L’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria ha ideato un piano per non far crollare il prodotto interno lordo italiano e salvare le imprese dal fallimento. Costerebbe circa 70 miliardi di euro e si basa su un concetto semplice, da attuare però subito, prima che sia troppo tardi. Lo Stato dovrebbe erogare dei finanziamenti diretti a fondo perduto alle imprese che hanno perso gran parte dei loro ricavi a causa della pandemia. L’obiettivo è permettere alle aziende di continuare a pagare gli stipendi ai dipendenti, gli affitti dei capannoni e le fatture ai fornitori. La scommessa di Tria non è dare i soldi direttamente ai cittadini con misure assistenziali ma convogliare decine di miliardi attraverso le imprese affinché il sistema produttivo rimanga in piedi in attesa di ripartire dopo la pandemia.
«Non possiamo aspettare che l’anno prossimo arrivino i finanziamenti del recovery fund, anche perché in gran parte saranno dei prestiti. Lo ha detto anche domenica Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria, che non bastano assolutamente i loan. Serve anche un intervento diretto di compensazione delle perdite. Se il governo tarderà ad agire, il costo sarà molto più alto in futuro perché l’effetto di disgregazione dell’interruzione dei flussi dei pagamenti sarà già avvenuto. E il buco di bilancio diventerà una voragine», ha spiegato Tria.
Il suo pulpito non è più il ministero in via XX settembre, che ha dovuto lasciare da otto mesi, ma un webinar organizzato dal leader di Energie per l’Italia Stefano Parisi con economisti e giornalisti. La videoconferenza su Zoom è stato il terzo appuntamento del progetto #Ricostruire, un piano operativo presentato da oltre 40 tra imprenditori, professionisti, accademici ed economisti per superare l’emergenza coronavirus e rilanciare l’economia del Paese.
Secondo l’ex ministro dell’Economia non bastano i 400 miliardi di prestiti garantiti dallo Stato con il Decreto liquidità a favore delle banche che finanzieranno le imprese italiane. «I 400 miliardi per le imprese saranno 400 miliardi di nuovi debiti. Un po’ come dire alle aziende: “costruite un castello di nuovi debiti che cadrà prima o poi perché non riuscirete a restituirli”. Certo, questa misura servirà forse per alcune aziende che in questo momento hanno bisogno di capitale per ripartire ma non non è sufficiente», spiega Tria
«Ci sono dei settori e delle imprese che se tutto va bene, se la pandemia lo consente, avranno la possibilità di recuperare le perdite accelerando magari dopo la produzione. Ma altre avranno una perdita secca. Come farà un ristorante o un albergo che per tre mesi non ha avuto ricavi a ripagare il debito? L’imprenditore si troverà davanti a una scelta: restituire il debito o non pagare nessuno tra collaboratori, dipendenti e fornitori».
Per questo l’intervento di Tria non sarebbe per tutte le imprese. Il criterio di aiuto dovrebbe basarsi su dati oggettivi perché non tutti i settori hanno aziende in difficoltà e non tutte le imprese dello stesso settore sono state danneggiate allo stesso modo.
Ma quale sarebbe la procedura per accedere a questi contributi a fondo perduto? Secondo Tria lo Stato può comparare la valutazione sul valore aggiunto del 2019 con quello di quest’anno per vedere le perdite, come stanno facendo molti altri Paesi europei.
L’impresa dovrebbe così autocertificare il proprio fatturato nei mesi corrispondenti nel 2019 e chiedere l’equivalente o quasi per i mesi di chiusura nel 2020. Ovviamente in caso di truffa o di aiuto troppo generoso lo Stato a fine anno provvederebbe a dei conguagli.
L’idea del piano è quello di concentrare le risorse solo per le imprese colpite, al contrario dei prestiti del governo di 25mila euro che valgono per tutte le imprese con un fatturato superiore ai 100mila euro, a prescindere dal danno avuto nella pandemia. Non ci sarebbero altri condizioni su come spendere i soldi, tranne una: il pagamento delle tasse, affitti e dipendenti, detraendo solo per le imprese che hanno dei dipendenti in cassa integrazione.
C’è solo un problema non indifferente: se il sistema di garanzie per i prestiti non funziona perché arrivano tardi e male, e se i miliardi dei bond emessi dal recovery fund europeo rischiano di arrivare troppo tardi, dove li trova il governo 70 miliardi? Per Tria bisogna andarli a cercare sul mercato.
«Una settimana fa l’emissione di titoli di Stato italiani ha fruttato 16 miliardi di euro e la domanda è stata di 116 miliardi. Le opportunità ci sono. Ovviamente il tasso di interesse era abbastanza appetitoso: 1 percento più alto di quello normale. Ma su 100 miliardi in un 1 per cento di interesse significa solo un miliardo di oneri in più. Non è certo questo che farà sballare i conti», spiega l’ex ministro dell’Economia.
«Anzi secondo me bisognava andare immediatamente sul mercato appena la Bce ha detto chiaramente che impedirà con fondi quasi illimitati l’ampliarsi dello spread. I due veri aiuti dell’Europa sono stati la sospensione del Patto di stabilità e l’acquisto di titoli della Banca centrale europea».