Economia sfericaRapporto umano o sempre connessi? Chi è ricco può scegliere, gli altri no

In media siamo su Internet sette ore al giorno, abbiamo permesso che quasi tutte le nostre esperienze umane vengano mediate dagli smartphone. Dagli Stati Uniti al Giappone il trend è in atto: al più alto reddito corrisponde minor tempo impiegato con telefonini, desktop e Tv

Prince EA, il produttore cinematografico poeta e rapper statunitense che ha fondato il movimento Make S.M.A.R.T. Cool con l’obiettivo di promuovere l’intelligenza, il libero pensiero, l’unione e la creatività nella musica e nella cultura rap ed hip hop, nonché titolare di un canale YouTube da 160 milioni di visualizzazioni, in uno dei suoi recenti contenuti social ha così chiosato: «Chiamami matto ma io vorrei un mondo dove sorridiamo quando la batteria del telefonino sta per finire». Al primo sguardo questa affermazione può sembrare innocua oppure mirata a suscitare sorrisi ironici o increduli. Sappiamo tutti quanta ansia ci dia una batteria che sta per lasciarci quasi peggio di un vestito scucito che rischia di lasciarci nudi per strada. E tuttavia invece innocua non è. Al contrario ci anticipa un trend già ben delineato.

Con una media globale di connettività internet di quasi sette ore al giorno generata dalla dipendenza dallo smartphone che sempre teniamo in mano, abbiamo permesso che quasi tutte le nostre esperienze umane vengano mediate dalla tecnologia. La comunicazione, la mobilità, il lavoro, il divertimento, le passioni, gli interessi… tutto passa dalla mediazione tecnologica, anche l’istruzione o l’assistenza sanitaria. Ma adesso che questo modello si è radicato, sapremmo e potremmo rinunciarvi o abbiamo raggiunto il punto di non ritorno?

Per esempio, quanti di noi saprebbero vivere, lavorare, relazionarsi e comunicare senza email? Allo stesso modo, quanti di noi saprebbero chiedere di rapportarsi con un medico in carne e ossa e non con una intelligenza artificiale preposta alla funzione? Guardate che è un domani molto più vicino di quanto crediamo! Nel 2017 a dichiarare l’uso di strumenti a comando vocale era il 34% degli utenti globali del web, nel 2019 era già il 43%, e con lo sviluppo migliorativo che questa tecnologia sta avendo, la diffusione d’uso può essere sorprendente. Una ricerca di Capgemini per esempio, dice che i consumatori hanno attribuito lo stesso livello di fiducia ai consigli sui prodotti dati dagli assistenti vocali rispetto a quelli dei venditori in carne e ossa. Negli Stati Uniti quattro utenti internet su dieci preferiscono usare i servizi automatizzati delle aziende piuttosto che parlare con il servizio clienti.

Quindi stiamo rinunciando al “tocco umano” per il tech? Non è così, le fasce più patrimonializzate della popolazione già si sono poste molte domande e hanno scelto dimensioni di vita che le distinguano dalle masse. Il “tocco umano”, contro le esperienze tecnologiche di massa, è il loro nuovo lusso. Spendere per prodotti artigianali e non industriali, per alimenti provenienti da agricoltura familiare e non intensiva, per mandare i propri figli in scuole senza tecnologia (o come dicono le élite tecnologiche in Usa: back-to-basics) è il segnale dell’emergente tendenza alla “premiumizzazione” delle abitudini.

Come osserva un illuminante recente articolo del New York Times: nel tentativo di porre rimedio al digital divide potremmo averne prodotto un altro in cui i cardini dell’interazione umana come le lunghe conversazioni, il contatto visivo, le manifestazioni d’affetto, il gioco, la cura, sono sempre più a carico di schermi e assistenti vocali che nelle famiglie a basso reddito devono sopperire al costo di genitori, insegnanti e operatori sanitari. Dunque, il tocco umano potrebbe diventare un nuovo indicatore di classe sociale? Negli USA, in Canada, Australia, Europa e Giappone il trend è già evidente: al più alto reddito corrisponde minor tempo impiegato con telefonini, desktop e TV.

Siamo a un bivio cruciale: perderci per sempre in una sorta di autodeterminazione incontrollata o tornare alla nostra essenza originaria che individua nell’essere umano la migliore delle tecnologie mai esistite su questo pianeta lasciando che la tecnologia si contamini con la filosofia e con l’arte e si doti di uno scopo e di un senso che vadano oltre i soli principi di utilità e impongano all’economia di incarnarsi non solo nel concetto di redditività ma anche di impattare la collettività e il Pianeta in maniera orientata al perseguimento di un vantaggio comune per l’intera umanità. Solo chi sarà ispirato de una vera vocazione profonda al bene comune, potrà considerarsi veramente un innovatore. La vera innovazione sarà muovere negli altri un autentico senso di gratitudine.

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