RKI. La strategia contro il coronavirus, in Germania, si può riassumere in questa sigla di tre lettere: il Robert Koch Institut, l’Agenzia Federale responsabile per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive. Fin dall’inizio della crisi, prima ancora che l’OMS dichiarasse ufficialmente la pandemia l’11 marzo, gli esperti del RKI hanno affiancato le istituzioni nel compito di individuare ed implementare le misure necessarie per rallentare i contagi, oltre che nel delicatissimo incarico di comunicarle ai cittadini.
I piani di emergenza in caso di pandemia, messi a punto dall’istituto a partire dal 2005 e consultabili online, hanno rappresentato le linee-guida di riferimento, aggiornate a queste circostanze straordinarie. Dopo l’accertamento del primo caso tedesco, il 27 gennaio, il Ministro della Sanità Jens Spahn ha condiviso la strategia con gli esperti del RKI praticamente in tutti gli ambiti, dalle raccomandazioni per le misure da intraprendere alle conferenze stampa.
La prima fase della gestione della crisi, quella di contenimento, ha cercato di individuare e circoscrivere il prima possibile le zone di contagio per ricostruire velocemente le catene di diffusione del virus allo stadio iniziale e poter isolare i casi positivi. Una strategia aiutata dall’elevato numero di laboratori, sparsi nei vari Länder, che possono effettuare ed elaborare fino a 160.000 a settimana: fattore che spiega l’alto numero di contagi registrato in Germania ma il bassissimo tasso di letalità.
Grazie a questa capacità di censimento è ipotizzabile che la differenza fra i casi noti e quelli sconosciuti sia molto più contenuta; inoltre, il monitoraggio ha permesso di identificare i contagi anche al di fuori dei gruppi a rischio, tanto che l’età media dei malati è di circa 46 anni, mentre altrove è ben più alta.
L’introduzione delle misure di contenimento e di protezione è stata progressiva: ai primi di marzo Spahn ha proposto la cancellazione di tutti gli eventi con più di mille partecipanti, introdotta poco dopo da numerosi Länder. Nei giorni successivi scuole e asili sono stati chiusi, fino alle disposizioni del 22 marzo che hanno sancito il divieto di incontro all’aperto per gruppi di più di due persone (con l’eccezione delle famiglie e dei coinquilini) e la chiusura di negozi e servizi non essenziali.
Uscire all’aperto è consentito, anche per fare sport – un’attività anzi decisamente incoraggiata – ma con la dovuta cautela e rispettando il metro e mezzo di distanza dagli altri. Non sono previste sanzioni né la presentazione di documenti che mostrino la necessità di lasciare il proprio domicilio – sebbene alcuni Länder come la Baviera, la Sassonia o il Saarland abbiano adottato misure più restrittive in questo senso.
Un aspetto decisivo che sembra aver funzionato bene è la comunicazione dell’emergenza, finora univoca, chiara, dettagliata. Non ci sono state sovrapposizioni dei protagonisti in campo: Spahn ha chiarito immediatamente che il virus sarebbe arrivato anche in Germania e ha parlato sempre insieme agli esperti del RKI, che tengono una conferenza stampa di aggiornamento ogni giorno dal lunedì al venerdì.
Tabelle ed infografiche elaborate del ministero hanno fin da subito illustrato in maniera semplice e chiara i punti centrali delle misure introdotte: cosa resta aperto e cosa chiude, quali sono le limitazioni, quali le raccomandazioni, cosa è consentito e cosa è sconsigliato. Il governo ha scelto di puntare sul senso di responsabilità dei cittadini, senza introdurre divieti a tappeto o mandando l’esercito a pattugliare le strade.
Una strategia di questo tipo è stata possibile però anche grazie a ragioni legate ad aspetti strutturali. Fin dalle prime conferenze stampa Spahn ha ricordato che, dal punto di vista ospedaliero, la Germania è pronta ad affrontare l’emergenza. La Germania è il primo paese europeo per letti di terapia intensiva, 28.000 unità, pronti a reggere l’afflusso di un gran numero di malati nonostante circa il 70% dei posti sia già occupato da pazienti affetti da altre patologie. Per questo, il governo federale ha previsto misure per aumentare la capacità del 20% e provare a evitare situazioni di saturazione, principale vera causa di decesso in Europa.
Le tradizionali politiche di bilancio, accorte a evitare aumenti incontrollati del debito, hanno consentito di avere molto margine per affrontare anche le altre conseguenze dell’emergenza, quelle economiche.
I lavoratori restano a casa e, se non si può fare home office, non lavorano. Questo ha naturalmente generato alcune richieste da parte delle aziende, che hanno chiarito di avere bisogno di sostegno, puntualmente arrivato: un pacchetto da 750 miliardi di euro, con la possibilità di contrarre debito fino a 156 milioni, ratificato dal voto del Bundestag il 25 marzo.
Una misura imponente che rompe quello che era diventato un vero e proprio tabù: lo schwarze Null, lo “zero nero” ereditato da Wolfgang Schäuble, il rifiuto di creare debito nel bilancio federale, che l’attuale governo si era impegnato a non mettere in discussione in alcun modo.
