«Etichettiamo dati e informazioni che trasmettiamo ai computer perché vengano elaborati dall’algoritmo» mi dice Wang Fei. «Tutto è funzionale all’Internet delle cose, alle self-driving car, alle smart city e ai loro quartieri sicurissimi, in cui sarà possibile identificare i criminali grazie a un’immagine».
Quella che ho visitato è una delle centinaia di migliaia di aziende che attualmente in Cina si occupano proprio di catalogazione di dati, per rendere sempre più accurate le tecnologie del futuro. Riconoscimento facciale e vocale, Internet delle cose, automazione, big data, tecnologia blockchain. La Cina, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, punta a diventare un «paese innovativo» entro il 2020 e una nazione «leader nella tecnologia» entro il 2050. Un cosiddetto data-tagger, l’operaio della Nuova Cina addetto alla catalogazione dei dati, colui che sta rapidamente prendendo il posto della manodopera a basso costo della «fabbrica del mondo», può elaborare fino a quaranta foto al giorno, per uno stipendio mensile di circa 300 euro.
La corsa cinese ai big data, al riconoscimento facciale e all’intelligenza artificiale si inserisce in un progetto governativo, tradotto in una campagna vera e propria all’interno del Sogno cinese di Xi Jinping. Non è un caso che negli ultimi anni lo sviluppo di queste tecnologie sia stato propagandato attraverso iniziative ed eventi, e che l’AI sia diventata una materia di studio già a partire dall’istruzione primaria, con annesso monitoraggio degli alunni durante le lezioni attraverso «telecamere intelligenti».
Il riconoscimento facciale, nel Celeste Impero, è già realtà, con i più disparati utilizzi: nei convitti universitari non si sgarra più, le palazzine hanno rinunciato ai portieri ma grazie a questa tecnologia l’orario di rientro degli studenti è scientificamente registrato (e di conseguenza rispettato). Negli uffici e nelle aziende nessuno è costretto a esibire un badge di ingresso, è sufficiente uno sguardo nella videocamera. In molti attraversamenti pedonali di Shanghai, il volto di chi cammina senza rispettare le strisce viene riconosciuto e proiettato su schermi giganti, in una sorta di pubblica gogna cui fa seguito la classica contravvenzione.
Ho sperimentato personalmente la face detection al Beijing Capital International Airport, al momento del controllo passaporto, in piazza Tienanmen, per poter entrare nella zona antistante alla Porta della Pace Celeste e al famoso ritratto di Mao Zedong, nei bagni pubblici del Tempio del Cielo, sempre a Pechino, per ritirare la dose consentita di carta igienica e non prelevarne più del necessario (da regolamento: non più di 60 centimetri a utente ogni 9 minuti, chi si ripresenta per un’immediata nuova elargizione viene cortesemente invitato a «riprovare più tardi»).
Fermarsi in un angolo qualunque di Shanghai, Canton, ma anche di città più piccole come la capitale della provincia dello Yunnan, Kunming (che ha «solo» sei milioni di abitanti…), significa venir ripresi da più telecamere, essere scannerizzati e vedere i propri dati personali incrociati con altri dati sensibili, come l’acquisto di un prodotto o le informazioni raccolte in un momento di attesa prima che il semaforo diventi verde in un’altra zona della città.
Nel 2018 in Cina erano in funzione già duecento milioni di telecamere di sorveglianza. Ne verranno aggiunte altre, fino ad arrivare a una videocamera ogni tre persone.
Oltre a utilizzi pratici come il pagamento al ristorante o il monitoraggio degli ingressi negli uffici pubblici, nelle università, nelle banche e via dicendo, la video recognition trova applicazione soprattutto nello svolgimento di attività di controllo nel campo della sicurezza. Secondo le autorità cinesi consente infatti di prevenire varie forme di delinquenza e ostacola attività in grado di minare la «stabilità sociale». Inquadrare il volto di un individuo con precedenti penali mentre passeggia davanti a una banca potrebbe contribuire a sventare con largo anticipo e con un minimo impiego di risorse una potenziale rapina. Per controllare che tutto proceda senza incidenti – all’interno di stazioni, metropolitane e aeroporti, ovunque ci siano spazi non raggiungibili da telecamere fisse – i poliziotti cinesi hanno in dotazione degli occhiali su cui è montata un’unità mobile per il riconoscimento facciale, che rende molto rapida l’identificazione di individui sospetti.
