Tilt, shopper, lockerL’impossibile avventura di fare la spesa online

Bisogna scegliere il primo slot di consegna senza guardare, senza pensare. Una corsa contro il tempo, ogni frazione di secondo in più può essere fatale

(FILES) In this file photo taken on March 11, 2020 an elderly man wearing a protective mask pushes his cart as he arrives to shop at a supermarket in Codogno, southeast of Milan, a day after Italy imposed unprecedented national restrictions on its 60 million people to control the deadly COVID-19 coronavirus. - While Italy is a country of senior citizens, the oldest in Europe according to statistics, and few of them live in retirement homes, the question of their isolation is acute. (Photo by Miguel MEDINA / AFP)

Il momento decisivo della giornata sono le 23.59. Per quell’ora bisogna essere pronti con il carrello riempito di Amazon Prime Now, e pigiare “Acquista” appena scocca la mezzanotte. I cinque minuti successivi saranno un frenetico cliccare su schermate di un sito andato in tilt, consci che in questo momento migliaia di persone stanno facendo la stessa cosa, e alcune di queste le conosci pure. Se si è fortunati e la piattaforma propone di procedere, bisogna scegliere il primo slot di consegna – senza guardare, senza pensare, è una corsa contro il tempo, ogni frazione di secondo in più può essere fatale – e pagare. Alle 00.06 è tutto finito: gli slot di consegna per le 48 ore successive sono andati esauriti, bisogna riprovare tra 24 ore. Dando però un’occhiata al carrello con un quarto d’ora d’anticipo: ogni giorno qualche merce scompare, non è più disponibile, è temporaneamente esaurita, e se il sistema lo scopre al momento dell’ordinazione ti riporta indietro, facendoti perdere gli attimi preziosi. Per chi vuole provarci: abbiate pazienza, l’operazione va a buon fine in media ogni tre-quattro giorni, non di più. Cogliete l’occasione e pensate bene cosa ordinare, anche quello che vi potrebbe servire tra dieci giorni o due settimane. E se avete sensi di colpa perché fate rischiare il corriere al posto vostro, mettetele da parte: il regolamento impone di citofonare e lasciare la spesa all’ingresso, senza nemmeno vedere il cliente (con conseguente perdita della mancia): la cassiera del supermercato rischia infinitamente di più.

Il resto del commercio online – il cui volume dall’inizio della quarantena è raddoppiato – è collassato. Per entrare sul sito di Carrefour bisogna fare la fila (come al supermercato) e, una volta raggiunto il carrello, non è detto che si riuscirà a ottenerne la consegna. Il giorno dopo l’introduzione del lockdown, Esselunga aveva esaurito tutti gli orari di consegna fino alla fine di marzo, e per il momento non è possibile prenotare per nessuna data da qui alla fine dell’anno. A un certo punto il sistema ha mostrato miracolosamente un locker di Esselunga disponibile per la settimana prossima a Vigevano. Non proprio sotto casa, ma con le strade vuote poteva anche essere fattibile, se non fosse che il carrello rifiutava qualunque prodotto più grande di una confezione di cinque fette di prosciutto (probabilmente il cassetto era rimasto disponibile proprio perché minuscolo). L’aggregatore di Supermercati 24 ha una rete di shopper che fanno la spesa in vari supermercati e dichiara l’assenza di finestre di consegna disponibili ormai da due settimane. In altre parole, mentre ci invitano a stare a casa e a frequentare meno i supermercati, ordinare la spesa online è impossibile. Non è un caso che il comune di Milano ha fatto circolare una lista di esercizi di quartiere disposti a consegnare a casa: laddove falliscono i giganti, intervengono le formiche, e molti piccoli negozianti

Una soluzione originale è Glovo, l’unica azienda di consegne dai ristoranti che fa anche la spesa. Il sito è molto arzigogolato, e i limiti al carico dei rider in bicicletta sono di 9 kg. Potrebbe comunque andare bene per le urgenze, o per prodotti freschi. La piattaforma accetta prontamente l’ordine e il conseguente pagamento, per poi cancellare l’ordinazione dopo qualche ora. La situazione si ripete per tre volte in 24 ore. La sollecitazione di una spiegazione, nonché di un rimborso, non ottiene nessun effetto. Qualcuno però riesce a ottenere i prodotti ordinati, forse dipende anche dalla città o dall’ora. Meglio comunque non rischiare: non hanno nemmeno un numero dell’assistenza da chiamare in caso di reclamo.

I prodotti che non scadono – detersivi, saponi, ma anche scatolame, pasta e cereali, bibite, marmellate, biscotti, insomma, roba da dispensa – si possono ordinare anche su Amazon ordinario, magari con dei tempi di consegna allungati. Alcuni rivenditori che usano Amazon soltanto come piattaforma hanno cominciato a cancellare o rinviare gli ordini, inviando strazianti e-mail di giustificazione sulla carenza di corrieri e trasportatori nella loro zona. Attenzione: la notizia che Amazon sospende gli ordini di beni non essenziali, tra i quali considera anche i libri, è un fake, l’ennesimo in un’emergenza in cui il sistema mediatico si è rivelato spesso più un problema che una soluzione. La bufala è stata smentita dai fact checker americani di Snopes già il 17 marzo scorso, cosa che non le ha impedito di raggiungere nel fine settimana molti telegiornali italiani. La decisione – come si legge sui siti e i social dell’azienda, riguarda soltanto venditori di terze parti (essenzialmente cinesi) e soltanto per i trasporti e la logistica di Amazon propriamente detto, rimodellata sulla priorità della sopravvivenza in quarantena e al lavoro da casa. Qualche esperimento sulla piattaforma italiana ha permesso di stabilire che si può ordinare quasi qualsiasi cosa, inclusi oggetti futili come gioielli, con tempi di consegna al massimo di una settimana.

