Il momento è “rivoluzionario”: di conseguenza “tutto è possibile e la fallibilità regna sovrana”. Così George Soros, celebre finanziere e filantropo ungherese naturalizzato americano, nonché nemico numero uno delle destre sovraniste mondiali, apre l’introduzione del suo ultimo libro, Democrazia! Elogio della società aperta (Einaudi, 2020). Un grido d’allarme, perché “il vento è cambiato”. E un appello a chiunque abbia a cuore la democrazia, visto che “i nemici della società aperta sono trionfanti e i sentono invincibili. Questo li porta a commettere errori, lasciando spazio alla resistenza”.
Il volume, che mette insieme articoli, scritti e discorsi – fondamentali sono quelli pronunciati a Davos nel 2018 e nel 2019 – diventa nella traduzione italiana un “elogio” della società aperta. Ma nell’originale inglese si parla di “difesa”. Differenza importante, e Soros la fa notare: negli anni ’70 il suo progetto, la rete della fondazione Open Society, nasce per promuovere la società aperta e la democrazia. Oggi, invece, la priorità è puntellare le conquiste raggiunte, senza perdere terreno. “Ogni generazione deve riaffermare il proprio impegno”, dice. Dal canto suo lui non smette. A quasi 90 anni, per lo scorno dei suoi nemici – catalogo infinito, ma tra le pagine nomina il presidente della Russia Vladimir Putin, il leader cinese Xi Jinping, e l’avversario di vecchia data Victor Orbán, che in gioventù aveva addirittura usufruito di una sua borsa di studio – delinea le strategie, studia le possibilità e, soprattutto, spende. L’ultima donazione ammonta a un miliardo di dollari, destinata a rafforzare il network di università legate alla Open Society.
In questo senso, il libro è un condensato della sua esperienza di imprenditore e attivista, cioè di filantropo politico. Racconta (per la Meloni sarebbe: confessa) le sue azioni in Sudafrica contro l’apartheid, quelle in centroeuropa per minare le fondamenta del sistema sovietico, le iniziative negli Stati Uniti e le lotte per scardinare il regime cinese.
È lì, oltre che in Russia, che si annidano oggi le peggiori minacce. Pechino trova un alleato inaspettato nelle nuove tecnologie, visto che “gli strumenti di controllo sviluppati dall’intelligenza artificiale conferiscono un vantaggio intrinseco ai regimi autoritari rispetto alle società aperte”. E spaventoso è anche il “sistema di credito sociale, che pur non essendo ancora del tutto operativo, ha un obiettivo già chiaro. Il destino individuale sarà subordinato agli interessi dello Stato monopartitico in un modo mai visto prima”. In questo senso, le piattaforme tecnologiche americane, Google e Facebook in primis, rappresentano un pericolo analogo per mezzi, dimensioni e modello di business, eppure fanno un po’ meno paura: i giganti della Silicon Valley “si considerano i padroni dell’universo, ma sono schiave del mantenimento della propria posizione dominante. È solo una questione di tempo prima che il monopolio globale delle aziende tecnologiche statunitense si spezzi”. Anche grazie all’azione regolamentatrice europea.
Per la Cina è diverso: “Non è il solo regime autoritario del mondo, è il più ricco, il più forte e il più avanzato dal punto di vista tecnologico. Questo fa di Xi Jinping il nemico numero uno delle società aperte”. L’unica speranza è puntare sulla debolezza intrinseca del suo apparato economico e nell’opposizione interna, flebile ma esistente, che si ispira “a principi confuciani”. Sperare, dice, senza smettere di agire e pensare.
Ed è qui che il passo rallenta e la visione si allarga. Diventa appunto filosofica. Soros rivendica con orgoglio il ruolo di pensatore. Richiama gli anni passati a Londra a studiare alla London School of Economics, come allievo di Karl Popper. Soprattutto delinea i principi del suo “quadro concettuale”, cioè la “riflessività”, un sistema complesso e sofisticato che viene trattato con esattezza. “La mia comprensione della riflessività mi ha permesso di prevedere la crisi, nonché di affrontarla nel momento in cui ha colpito”. Non solo, “mi ha consentito di spiegare e predire gli eventi meglio di molti altri quando gli effetti della crisi si sono diffusi dagli Stati Uniti all’Europa e in tutto il mondo”. Una teoria economica che ha messo in discussione i principi “della scienza economica tradizionale”, suscitando interesse anche nella comunità accademica che, negli anni precedenti, lo aveva snobbato. Forse il peggior torto che gli hanno fatto finora i sovranisti è proprio questo: bollarlo come speculatore e affarista, mettendo in ombra il suo pensiero e la costruzione logica sottostante.
E invece Soros è uomo d’azione, ma anche di intelletto. Lo dimostra il modo in cui ha cambiato il mondo, la rete che ha messo in piedi e la missione che lo anima. Se non bastasse, lo confermano anche le pagine di Democrazia!, colme di spunti, idee e ragionamenti. Queste sì, più di tutti i complotti, fanno paura ai fautori del nazionalismo.