Chi dà all’impegno politico un ruolo importante nella definizione della propria identità, in questi giorni di “clausura volontaria e responsabile” ha bisogno di meccanismi che, attraverso i social network, diano voce, dicano cose diverse da quelle prevedibili. Per questo mi pare importante reagire, farsi domande sulle scelte da compiere, attivare un’interazione. Avanzare proposte ad esempio sui temi che ha posto nella sua intervista al Corriere il sindaco di Milano Giuseppe Sala, su quegli aspetti della vita di tutti giorni che danno qualità alla vita stessa.
Dobbiamo dare voce ai cittadini non chiuderci in atteggiamenti paternalistici e sostanzialmente autoritari. Dare voce significa anche responsabilizzare. Non considerare le persone come target, bersagli da colpire, ma relazioni umane da avviare e manutenere. Per questo non possiamo considerare l’iniziativa politica un amplificatore di messaggi centrali, uno scontro tra hooligans, senza invece tentare di costruire una tela di relazioni (anche virtuali). Un riconoscimento reciproco anche e soprattutto tra pensieri diversi e contrastanti. Un’organizzazione politica non è un recinto di già convinti per sempre, il suo leader politico non è un pastore e i suoi seguaci non sono pecorelle.
Non abbiamo più bisogno di partiti sul modello (fallito) dei quelli del ‘900: la sfida di chi vuole trovare un modo adatto al nostro tempo di stare nella società impegnandosi in politica è proprio cercare di ampliare il numero di coloro che si predispongono a interagire, che non si chiudono pregiudizialmente nel proprio recinto. Peraltro se una persona non si predispone a ricevere un messaggio, la comunicazione non si attiva, domineranno incomprensione e fraintendimenti e quel processo ricorsivo e senza fine che è appunto la comunicazione non porterà a una convergenza di aspettative. Cioè una soluzione sufficientemente condivisa dei problemi.