A Milano, basta mettere il naso fuori dalla finestra per vedere che il traffico è composto quasi per metà da furgoncini di vari corrieri e trasportatori. Le consegne – in alcuni casi anche di ordinazioni piazzate ben prima della quarantena – stanno subendo forti ritardi. E i magazzini di venditori e produttori si stanno svuotando. L’acquisto di un iPad – il vecchio Mini, dopo otto anni di onesto servizio, si è arreso proprio quando il lavoro da casa lo ha reso uno strumento necessario – ha richiesto due giorni di ricerche sui siti di e-commerce e ore di attesa ai centralini dei marchi della grande distribuzione tecnologica. Con la quarantena e lo smart working, la domanda si è impennata e trovare un tablet a prezzi accettabili è diventato un problema, e farselo recapitare in tempi stretti, anche a pagamento, un problema al cubo. Meglio non pensare a cosa succede se si rompe il telefonino. Per farsi passare il nervosismo, si possono però ordinare vestiti o scarpe: i grandi marchi dell’abbigliamento continuano a funzionare senza intoppi, anche se non è molto chiaro quando si potranno sfoggiare i nuovi acquisti: l’offerta speciale di costumi da bagno, aperta da un noto marchio, in questo momento suscita una risata isterica.

Per il momento queste difficoltà sono ancora delle piccole scocciature, da whatsappare agli amici in un tam tam di dritte e lamentele (come quella per la sparizione di farina da pane e lievito, in un momento in cui è sembrato che tutta l’Italia avesse deciso di sperimentare la pizza in casa). Ma mostra come il sistema stia funzionando al limite delle possibilità. Non si tratta di capricci, è un settore chiave. Il potenziamento dell’e-commerce e della consegna a domicilio è una risorsa strategica nel momento in cui a tutto il Paese è richiesto di stare a casa. Se posso non uscire a comprare il cibo e altri prodotti necessari, riduco il rischio per me e per gli altri. Non rischio di passare/ricevere il coronavirus dagli altri clienti in coda, dai commessi, dalle cassiere, dai passanti. Il fattorino deve lasciare la merce fuori (c’è già stato un primo caso di corriere di Amazon ammalato di Covid-19), altrimenti si possono usare i locker per il deposito e il ritiro merci, piuttosto numerosi nelle grandi città, che riducono il contatto personale a zero. Inoltre, la grande distribuzione ha gli strumenti per essere molto più sicura della consegna alla porta del macellaio o del verduraio di fiducia. Senza contare poi la possibilità di assumere molti lavoratori rimasti senza lavoro per la quarantena – camerieri di ristoranti, per dire – come corrieri, magazzinieri o addetti agli ordini ricevuti online o per telefono, lavori che si possono svolgere in relativa sicurezza e permettono di creare reddito invece di dover erogare la cassa integrazione (dove c’è) o del reddito di cittadinanza.

Ora invece il rischio è che il sistema del commercio online vada in tilt per sovraccarico, proprio mentre le autorità hanno aperto una guerra contro chi fa la spesa nel mondo reale. La riduzione degli orari dei supermercati ha già portato a un aumento delle code, e a breve porterà anche alla carenza di prodotti, per un meccanismo semplice e ben studiato: se temo la scomparsa o la minore disponibilità delle merci, ne faccio scorta, il cliente successivo vede che lo scaffale è mezzo vuoto e logicamente decide di spazzolarlo, il terzo cliente lo vede deserto e recepisce il segnale per svuotare quello accanto, e il panico diventa una profezia che si auto invera. La rete commerciale reagisce razionando la vendita di prodotti a poche unità per cranio, incentivando la spedizione nel negozio di più membri della famiglia, o più spedizioni della stessa persona, cioè esattamente quello che le nuove disposizioni più rigide sulla circolazione fuori casa cercano di impedire. Intanto molti piccoli produttori rischiano di chiudere per il collasso del sistema dei trasporti e la riduzione della domanda (mancando quella dei ristoranti), riducendo ulteriormente l’offerta disponibile sul mercato. Semmai bisognerebbe tenere i supermercati aperti 24 ore su 24, tanto il divieto di uscire di casa ha reso le città molto più sicure anche di notte. Le situazioni in cui scarseggiava il cibo, e per ottenere un pacco di pasta o di riso a testa bisognava fare una coda di ore, hanno fatto saltare non solo governi, ma interi regimi. I reclusi in quarantena devono continuare a ingozzarsi liberamente, per il bene di tutti noi.

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