Smells like a Jax spiritLa strada per il vaccino passa da Seattle, ma ci vorrà più di un anno

Negli Stati Uniti sono cominciati i primi test su un campione di 45 volontari. La procedura richiede per forza tempo e non si avranno risultati concreti prima di 18 mesi. In tutto il mondo sono 35 le iniziative messe in campo, alcune anche innovative

Ed JONES / AFP

Sarà quello giusto? A Seattle è cominciata lunedì 16 la sperimentazione di quello che, secondo gli studi, dovrebbe essere il primo vaccino in grado di proteggere dal coronavirus. Il test coinvolge 45 volontari, tutti in buona salute, che riceveranno dosi diverse del farmaco, messo a punto dal National Institute of Health insieme a Moderna Inc. Come si sono premurati di spiegare da una settimana, cioè da quando è uscito il bando per la ricerca di persone disposte a sottoporsi all’esperimento, non c’è rischio di infezione: nel vaccino non c’è il virus.

È una strada «simile a quella dei vaccini per il virus Zika e per il metapneumovirus», basati sulle istruzioni genetiche stesse estratte dal RNA messaggero, ha l’obiettivo di «capire se il farmaco non induca effetti collaterali preoccupanti», preparando la strada per sperimentazioni più ampie.

In ogni caso, si parla comunque di 18 mesi di attesa prima di poter produrre un vaccino pronto per un utilizzo diffuso, come ha dichiarato il dottor Anthony Fauci, direttore del NIH e diventato celebre per aver corretto in pubblico il presidente Usa Donald Trump. I partecipanti dovranno, nel corso di 14 mesi, sottoporsi a 11 visite di persona (quella di screening iniziale, due per la somministrazione del farmaco e otto seguenti per monitorare gli sviluppi) e se i risultati saranno coerenti e incoraggianti si potrà passare alla fase successiva.

Nel resto del mondo sono già 35 le aziende e gli istituti accademici che hanno cominciato la corsa al vaccino. Non c’è ancora niente di concreto, ma la velocità con cui si sono mossi, spiega questo articolo del Guardian, non ha precedenti. Prima di tutto perché i cinesi, i primi a essere colpiti dal contagio, hanno sequenziato il materiale genetico del SARS-CoV-2 e lo hanno condiviso con la comunità scientifica mondiale, che ha potuto riprodurlo in laboratorio e conoscerne i meccanismi di infezione.

Poi perché non si era del tutto impreparati. Il coronavirus che oggi causa la pandemia, è parente stretto di quelli responsabili della SERS e della MERS, epidemie che hanno indotto gli scienziati a occuparsi per la prima volta di questa famiglia virale con ricerche mirate a neutralizzare il suo potenziale patogeno. La ricerca di Moderna Inc è partita proprio dal lavoro del National Institute of Allergy condotto contro il virus della MERS.

Un approccio diverso è quello adottato da Novavax, altra azienda americana, che è pronta a sperimentare un vaccino “ricombinante”: si estrae il codice genetico della proteina dello spuntone sulla superficie del coronavirus, la parte più pericolosa perché è quella che provoca una reazione immunitaria negli esseri umani (è questo uno dei rischi: la polmonite interstiziale è il risultato della risposta dell’organismo all’attacco del virus) e poi lo si introduce nel genoma di un batterio, o di un lievito, obbligandoli a riprodurla in grande quantità.

Resta fermo il limite (già di per sé da record) di un anno e mezzo: oltre alle ricerche, i test, le campionature, i possibili riorientamenti (non tutte le strade funzioneranno, anzi la maggior parte non lo farà) ci sarà anche il problema della produzione su larga scala, del reperimento degli ingredienti (cosa niente affatto scontata in una epoca di pandemia) e del costo. È molto probabile che l’emergenza passerà prima che arrivi un rimedio definitivo. Che comunque sarà il benvenuto, soprattutto se il virus diventerà endemico (come quello dell’influenza), con scoppi stagionali.

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