Dal fronte dell’autoreclusioneGuida in dieci punti (più uno) alla vita in zona rossa, scritta da chi ci abita da tre settimane

Luciana Grosso è a Lodi dall’inizio delle misure restrittive, ora che tutti sono costretti dell’autoreclusione può condividere la sua esperienza con chi adesso comincia la sua quarantena

E così, adesso, tutto il mondo è Codogno, Casalpusterlengo, Lodi (che rossa è stata per un giorno, ma che, per ragioni di continuità territoriale, ci si sente da tre settimane).

Ora che tutti (ma proprio tutti) in tutta italia sono costretti dell’autoreclusione e (finalmente) si parla di divieti e chiusure radicali, stanno succedendo due cose: la prima è che nessuno sa da che parte voltarsi. La seconda è che noi campagnoli lodigiani, siamo gli unici a saperlo, almeno un po’.

Così, proverò a dare qualche rapido consiglio di sopravvivenza al resto d’Italia.

  1. Supermercati
    No, i supermercati non chiudono, in nessun caso. Anzi. Se i vostri concittadini, ovunque siate, hanno dato l’assalto a carrelli e corsie, sappiate che hanno fatto male. Non tanto (e non solo) perché si sono creati gli assembramenti e le scene da apocalisse che sappiamo, ma anche perché non serve. Nei prossimi giorni, dopo i supermercati pieni di persone e vuoti di merci, arriveranno i rifornimenti, e ci saranno supermercati pieni di merci e vuote di persone (anche perché gli ingressi saranno contingentati). E i freschi vanno pure in sconto.

  2. Il silenzio dalla strada
    All’inizio, inutile nasconderlo, il silenzio fa impressione. Il via vai di camion, macchine, autobus che fa da tappeto sonoro quotidiano alle nostre vite, tanto che non lo sentiamo nemmeno più, a un certo punto scompare. Non c’è più. E quel silenzio lì, quello che ora c’è al suo posto è un silenzio malato, sa di disinfettante e medicine e fa paura. Però dopo un po’ ci si abitua. E non si sente più nemmeno quello.

  3. Le file, fuori dai negozi
    Questo vale per tutto: per il fornaio, per l’edicolante, per la posta, per il tabaccaio: si entra in massimo 5 alla volta (in 40 nei supermercati). E gli altri? Fuori in fila a debita distanza. Fatelo. Davvero. Non solo: siate cittadini migliori di chi sta scrivendo queste righe e resistete alla tentazione di attaccar briga con chi non lo fa. Fatelo passare, cedetegli il turno e buona notte.

  4. Il calo di tensione
    Tanto vale dirlo subito: dopo i primi giorni di massima attenzione, di guanti, provviste al supermercato e paranoia, inevitabile, arriva il calo di tensione. La voglia di bere un caffè al bar, di fare shopping in centro, di vedere un amico. In teoria si può fare, in pratica è meglio evitare.

  5. Lo smartworking
    Parola magica che significa lavorare da casa. In teoria è bello, funziona, fa risparmiare tempo e denaro e rende più produttivi, sia al lavoro che a casa. In realtà è una faccenda difficile che, specie dopo i primi giorni, richiede autodisciplina, forza di volontà e social bloccati. Inoltre richiede anche sciocchezzuole tipo qualcuno che vi tenga occupati i figli, se ne avete; un datore di lavoro illuminato che non storca il naso pensando che stiate marcando visita e soprattutto una agilità tecnologica e mentale che poche aziende private e pochissime pubbliche hanno. Ci sarà da lavorare molto in merito. Appuntiamocelo, per quando sarà finita la buriana.

  6. La paura, quella vera
    Mettetelo in conto: a un certo punto, nella vostra cerchia più o meno ristretta di amici, inizieranno a diventare consuete parole tipo “Tampone”, “Positivo”, “Febbre”, “Quarantena”, “ATS” (vuol dire autorità tutela salute, se ancora non siete avvezzi alla faccenda). Prima o poi qualcuno di quelli che conoscete si ammalerà. Probabilmente se la caverà con un po’ di febbricciattola e molto spavento. Ma la paura, per lui e per voi, sarà tanta, così come forte sarà il senso di accerchiamento. Personalmente è una sensazione che non vi auguro.

  7. I convenevoli
    In merito a questo, bene saperlo, cambia tutto. Non solo perché se vi capita (in una delle rarissime uscite possibili) di incontrare un volto amico non potrete né abbracciarlo, né dargli i (truzzissimi) due baci di ordinanza. Ma perché lo terrete a distanza e anzi, se prova ad avvicinarsi, lo guarderete con sospetto e paura. Vi sorprenderete a fare il conto a ritroso di tutti quelli che avete incontrato negli ultimi giorni e inizierete a sbirciare i loro social per scoprire se stanno bene. Forse, siccome l’animo umano è un po’ meschino, sarete più preoccupati per voi, che per loro. Ma non fatevene un cruccio troppo grande: la paura è paura. Comunque c’è un aspetto positivo: d’ora in poi quando incontrerete o sentirete al telefono qualcuno e chiederete “Ohi, come stai?”, non sarà più tanto per dire. Adesso vi interessa davvero.

  8. Quelli che «ma sì, è solo un’influenza»
    Teneteli a almeno un metro di distanza e evitate ogni contatto. Hanno la pirlite, che è peggio del CoronaVirus.

  9. La febbre
    Probabilmente è dalle scuole elementari che non guardavamo con tanta apprensione il termometro. Un tempo la salvezza e il sollievo arrivavano a 37 e 1. Ora, invece, arrivano a 36,9.

  10. Gli ospedali
    CoronaVirus non significa solo malattia, crisi respiratorie e terapia intensiva. Significa anche che se vi rompete un dito non potete andare al pronto soccorso. Occhio, guidate con prudenza e andateci piano con il bricolage.
    Bonus

  11. Tolstoj & co.
    I profili social di VIP veri o sedicenti tali sono pieni di buoni consigli su come impiegare il tempo a casa, da Jovanotti che impara a suonare un nuovo strumento, a chi consiglia di leggere, cucinare, fare l’uncinetto. Tutte cose ottime e lodevoli. Ma se invece che di leggere ‘Guerra e Pace’ vi va di sfondarvi di Playstation, va bene lo stesso. Ne avete facoltà. Non lo diremo a nessuno.

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