Lettori antisemiti a RiadAperture o no, basta un romanzo a scatenare l’ostilità della popolazione saudita contro Israele

Le polemiche sorte dalla pubblicazione di “Ghurba Yahudiyah”, di Rajaa Bandar, dimostrano che l’anti-ebraismo non è affatto superato nel regno dei Saud. La protagonista del libro, accusato di “idee liberali devianti”, è una donna ebrea che ritrova le origini e rifiuta di tornare all’Islam

AFP

È la parola del momento: “Normalizzazione”. E riguarda il disgelo dei rapporti, da sempre ostili, tra Arabia Saudita e Israele. Non è una novità, anzi. Molto si è già scritto sulla questione, ci sono stati incontri pubblici e privati tra ufficiali sauditi e israeliani. Alcuni se ne attendono perfino uno tra il principe Mohamed bin Salman e il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Eppure, nonostante l’entusiasmo di commentatori e politici, la popolazione – lato saudita – è ancora diffidente e lo dimostra il caso che si è scatenato contro la scrittrice Rajaa Bandar e il suo ultimo romanzo, Ghurba Yahudiyah (Espatrio ebraico). È la storia di una donna yemenita che, dopo la fine del matrimonio con un ricco saudita, decide di vivere con la madre ebrea, che appartiene a una sparuta minoranza nella penisola arabica. Il punto dolente, per il pubblico saudita, è però un altro. Cioè la parte in cui la donna decide di riabbracciare la religione ebraica, con i suoi rituali, e rifiuta di tornare all’islam anche dopo gli appelli del padre. Meglio vivere da ebrea, con indipendenza di pensiero e di religione.

Risultato? Un vespaio di polemiche, con tanto di accuse di plagio da parte della collega Salmih al Mushi, autrice di Yahudiyah Mukhlisa (Ebrea devota), libro in cui si raccontano vicende analoghe, Il mondo letterario di Riyad è diviso. Ma il nocciolo della questione, scrive il giornale israeliano Haaretz, è il fatto che tanti hanno accusato Rajaa Bandar di presentare la figlia ebrea come “un simbolo positivo” e che il romanzo propone “idee liberali devianti”, soprattutto nei passaggi in cui si evidenzia il carattere “assertivo della donna“ e la sua determinazione. Si tratterebbe, come hanno scritto alcuni, di uno scritto pieno di “indicazioni velenose” e propaganda perché mirerebbe a riabilitare il vecchio nemico.

Scontri accesi, insomma, che dimostrano che l’alleanza politica dei vertici tra i due Paesi sia ancora da far digerire ad alcune fasce della popolazione. La stessa Bandar ha dovuto fare una parziale marcia indietro, sia per difendersi dalle accuse di plagio, sia per controbattere a quelle di disseminare idee politiche. «Non volevo scrivere un manifesto», dichiara sul sito libanese Raseef22. «Ero solo incuriosita dalla vita che conducevano le comunità ebraiche nei nostri villaggi e nelle nostre città, prima che sparissero e ricomparissero ridefiniti come nemici». E continua, con una frase che entra a gamba tesa nella questione, «volevo che scoprissero la differenza tra “ebraicità” e “israelicità”», oltre a sollevare un velo su uno dei problemi della società contemporanea, cioè la vita coniugale nelle coppie miste e come i bambini crescano in due mondi del tutto diversi».

Ciò che rende più complessa la questione è il fatto che, da qualche anno, l’Arabia Saudita cerchi, con molta fatica, di apparire più aperta ai richiami dei Paesi occidentali e attenta alle esigenze progressiste della società. Il permesso di guidare concesso da poco alle donne, insieme ad altre aperture volute dal nuovo principe, rientra nel quadro. Per questo, come scrive Haaretz, la donna ha potuto focalizzarsi su un tema più specifico, cioè quello della nazionalità e dei diversi diritti tra uomini e donne saudite. Il problema è che si è servita di un personaggio ebreo. E, addirittura, ne ha scritto in modo positivo. Questo, ancora oggi, è motivo sufficiente per delegittimare tutto il suo edificio di pensiero.