Il campo di ricerca e sviluppo dell’AI è talmente vasto e importante che si estende anche al di fuori dei confini nazionali. Si pensi al ruolo di driver economico della Cina in Africa. Ebbene, le relazioni con i paesi africani comprendono anche sperimentazioni legate all’intelligenza artificiale. Lo Zimbabwe, per esempio, ha sottoscritto una partnership con una società cinese con sede a Guangzhou che intende perfezionare il suo livello tecnologico: il riconoscimento facciale applicato su una popolazione a maggioranza nera, secondo gli scienziati cinesi, consentirà infatti di classificare e identificare più chiaramente altre etnie.
La corsa all’AI, a oggi, coinvolge quindi già ogni aspetto della vita di un cittadino cinese: acquisti, investimenti, trasporti, educazione, formazione. Tutto questo ha un impatto sull’economia e si traduce in un nuovo balzo economico e tecnologico che punta a far diventare l’industria dell’intelligenza artificiale un traino per il prodotto interno lordo, come stabilito dal piano Made in China 2025. Le macchine intelligenti possono trasformarsi in un volano per la produzione manifatturiera, per le scienze medicali, per le ricerche aerospaziali, e, più in generale, per l’Internet delle cose, ma continueranno a essere anche un potentissimo strumento di controllo sociale, al servizio del Partito comunista cinese. Interessante il fatto che, a partire dal 1° dicembre 2019, le compagnie telefoniche hanno reso obbligatoria la scansione dei volti dei clienti che acquistano una nuova sim card.
L’innovazione tecnologica si innesta su un tessuto di sperimentazioni sociali di portata ben maggiore.
Dopo un primo programma pilota per misurare la condotta degli abitanti lanciato nel 2010 a Suining, città della Cina sudoccidentale, nel 2014 il governo cinese ha ufficialmente inaugurato su scala nazionale il «sistema dei crediti sociali», 社会信用体系 (shèhuì xìnyòng tǐxì), per una società virtuosa. È interessante notare come la parola xìnyòng, «credito» in mandarino, comprenda il senso di «affidabilità» e «sincerità», e abbia quindi un significato più ampio rispetto al termine inglese e italiano, contenendo un’accezione positiva.
Secondo il sistema dei crediti sociali, che dovrebbe essere reso operativo su tutto il territorio entro la fine del 2020, ogni cittadino cinese parte da un punteggio basato sui dati raccolti da società pubbliche e private, che può aumentare o diminuire a seconda del suo comportamento, in riferimento a «parametri morali» decisi dallo Stato o dalle amministrazioni locali.
Ecco alcuni esempi: passo con il semaforo rosso? Perdo 50 punti. Dono il sangue? Più 45 punti. Disturbo gli altri passeggeri in treno? Addio 25 punti. Partecipo a un evento organizzato dal governo cittadino? 40 punti conquistati. Non pago le bollette in tempo? Spariscono 35 punti, e così via. I «bravi cittadini» (categoria A) vengono premiati con sconti sulle bollette, esenzione dal pagamento della caparra negli alberghi, finanziamenti agevolati. I «cattivi» (categoria D), invece, incorrono in sanzioni come il divieto di acquisto dei biglietti di treni e aerei e il mancato accesso ad alcuni impieghi statali. Nel mezzo, ci sono anche le categorie B e C. Nel mese di marzo 2019, sommando vari progetti pilota in diverse zone della Cina, circa mille persone si sono viste negare la possibilità di comprare biglietti ferroviari e aerei, a causa di un inadeguato punteggio sociale.
Al momento, non esiste ancora un unico database che accentri e uniformi la raccolta dei punteggi di tutti i cittadini cinesi; esistono i crediti sociali applicati alle aziende, i progetti pilota in cui alcuni cittadini sperimentano un loro punteggio, le black list e le red list e il credito sociale di natura finanziaria uguale a quello che viene usato da noi.
Il traguardo del governo cinese sembra essere quello di riuscire col tempo a convogliare le «pagelle sociali» di tutti i cittadini in un grande archivio dati, uno scenario che inquieta l’Occidente, ma che pare non preoccupare affatto i cittadini del gigante asiatico. I quali, anzi, sembrano apprezzare il metodo e le sue finalità: garantire un ambiente economico e sociale sicuro e basato sulla fiducia.
da Nella testa del Dragone. Identità e ambizioni della Nuova Cina, di Giada Messetti, Mondadori 2020