l’applicazione di Casaleggio richiedeva.
E che cosa richiedeva l’applicazione di Casaleggio? Richiedeva tutti i dati personali possibili degli ignari amici di Facebook dell’utente-attivista a Cinque Stelle (about me, compleanno, eventi, gruppi, città, interessi, likes, religione, politica, location e email). Nonostante Casaleggio Associati ritenga diffamatorio l’accostamento con il caso Cambridge Analytica, l’aver avuto accesso a fini politici ai dati personali degli ignari amici degli utenti che avevano dato il consenso è esattamente una delle tre cose imputate alla società di web marketing londinese ed è stato il modo con cui, a fronte di 330 mila utenti dell’app, Cambridge Analytica ha avuto a disposizione le informazioni personali di un numero compreso tra i 50 e gli 80 milioni di persone (il totale degli amici di chi ha scaricato l’app). La seconda accusa a CA, Cambridge Analytica non Casaleggio Associati, è di aver finto che l’app avesse uno scopo accademico e non politico e commerciale, mentre la terza è che nonostante le rassicurazioni date a Facebook in realtà CA, sempre Cambridge Analytica, non avesse cancellato i dati che invece aveva detto di aver cancellato.
Casaleggio, inoltre, ha scritto sia a Raitre sia su Facebook di aver denunciato per diffamazione Linkiesta e che noi o Nicola Biondo staremmo «affrontando in questo giorni il tribunale». Anche questo non è vero, almeno finora: Casaleggio ha semplicemente dato avvio a una procedura di mediazione civile, chiedendo un risarcimento tra i 10 e i 25 mila euro, poi ha rinviato l’incontro di mediazione e quando ha deciso di presentarsi, qualche giorno fa, ha preso atto davanti al mediatore che non c’era niente da mediare perché l’articolo era corretto, puntuale e non diffamatorio.
Va anche ricordato che il Garante della Privacy ha avviato un’istruttoria con relativa richiesta di chiarimento nei confronti della Casaleggio «entro 15 giorni». Nella nota a Presa Diretta, Casaleggio svia anche su questo, lasciando intendere che l’indagine del Garante sia una cosa vecchia, del 2017. Non è così: l’indagine è in corso, anche se non possiamo prevedere quando si chiuderà perché a giorni il Parlamento, dove il partito di maggioranza relativa è quello a Cinque Stelle, eleggerà i nuovi membri dell’organo collegiale per la protezione dei dati personali.
Ma l’aspetto più grottesco di questa vicenda è un passaggio del comunicato stampa che sottolinea come Davide Casaleggio non abbia alcun tipo di incarico nelle istituzioni, la solita pantomima del tecnico dei computer che dà una mano ma non ha alcun ruolo pubblico. Ancora adesso, dunque, Davide Casaleggio non si rende conto che il problema è esattamente quello di non avere alcun ruolo pubblico, ma di avere un ruolo privato da fondatore del Movimento e da presidente, tesoriere e amministratore inamovibile dell’Associazione Rousseau che gestisce in eterno la piattaforma digitale dentro la quale si svolgono le attività politiche del movimento e che riceve i versamenti dei parlamentari.
Conclude Casaleggio, nella sua nota: «A me non piacciono i riflettori, ma credo sia necessario difendere pubblicamente il lavoro di mio padre, delle persone che ci hanno lavorato in questi anni, di quelle che ci lavorano e di quelle che lo sostengono. Nei prossimi giorni andrò in tv per farlo».
Speriamo che questa volta in tv, davanti a Casaleggio, non ci siano soltanto un microfono e una telecamera, ma anche giornalisti come Nicola Biondo, Luciano Capone, Annalisa Cuzzocrea e Jacopo Iacoboni oppure un esperto come Marco Canestrari (ammetto che nessuno dei suddetti mi ha dato il consenso a citarli in questo articolo. Ma, suvvia, che sarà mai).