Ci sono voluti due mesi di coronavirus, ma alla fine Giuseppe Conte ha capito come si negozia in Europa. Dopo aver evocato dei complotti sul Mes, come fosse la Spectre, e aver invocato a gran voce gli eurobond, come se bastasse la parola per far sparire la recessione, il presidente del Consiglio si è accodato alla proposta di Francia e Spagna sui recovery bond. L’unica opzione concreta sul tavolo e realizzabile in tempi relativamente brevi.
E così Conte ha scoperto che fare una battaglia politica su un piano concreto basato sui trattati, ottiene molti più risultati di un’utopia agitata come una clava per spaventare gli alleati nordici e ringalluzzire i sovranisti nostrani. Niente più dichiarazioni avventate da ritrattare, niente interviste a giornali e tv straniere solo per creare compassione o sfogare risentimento, neanche una parola sui debiti di guerra della Germania, la Troika in Grecia o i paradisi fiscali olandesi.
Anzi, Il presidente del Consiglio ha fatto quello che doveva fare il primo giorno: accettare il Mes senza condizionalità e appoggiare il recovery fund. Ovvero quello che aveva già ottenuto con un certo pragmatismo il ministro delle Finanze Roberto Gualtieri all’Eurogruppo del 9 aprile, anche se Conte lo ha spacciato come un gigantesco passo in avanti: «Grandi progressi, impensabili fino a poche settimane fa».
Impensabile forse, per un Paese come l’Italia che ha scordato di essere il terzo Stato dell’Ue e da molti mesi conosce solo una strategia in Europa: fare la vittima. Lamentarsi di complotti orditi da Bruxelles, Parigi e Berlino, minacciare di far saltare l’eurozona come un kamikaze con addosso duemila miliardi di tritolo di debito pubblico se l’Europa non ci verrà in soccorso. Come se il 134 per cento del rapporto debito pubblico/Pil fosse opera dell’euro e non di una classe politica che dalle baby pensioni a quota 100 ha usato le leggi di Bilancio per elargire favori e comprare consenso.
Chissà che faccia avranno fatto olandesi, austriaci e finlandesi quando Conte ha detto in videoconferenza: «Dovremmo ricordare il concetto di solidarietà non solo nel senso di altruismo, ma anche nel senso del concetto meno romantico di “comunità di interessi». Apperò, un presidente del Consiglio che non usa una retorica all’amatriciana, ma un argomento da negoziatore. Capisce il linguaggio dell’avversario, mostra costi e benefici mettendosi nei panni altrui.
Forse Conte avrà imparato la lezione da Pedro Sanchez. Il premier spagnolo ha mostrato tanti limiti nella gestione dell’emergenza coronavirus in patria, ma in Europa fin dal primo momento ha puntato a ottenere l’accesso al Mes senza condizionalità. Niente rifiuti o demonizzazioni, solo la richiesta di una linea di credito standard per tutti senza memorandum. Forse perché la Spagna conosce le potenzialità di uno strumento che ha già usato nel 2012 per rimettere a posto il suo sistema bancario. Dopo quei 41 miliardi prestati non è mica arrivata l’apocalisse.
La sensazione è che negli ultimi anni la Spagna e Portogallo abbiano imparato da Francia e Germania come si fa a negoziare in Europa. Hanno portato al governo esponenti politici che hanno frequentato in passato le istituzioni europee, abituati a usare il linguaggio di norme e trattati per trovare un compromesso. Il ministro delle finanze portoghese, Mario Centeno, è presidente dell’Eurogruppo ed è stato decisivo per raggiungere l’accordo sul pacchetto Bei-Mes-Sure, mettendo nero su bianco la proposta di recovery bond.
Lo stesso si può dire della ministra dell’Economia spagnola, Nadia Calviño, la mente che ha perfezionato l’idea di Recovery Fund proposta per primo dal ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire. Calviño, dal 2014 al 2018 direttrice generale del bilancio della Commissione europea ha trovato la base per proporre l’idea del debito perpetuo tra le pieghe del diritto comunitario, sfruttando le potenzialità delle norme Ue senza subirle.
Preoccupato di non apparire come il nuovo Mario Monti agli occhi dei sovranisti, Conte ha gestito male la trattativa usando una tecnica da piazzista alla Trump: chiedere 100 per ottenere 50. L’Italia avrebbe ottenuto zero se al tavolo delle trattative non ci fosse stato Gualtieri, non a caso con una importante esperienza a Bruxelles nel suo cv. Dal 2014 al 2019 è stato presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo e anche lui conosce i tempi e i linguaggi dei negoziati in Europa.
Non ci illudiamo: Conte non ha fatto danni all’ultimo Consiglio europeo ma è ancora preoccupato di piacere a tutti in patria. «Devo dire la verità, che la nostra iniziativa con la lettera firmata dagli altri 8 paesi è stata molto importante perché uno strumento del genere era assolutamente impensabile fino adesso», ha detto alla fine del Consiglio europeo, dimenticandosi che il merito va a Spagna e Francia.
Il giorno prima al senato si era auto elogiato: Che dire, aveva detto «Abbiamo riservatamente anticipato una nostra proposta conforme all’articolo 122 del Trattato. Ma a noi interessa il risultato non rivendicare la primazia». Neanche a noi, quindi cerchiamo solo di portare a casa il prima possibile il migliore accordo e preghiamo che i grant su cui si discuterà in queste settimane non diventino il nuovo slogan vuoto per poi ritrovarsi senza niente in mano.