Essere preparati non vuol dire però aver risolto tutti i problemi. In primo luogo, tutti sono ben consapevoli che il peggio deve ancora arrivare. Come il RKI ha ripetuto più volte, il picco del contagio non è ancora stato raggiunto, e solo nei prossimi giorni si potrà trarre un primo bilancio delle misure prese finora, che comunque rimarranno in piedi almeno fino al 20 aprile.
Un altro punto critico è rappresentato dalla struttura istituzionale del Paese, la sua natura federale: la maggior parte delle competenze in ambito sanitario risiede nei Länder, che hanno ampia discrezione in materia. Questo ha reso talvolta problematica l’adozione di misure omogenee e coordinate a livello nazionale, con casi di eventi cancellati in una regione ma consentiti e regolarmente svolti nella regione a fianco – dalle partite di calcio alle sfilate di carnevale.
Per rendere più rapida l’adozione di misure federali, il Parlamento ha votato, il 27 marzo, due pacchetti di misure straordinarie a sostegno del Ministero della Sanità: oltre a ulteriori fondi, è previsto un abbattimento di alcune barriere burocratiche che dovrebbero rafforzare il coordinamento nella gestione dell’emergenza sanitaria.
Pur dalla sua quarantena, Angela Merkel continua a guidare il Paese e ad ispirare calma e fiducia nei tedeschi: la maggior parte di loro è soddisfatta del modo in cui il governo sta affrontando l’emergenza, e reputa adeguate le misure introdotte per combattere la diffusione del virus.
Nel suo discorso alla nazione trasmesso in tv il 18 marzo – la prima volta al di fuori del tradizionale appuntamento di fine anno – la Cancelliera ha sottolineato la gravità del momento definendolo «la sfida più difficile dai tempi della Seconda Guerra Mondiale»: parole che naturalmente hanno in Germania un peso ancora maggiore che altrove.
Molti tedeschi tirano un sospiro di sollievo sapendo che al timone c’è ancora lei: ma il pensiero che all’orizzonte non si intraveda un leader capace di raccoglierne il lascito desta più di una preoccupazione. E la questione della successione, che tiene sospesa da anni la politica tedesca, ritorna prepotente.
Il fallimento dell’erede designata, Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK), ha aperto una fase di incertezza ancora più grande; tuttavia, in questi giorni difficili ci sono almeno tre attori che potrebbero diventare i protagonisti dello scenario che verrà.
Il primo è proprio Jens Spahn, il ministro della Sanità: sconfitto alle primarie del dicembre 2018 per la guida della CDU, c’erano pochi dubbi che rientrasse in partita dopo le dimissioni di AKK. E infatti ha annunciato la sua candidatura, anche se “solo” come vice di Armin Laschet, attuale Ministerpräsident della Renania Settentrionale-Vestfalia: una mossa a sorpresa, ma che potrebbe anche essere legata proprio all’emergenza coronavirus. Naturalmente ora tutta la macchina del congresso CDU per l’elezione del nuovo leader, originariamente prevista per il 25 aprile, è in pausa, ma è ipotizzabile che il Ministro della Sanità abbia deciso di limitarsi a un ruolo di comprimario proprio per non compromettere l’impegno che la gestione della crisi gli avrebbe richiesto.
Non si può dire che finora Spahn abbia fatto male: è una delle figure di riferimento per i tedeschi, ed è chiaro che il futuro della CDU passa anche da lui.
Il secondo attore è Olaf Scholz, ex-sindaco socialdemocratico di Amburgo e potentissimo Ministro delle Finanze, nonché vice-Cancelliere. Le straordinarie misure economiche messe in campo dal governo portano il suo nome, ed è lui che verrà ricordato come l’uomo che ha messo in soffitta lo schwarze Null di Schäuble: una mossa anche simbolica che lo riporta ai vertici della SPD.
Per il terzo attore protagonista, invece, bisogna tornare dalla parte destra dello spettro politico, ma scendere un po’ a sud, verso la Baviera: in un Land profondamente colpito, il Governatore e capo della CSU Markus Söder sta rapidamente emergendo come uno dei leader più autorevoli e ammirati.
Söder è stato uno dei primi a prendere misure molto restrittive, ma la sua popolarità non ne ha risentito, anzi: per la prima volta ha scalzato Angela Merkel come politico più apprezzato dai tedeschi, un risultato che lascia chiaramente intendere come i bavaresi della CSU avranno parecchie carte da giocare quando i conservatori dovranno scegliere il loro candidato alla Cancelleria per le elezioni politiche del 2021.
La crisi legata al coronavirus sta rendendo la fine dell’era Merkel ancora più complicata di quanto già non fosse, e i contorni della Germania post-Kanzlerin sono ancora tutt’altro che chiari: ma è evidente che quei contorni saranno plasmati, fra gli altri, anche e soprattutto da questi tre protagonisti in cerca di leadership. Da Spahn, da Scholz, da Söder.