«Non eravamo pronti, e questa emergenza sanitaria lancerà inevitabilmente il dibattito sulla revisione della struttura dei poteri in Italia, in tempi normali e in tempi di crisi». Alfonso Celotto, professore di Diritto Costituzionale all’Università Roma 3, è convinto che il coronavirus lascerà tracce profonde nei processi decisionali italiani e ha accettato di parlarne con Linkiesta. «Ci renderemo conto, guardando questo periodo con un po’ di distacco, che gli errori commessi sono stati moltissimi, alcuni probabilmente inevitabili, l’emergenza è l’emergenza intendiamoci, altri invece prevedibili. Se tuttavia si può contare su una struttura decisionale chiara e un’architettura istituzionale che la supporta, si può affrontare le crisi in modo più tranquillo. Così non è stato. Un buon modello per gestire una crisi imprevedibile può essere quello francese, che ha certamente la virtù di una catena di comando molto chiara», dice Celotto.
L’emergenza è un amplificatore, d’altronde. Se mostra la tenuta professionale del personale sanitario, costretto a turni massacranti, penuria di materiale, e in difficoltà di fronte a una malattia sconosciuta dai sintomi gravi e molto rapidi, allo stesso tempo manifesta l’assoluta confusione dei nostri processi decisionali.
«Lo diciamo da sempre – dice Celotto – il sistema italiano prevede troppe competenze, troppe teste, a cui si aggiunge un sistema burocratico farraginoso. Esistono già dei meccanismi di intesa tra i vari livelli di governo, ma non hanno funzionato: la mania di presenza di presidenti di regione e di alcuni sindaci e soprattutto la bulimia di atti amministrativi da parte del governo centrale e delle amministrazioni locali dimostrano che siamo un paese di azzeccagarbugli. Non sarà accettabile che tutto questo si ripeta in futuro. Il nostro armamentario si riduce alle ordinanze sanitarie e alla protezione civile: troppo poco e inadatto».
Tutto questo dovrebbe passare per un nuovo e ampio tentativo di riforma costituzionale: si tratta di costituzionalizzare procedure chiare in caso di emergenza, attribuire poteri più ampi al presidente del Consiglio, ristrutturare una volta per tutte le competenze tra Stato e regioni.
Un progetto organico che, dopo il referendum costituzionale del 2016, sembrava molto difficile da poter proporre all’opinione pubblica italiana. Oggi soltanto revisioni puntuali di pochi articoli vengono messe in cantiere, proprio per evitare di trasformare i cambiamenti della Carta in terreno di scontro elettorale. Chi rischierà il proprio capitale politico per promuovere cambiamenti profondi e probabilmente avversati da gran parte del paese? L’esperienza di Matteo Renzi è in questo senso significativa: le riforme costituzionali sono rischiose.
Secondo Celotto, tuttavia, anche questo assunto potrebbe cadere, quando tutto sarà finito: «È innegabile, la cesura c’è, i paradigmi pre-crisi non esistono più, e una spinta per portare a termine una revisione costituzionale non è da escludere. Anche perché il coronavirus renderà i cittadini più attenti all’efficienza e insofferenti a litigi incomprensibili».
L’emergenza ci ha resi anche più disponibili ad accettare limitazioni delle nostre libertà? Gli italiani sono di fatto agli arresti domiciliari da quasi un mese, e rispettano in modo molto preciso le regole imposte dal governo, tranne qualche rara e fisiologica eccezione.
Celotto non crede che questo atteggiamento sarà permanente: «Abbiamo accettato le limitazioni perché abbiamo avuto paura e abbiamo ritenuto che fossero necessarie a proteggere noi e i nostri cari. Questo consenso però non è infinito: quanti di noi conoscono qualcuno che si è ammalato? Al centro e al sud ben pochi. Il governo può pretendere che senza la sensazione di un pericolo imminente gli italiani si comportino così bene per un altro mese: la tendenza a riprendersi le libertà sarà naturale, perché naturali sono queste libertà. Che succede a Pasqua con la curva dei contagi che cala e il bel tempo?».
Quindi questo periodo di limitazione delle libertà fondamentali non avrà conseguenza nel rapporto tra lo Stato e i cittadini italiani? «Credo che questo mese di reclusione forzata abbia fatto capire agli italiani quanto le libertà fondamentali non siano scontate. La tutela della libertà personale, l’inviolabilità del domicilio, il diritto di riunione e di circolazione sono diritti ottocenteschi, che ci sembrano consustanziali alla democrazia che viviamo quotidianamente. Le prime libertà che si affermano con il costituzionalismo moderno sono le libertà dallo Stato, ora abbiamo in mente altri. Non credo però che questo ponga un precedente, al massimo apprezzeremo queste conquiste molto più di quanto facevamo poche settimane fa».