Musica per la pesteLa playlist sul coronavirus da ascoltare sul divano

Trap, cumbia, macarena, parodie e versioni dialettali. Sui social migliaia di utenti hanno pubblicato una canzone sul virus. In quarantena si possono riscoprire anche i grandi artisti che hanno dedicato una canzone a morbi ed epidemie: Giorgio Gaber, Angelo Branduardi e Roberto Vecchioni

Fotogramma

Lo chiamavano Coronavirus: l’ultimo tormentone che gira sui social è una parodia di Bocca di rosa. L’autore è Corrado Nitto, che ne ha spiegato la genesi in una intervista al Secolo XIX. «Il video è casalingo, nato per scherzo, vedendo le immagini dei miei conterranei in fuga dalla stazione di Milano. Ecco, alla parola stazione ho abbinato immediatamente il testo di Fabrizio De André». “Lo chiamavano Coronavirus, metteva timore, metteva timore/. Lo chiamavano Coronavirus, metteva paura sopra ogni cosa/. Appena sceso all’aeroporto un tizio arrivato da un viaggio in Cina,/ tutti si accorsero con uno sguardo che necessitava un po’ di Amuchina./ Bisogna stare a una certa distanza, lavarsi le mani con molta frequenza,/ non affollare nessun locale lo dice il decreto ministeriale”. Oltre 100.000 le visualizzazioni. “Alla stazione c’erano tutti, dal commissario al sagrestano,/ alla stazione c’erano tutti, la mascherina e il cappello in mano,/ a salutare chi per un poco, senza pretese, senza pretese,/ a salutare chi per un poco portò il contagio nel paese”. Nitto spiega di essere stato fin da piccolo un ammiratore dei grandi cantautori italiani: non solo De André, ma anche Pino Daniele, Lucio Dalla e Franco Battiato, oltre che di dance, 883 e Led Zeppelin. «Ho sempre suonato strumenti come il piano, la chitarra e la batteria. Mi ci sono avvicinato sin da piccolo, visto che mio padre e prima ancora mio nonno suonavano». Sarcasmo a parte, il finale però è ottimista e patriottico. “E per concludere cari italiani/ anche se siamo tutti allo stremo/ è necessario che stiamo uniti/ e sono convinto che ce la faremo”. L’autore chiosa: “ora sono in casa, ligio alle ordinanze, perché è giusto così. Dobbiamo fare la nostra parte, non è pensabile continuare a vivere come se niente fosse perché rischiamo il collasso immediato delle strutture sanitarie“

 https://www.facebook.com/corrado.nitto/videos/10217899169688722/ 

Ma non è che si tratta di una trovata isolata, non è che si canta di Coronavirus solo in Italia, e non è neanche che ci siano solo video casalinghi. Dal Messico, ad esempio, vengono due hit, anche se curiosamente entrambe a tempo di cumbia: ritmo ormai popolare a molte latitudini, ma di origine colombiana. In compenso è messicanissima quella birra Corona che è l’unica di cui gli intenditori dicono che è l’unica che bisognerebbe bere alla bottiglia: dopo aver infilato una fettina di limone nel collo. La Corona per mera assonanza del nome è schizzata in testa alle ricerche su Google all’inizio dell’epidemia, per poi precipitare nelle vendite. E danzano brindando con bottiglie di Corona in mano appunto i membri del gruppo El capi di Oaxaca nella cumbia El Coronavirus. Estratto del testo: “godilo fratello/ il coronavirus che ti fa svenire e ti fa sentir male”.

La cumbia del coronavirus di Mister Cumbia mostra a sua volta la birra Corona: anche versione bottiglia con maschera. Il video è però soprattutto una rassegna di meme sul tema che sono circolati sui Social, anche se poi il testo ammonisce “non tutto nella vita è meme”, cercando di dare una serie di consigli. “Tutto il mondo è spaventato con una nova malattia/ si chiama Coronavirus ed è un allarme mondiale/ Coronavirus, Coronavirus/ non si tocchino la faccia e evitino gli amici”. In America Latina ha avuto un successo talmente virale che nei Social circolano video di infermieri e medici che la ballano negli ospedali.

