Rafi El Mazloum Il medico legale italosiriano che ha ereditato l’ambulatorio dalla madre scomparsa per il covid-19

Il 35enne cresciuto a Mira, paesino in provincia di Venezia, è rimasto da solo a portare avanti l’attività di cura aperta dai genitori nel 2003

La storia di Rafi El Mazloum, 35 anni, medico legale italosiriano e, come dice lui, «più veneto di molti veneti», serve a capire quanto potente possa essere il giuramento di Ippocrate se intrecciato alla trama poco narrata dei nuovi italiani. E dei tanti medici di origini straniere che sono emersi alla vista di tutti solo nel momento più drammatico della pandemia. El Mazloum è nato a Damasco, da genitori immigrati in Italia per studiare Medicina a Padova: suo padre Omar era pediatra e sua madre, Samar Sinjab, medico di base, anzi medico di famiglia, una figura ormai rara, se non addirittura letteraria nel sistema sanitario italiano ospedalizzato che riserva scarsa attenzione all’assistenza territoriale.

A Mira, cittadina di 35mila anime della provincia veneziana, sua madre è stata portata via dal Covid il 9 aprile. E ora, visto che la sorella Dania, pediatra (come lo è stato il padre) lavora al Lido di Venezia, è rimasto da solo a portare avanti l’ambulatorio familiare aperto nel 2003. E a parlare con i suoi pazienti che gli dicono ho perso una madre, una sorella, un’amica, una figlia.

Una famiglia, quella di Rafi El Mazloum, con una forte vocazione per la medicina, che è sempre stato il pane quotidiano. «Ne parlavamo a colazione, a pranzo e cena», racconta lui che ha reagito con un’apparente forza tranquilla al dolore devastante per la perdita della madre, che non si è tirata indietro davanti all’emergenza e ha continuato ad assistere i suoi numerosi pazienti, proteggendosi solo con una mascherina chirurgica. E mentre racconta la sua storia al telefono, i pazienti di sua madre hanno organizzato una petizione perché vogliono che sia lui a sostituirla.

«Mi sono specializzato in Medicina legale all’università di Padova, ma nel nostro ambulatorio ho sempre seguito i pazienti assieme a mia madre. Ne aveva milleseicento e conosco tutte le loro storie». A Damasco ci è nato e ha passato le vacanze estive, ma poi con la guerra non ha potuto più tornare e nel suo DNA c’è anche quel sentimento comunitario che si può cogliere solo se si cresce in Veneto. Infatti ripete il mantra che tutti, o quasi, i veneti hanno detto e ribadito in queste settimane drammatiche: «Siamo un popolo compatto e unito, ne usciremo».

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