Diciamocelo così, pane pane e vino al vino: o gli stati dell’Unione europea si mettono d’accordo per utilizzare tutti gli strumenti immaginabili, non solo quelli già esistenti, per insufflare ossigeno nell’economia, indebitandosi e tagliando i debiti privati, o la vittima più eccellente del coronavirus sarà l’Europa così come la conosciamo. Ma, come dice Mario Draghi, qui liberamente parafrasato, bisogna fare in fretta.
Il Consiglio europeo, che da un orecchio non ci sente, ha però deciso di fare con comodo. Pare si sia preso un paio di settimane per decidere.
Sino a poco tempo fa la proroga ed il rinvio delle decisioni veniva considerato un vezzo tipicamente mediterraneo, per lo più italico. Oggi, invece, in questa Europa, messa sottosopra da un microrganismo acellulare, i nuovi temporeggiatori, in applicazione del principio “chi fa da sé fa per tre”, sono gli efficientissimi e metodici tedeschi, col sostegno interessato dei levantini d’Olanda.
I teutonici, teorici rigorosi dell’ordnung muss sein (le regole vanno rispettate) in qualsiasi circostanza – tempeste, terremoti, invasioni di cavallette comprese – evidentemente fanno fatica a prendere in considerazione la possibilità che possa esistere lo stato di eccezione.
Non bisogna stupirsi né indignarsi, è solo una questione di weltanschauung: per loro il mondo va (sempre e comunque) così.
D’altro canto, è possibile vedere il mondo anche da altre prospettive. Per noi dell’estremo sud, per esempio, cchiù scuru di menzannotti ‘un pò ffari (più buio di mezzanotte non può fare). Dunque, volendo, è possibile vedere la luce in fondo al tunnel in cui è stata ingabbiata quest’Europa, da chi predica rigore aprioristico anche in presenza del diluvio universale. E la luce, come è noto, splende sempre a mezzogiorno.
I paesi che, con il coraggio dettato dalla paura di perdere tutto, stanno pressando per allentare i vincoli della borsa, guardando al futuro, per salvare un’economia a rischio asfissia, ma anche un legame storico, economico e politico, trasformatosi in cappio, sono soprattutto quelli che si affacciano sul Mediterraneo: Italia, Francia e Spagna.
Questo ardire, fino a poco tempo fa inimmaginabile, ha trovato saldo ancoraggio, e al tempo stesso spinta, nelle parole di un indiscusso leader europeo, guarda caso nato e cresciuto a Roma, che ha sferzato gli Stati europei, e chi ne tiene il timone, a cambiare rotta, whatever it takes.
Un indirizzo che è stato drammaticamente invocato anche dall’inquilino del colle più alto di Roma, il quale ha esortato le cancellerie europee a superare con urgenza i vecchi schemi, ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro continente.
L’ora è tarda, le campane suonano, ma la strada è tracciata e, come tutte le strade, non può che portare a Roma.