Medici e infermieri che ballano in una ambulanza attorno al contagiato si vedono anche in Coronavirus del dominicano Yofranel: un video che parte da un colpo di tosse e che è stato un altro successo folgorante, con oltre un milione di visite tra il 9 febbraio e il 6 marzo. “Il Coronavirus a me non mi attaccherà/ tappati la bocca, non mi fari ammalare”. “Fai attenzione che gira di là il Coronavirus”.

Pure dominicano ma residente negli Stati Uniti è Kaseeno, definito da Spotify «un promettente artista urbano latino». Il suo trap coronavirus più che scherzoso è minaccioso: “il Coronaviru viry vury/ questa roba sta uccidendo”.

Zorman è invece un youtuber spagnolo. La sua El coronavirus La Canción vorrebbe essere una parodia delle fake news sull’epidemia che girano per la rete. “Ho letto in Internet che si avvicina la fine/ e in Internet nessuno ha l’abitudine di mentire o esagerare”, è uno dei versi. Il bello è che c’è gente che gli ha dato del razzista per l’esortazione a stare lontani da “cinesi, giapponesi o coreani”, e lui ha dovuto dire esplicitamente che stava appunto prendendo in giro chi sui Social fa circolare di questi consigli.

Ma tornando all’Italia e alle parodie, da TikTok è partita addirittura una gara a trasformare Macarena in Quarantena. A realizzarla per primo è stato il profilo @piu3d, seguito poi a ruota da centinaia di utenti.Dale a tu cuerpo Amuchina e Quarantena/ se ti metti una bella mascherina è cosa buena/ Dale a tu cuerpo Amuchina e Quarantena/ eeeeh Quarantena/ ecchiù (starnuto)”.

Ma anche My Sharona dei The Knack si presta magnificamente. “Se faccio la tosse/ in pubblico/ mi sento un criminale/ per ‘sto virus Corona”. È Virus Corona dei pugliesi Rimbamband.

Autori anche di una risposta ai francesi sulla storia della Pizza Corona.

E perfino Bella ciao diventa la Canzone dell’amuchina. “Un’amuchina/ mi son comprato/ virus ciao/ virus ciao/ virus ciao ciao ciao”.

Sarà la necessità di ingannare il tempo passato in isolamento che già spinse i dieci ragazzi immaginati da Giovanni Boccaccio a raccontare in 10 giorni le 100 novelle del Decameron, sarà una sana spinta a esorcizzare la paura con lo sberleffo, si può comunque già percepire un ritorno di creatività musicale popolare sia in termini di parodie che di creazioni originali, che forse a epidemia finita potrà interessare gli etnomusicologi. Ad esempio, un remix sulla risposta data a una intervista tv da un gruppo di utenti di un bar veneto. Abbiamo l’alcool che ci protegge.

Da Ancona viene un altro brano fatto in casa dal titolo espressivo. Coronavirus che te pijia un colpo. Cantata e eseguita al pianoforte da Corrado Bilò, titolare della storica trattoria “La Moretta” di Ancona, pubblicata sui Facebook è diventata virale sui Social marchigiani.

Da Ancona viene un altro brano fatto in casa dal titolo espressivo. Coronavirus che te pijia un colpo. Cantata e eseguita al pianoforte da Corrado Bilò, titolare della storica trattoria “La Moretta” di Ancona, pubblicata sui Facebook è diventata virale sui Social marchigiani.

“Coronavirus/ virus cinese/ ma voi gli date/ dellle offese” è il tormentone del trapper bolognese Trucebaldazzi in Coronavirus.

“Con Coronavirus si tromba a fatica” è l’informazione che il ghaniano naturalizzato italiano Paul Yeboah in arte Bello FIGo tiene a darci, dopo averci fatto già sapere in passato che non paga affitto e che gli piace la pasta col tonno.

Non tutti scherzano. Partendo dal testo di Domani, canzone di Mauro Pagani per la raccolta fondi dei terremotati dell’Abruzzo, la comunità cinese di Firenze ha cantato un Wuhan tomorrow – Wuhan domani in cui si invita alla solidarietà. “Dalle nuvole al fiume attraverso il sogno di ognuno/ ogni giorno il sole arriva anche in ritardo/ domani dove siamo, dove siamo”. “Insieme insieme/ andiamo andiamo/ Wuhan andiamo”.

