Il Giorno della Memoria è una ricorrenza molto sentita in Germania, per ovvie ragioni; il fatto poi che quest’anno ricorresse il settantacinquesimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz ha dato ancora più rilevanza alle celebrazioni.
Alla cerimonia tenutasi il 23 gennaio allo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, è intervenuto con un discorso anche Frank-Walter Steinmeier, il Presidente della Repubblica Federale: era la prima volta per un capo di stato tedesco. Segnale ulteriore del profondo significato attribuito in Germania a questo anniversario.
In tanti hanno postato delle foto sui social media esponendo cartelli con la scritta #WeRemember, l’hashtag usato per la commemorazione: personaggi famosi della cultura, dello sport e dello spettacolo, ma anche esponenti di primo piano della politica.
Tuttavia non sono mancate polemiche. Il fattore scatenante sono state le dichiarazioni di Philipp Amthor, giovane deputato della Cdu, che in un’intervista ci ha tenuto a sottolineare come una delle cause principali dell’antisemitismo in Germania sia da ricercare nelle ondate migratorie degli anni scorsi, vista la diffusione dell’odio contro gli ebrei nelle culture di fede musulmana. Parole che hanno suscitato aspre critiche anche da parte degli stessi compagni di partito di Amthor, ma che nondimeno hanno trovato un sostenitore in uno dei big dello schieramento conservatore: Friedrich Merz, il principale avversario interno dell’attuale leader Annegret Kramp-Karrenbauer.
E naturalmente non poteva mancare AfD: una delle sue figure più note, Alexander Gauland – quello che aveva ridotto il nazismo a «uno schizzetto di guano in oltre 1000 anni di gloriosa storia tedesca» – pare essersi addormentato durante il discorso al Bundestag di Reuven Rivlin, Presidente di Israele, in ricordo delle vittime dell’Olocausto. Che Gauland si fosse effettivamente assopito o stesse solo riposando il capo, in molti hanno letto nel gesto come minimo i segni di un evidente disinteresse.
Eppure se c’è un tema si cui i riflettori meritano di essere ben accesi è proprio quello dell’antisemitismo. Report diffusi lo scorso anno mostrano un numero crescente di attacchi contro cittadini israeliani o di fede ebraica (addirittura almeno cinque al giorno), per la maggior parte riconducibili all’estrema destra. Ma certo l’esclusiva non è di nostalgici e gruppi neonazisti: in un’interessante intervista di un mese fa allo Spiegel la storica americana Deborah Lipstadt ha ricordato quanto diffusi siano certi atteggiamenti antisemiti anche nell’estrema sinistra, alimentati soprattutto da posizioni di protesta contro i governi israeliani che sfociano però confusamente in generiche stereotipizzazioni razziste.
Come dimenticare poi le tremende immagini dell’attentato neonazista alla sinagoga di Halle, che ha causato due morti e non si è trasformato in una strage ancora più grande solo grazie alla solidità di un portone?
Un segnale di speranza, e probabilmente l’antidoto migliore alle dichiarazioni di Amthor e Merz, li si può però trovare proprio nelle parole del discorso di Steinmeier allo Yad Vashem. Tutto l’intervento del Presidente della Repubblica Federale è stato attraversato da una constatazione basilare e fortissima: siamo stati noi, noi tedeschi a fare questo. Una assunzione di responsabilità, una rivendicazione della colpa senza attenuanti né relativizzazioni.
«Mi trovo davanti a questo memoriale come uomo – e come tedesco», ha sottolineato Steinmeier. Tedeschi erano coloro che hanno deportato gli ebrei nei campi di sterminio, tedeschi erano quelli che hanno tentato di disumanizzarli e di ridurli a un numero tatuato sul braccio. «E anche questo va ricordato ad alta voce, qui e oggi: i responsabili erano uomini. Erano tedeschi. Gli assassini, le guardie, gli scagnozzi, i complici: erano tedeschi. Lo sterminio su scala industriale di sei milioni di ebrei, il più grande crimine della storia dell’umanità – è stato commesso dalla mia gente. L’atroce guerra costata la vita a più di cinquanta milioni di persone è partita dalla mia terra».
Un punto fermo, che è un dovere tenere ben saldo nella memoria. Come ha ricordato anche Justus Bender, giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung ed esperto di AfD e dell’estrema destra tedesca.
Un segnale di speranza, in un momento come questo, in cui – per dirne solo una – un gruppo dell’organizzazione giovanile di AfD ha deciso di ribattezzarsi in rete Höckejugend, “gioventù höckeniana”, dal nome del leader dell’ala nazionalista Björn Höcke, e rivendica la cosa come «una provocazione ironica». O in cui, secondo dati davvero allarmanti, un tedesco su quattro avrebbe opinioni antisemite.
Un segnale di speranza che va coltivato e tenuto in vita, incessantemente e senza esitazioni. Per citare ancora una volta il discorso di Steinmeier: «La fiamma dello Yad Vashem non si spegne mai. E la nostra responsabilità tedesca non si estingue mai».
Kater è un blog collettivo che parla di Germania – o almeno ci prova – al di là di semplificazioni, stereotipi e luoghi comuni. Perché la Germania è grande e complessa, e insieme proviamo a capirla e a spiegarla.