“Facciamo finta che là fuori piove/ e che quel sole tarda ad arrivare/ Ma è solo tempo/ da rispettare./ Che ne dici, potremmo fare l’amore?”, è il consiglio che arriva da Giuliano Sangiorgi, leader dei Negramaro, con il suo Restiamo a casa. “Sono giorni/ che ci penso…/ Vorrei incontrarti,/ ma non si può./ Sono ore, lunghe ore/ passate solo ad aspettare/ che qualcuno sappia dire/ qualcosa che faccia sperare,/ che questa maledetta storia/ sia sul punto di finire/ e insieme, finalmente, noi/ domani torneremo a uscire/ A incontrarci per le strade/ come un tempo in un locale,/ con un sogno e una birra in mano/ e una strana gioia, qui, nel cuore,/ che è difficile da capire/ perché sembra sia normale./ Ma da questi giorni qui/ tutto sarà un po’ speciale”. Nell’attesa: “E intanto noi restiamo a casa, così…/ In quel cassetto ho molti libri/ e un bel film”

Più ottimista Davide van de Sfroos, che in Stiacà senza nessuno “tra le palle” si prepara ad abbuffarsi di polenta e brasato. Cantata nel dialetto del Lago di Como.

Ma è un po’ in giro d’Italia. “E quando vado in giro/ sento questa gente/ bestemmiare” è l’annotazione che viene dal Nord-Ovest con l’imperiese Alo in La mia canzone sul coronavirus.

“Panico panico/ stiamo andando di matto/ non trovo più neanche il carrello/ al supermercato” rsponde da Nord-Est trevigiano Matteo Del Puppo in Allarme rosso, che sarebbe poi una parodia del brano di Anastasio Rosso di rabbia.

“Cazzo ho mangiato il pipistrello/ frate l’ho preso proprio da quello” si lamentano dal Sud, per lo meno stando al nome, i Ventotene Gang in Coronavirus freestyle.

Dal Vietnam fa eco Ghen Co Vy, che diventato virale via TikTok spiega come lavarsi le mani. L’unica parola che si capisce in realtà è “Corona”, ma il disegno animato è abbastanza espressivo.

E da 19 paesi provengono i 50 musicisti che per sostenere la lotta al Coronavirus hanno inciso la canzone Together we can.

E pure via TikTok arriva dagli Stati Uniti It’s Corona Time – che martella il concetto per 5 minuti.

Forse a questo punto può essere allora più istruttivo tornare a altre canzoni che risalgono a prima del Coronavirus, e che però si adattano abbastanza bene. Ad esempio, La peste: brano del 1974 in cui Giorgio Gaber faceva della peste manzoniana una metafore adattabile – purtroppo – a tutte epoche. “Un bacillo che saltella/ che si muove un po’ curioso/ un batterio negativo/ un bacillo contagioso./ Serpeggia nell’aria/ con un certo mistero/ le voci sono molte/ non è proprio un segreto/ la gente ne parla a bassa voce/ la notizia si diffonde piano/ per tutta Milano./ La gente ha paura/ comincia a diffidare/ si chiude nelle case/ uno scoppio di terrore/ un urlo disumano/ la peste a Milano!”.

Anche più metaforica +Peste di Vinicio Capossella e Young Signorino. “La cura non è l’aspirina/ Crea il tuo clima, resta in cima che la peste si arrampica (la peste)/ La cura non è l’aspirina/ Crea il tuo clima, resta in cima che la peste si arrampica (la peste)/ La cura non è l’aspirina/ Crea il tuo clima, resta in cima che la peste si arrampica (la peste)/ La cura non è l’aspirina/ Crea il tuo clima, resta in cima che la peste si arrampica/ Okay”. Qua più che dalle parti di Manzoni sembra di stare in quelle di Saramago.

E più metaforica ancora Peste dei Liftiba. “L’ipocrisia, peste/ Peste, peste, e comincia la festa/ Peste, peste, mosche intorno alla testa/ Peste, peste, quanta gente in festa/ Peste, peste, mosche intorno alla testa”.

Più chiaramente ma sempre come metafora, il male rappresenta la camorra nel testo in napoletano di A’ peste di Enzo Avitabile con i Bottari. “A paura i ce fa addivinta’ furest/ E s’accirn a mamm e pat, frat,/ Un contr a nat/ Ma chi l’ha vulut, chi ce l’ha mannat./ A pest!”.

Forse sempre metafora, ma felicemente realista la epidemia descritta in Peste nera dei Dsa Commando. “Senti l’eco del rantolo della morte tra le corsie d’ospedale/ Crepando in posa fetale, strozzato da vomito fecale/ Dissenteria,vertigini, febbricitante infermità mentale/ Dio vi ha abbandonato o vi odia in modo viscerale/ Un’orda nera di ratti si arrampica dallo scarico/ Cerca un varco a morsi nella carne, espande il morbo, porta il panico/ Attratti da cataste di carcasse di corpi corrotti a cui/ Stormi di corvi in picchiata strappano gli occhi/ Putrescenza a fiotti sgorga da volti rappresi/ Nemesi divina dispensa rovina sotto un cielo cremisi”.

Il richiamo all’epidemia narrata da Boccaccio non può però richiamare al tema della Danza macabra: la fantasia appunto nata in quell’epoca in cui si vede la morte che a iniziare dal papa e dal re chiama nel suo ballo uno per volta tutti gli esseri umani. Un tema oggetto di molte raffigurazioni, ma anche ispirazione di varie canzoni. Una delle più famose è il Ballo in fa diesis minore di Angelo Branduardi. La musica utilizzata da Branduardi è quella di Schiarazula Marazula: un ballo friulano la cui partitura ci è arrivata attraverso Il primo libro dei balli accomodati per cantar et sonar d’ogni sorte de instromenti di Giorgio Mainerio, del 1578. Il testo è ripreso dalla scritta che compare sotto un affresco della Danza Macabra del cimitero di Pinzolo in Val Redena, Trentino. Branduardi la presentava però spesso con un accompagnamento di launeddas sarde e con una coreografia di danzatori pure sardi di Ballo Tondo, e il testo è “rovesciato” quasi a voler indicare che col ballo e la musica può essere l’uomo a sconfiggere la morte.

La morte che sconfigge l’uomo è invece il tema di Samarcanda, di Roberto Vecchioni. Particolarmente orecchiabile per via di un trascinante riff di violino ripreso dal gruppo country-rock americano statunitense dei Crazy Horse e arrangiato da Angelo Branduardi, è la storia di un soldato che festeggia la fine della guerra, ma a un tratto vede la morte che lo guarda. Il soldato chiede aiuto al re, che gli dà il suo cavallo più veloce per scappare lontano. Ma quando arriva a Samarcanda trova la morte che lo sta aspettando. «“Eri fra la gente nella capitale, / so che mi guardavi con malignità, / son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale, / son scappato via ma ti ritrovo qua!” / “Sbagli, t’inganni, ti sbagli soldato / io non ti guardavo con malignità, / era solamente uno sguardo stupito, / cosa ci facevi l’altro ieri là? / T’aspettavo qui per oggi a Samarcanda / eri lontanissimo due giorni fa, / ho temuto che per ascoltar la banda / non facessi in tempo ad arrivare qua. / Non è poi così lontana Samarcanda, / corri cavallo, corri di là… / ho cantato insieme a te tutta la notte / corri come il vento che ci arriverà”». Vecchioni nelle note del disco disse di aver ascoltato la storia da un americano ubriaco, ma di non aver mai trovato il racconto originale. In realtà si tratta di una favola orientale presente sia nell’incipit del romanzo Appuntamento a Samarra di John Henry O’Hara che nelle Storie di Maghrebinia di Gregor von Rezzori, oltre che nel Talmud. Però ripensiamo al soldato che fugge dalla morte per ritrovarsela all’arrivo. Non ricorda la storia della trentenne che ha pagato 1200 euro per scappare in taxi dalla Zona Rossa di Milano fino a Roma, salvo che poi quasi subito anche Roma è diventata Zona Rossa?

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