«Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato il decreto sullo spostamento della data della conclusione della Seconda guerra mondiale al 3 settembre». Recita proprio così il testo del comunicato ufficiale del Cremlino, un lapsus evidente che però è sintomatico del rapporto che la leadership russa ha ormai con la storia, diventata una realtà, e con la realtà, diventata qualcosa da riscrivere a piacimento.
E dunque la Russia celebrerà la fine della Seconda guerra mondiale il 3 settembre, e non il 2 come tutto il resto del mondo, d’altra parte, celebra già il 9 maggio la capitolazione del Terzo Reich, che nei libri di storia è datata 8 maggio. Giochi di fuso orario, come un gioco di calendario era la rivoluzione d’ottobre avvenuta a novembre, ma soprattutto il gioco è riscriversi una storia tutta in proprio, da non condividere con gli altri, da strumentalizzare per rivendicare un presente diverso, in quell’idea orwelliana che «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato».
E così per controllare il passato si riscrive la storia della Seconda guerra mondiale, spostando in una data tutta inventata la parata militare che doveva tenersi in piazza Rossa il 9 maggio e alla quale Vladimir Putin teneva talmente tanto da rifiutarsi di cancellarla perfino a lockdown già scattato.
Ci sono volute le “delegazioni di veterani” a chiedergli il rinvio della celebrazione della vittoria sul nazismo, il momento più importante del calendario putiniano: è alla tribuna della parata che si decide chi è amico o meno di Mosca, e resta singolare la coincidenza per cui Putin si è lanciato nell’operazione dell’”azzeramento” dei suoi mandati presidenziali per regnare fino al 2036 il giorno dopo che Donald Trump gli ha fatto sapere che non avrebbe accettato l’invito in piazza Rossa.
Il presidente americano non sapeva cosa si sarebbe perso, perché – non ci fosse stato il coronavirus – i leader che avrebbero accettato l’invito di Putin a celebrare la “sua” vittoria sul nazismo sarebbero stati sicuramente portati all’inaugurazione del tempio della Resurrezione, l’ultimo ingombrante prodotto di quella nuova ideologia di Stato che fonde religione e nostalgia comunista in un cocktail sfarzoso e pacchiano quanto Mar-a-Lago.
La gigantesca costruzione alle porte di Mosca sarà la terza chiesa ortodossa per calibro, e il termine è appropriato, perché diventerà «la chiesa delle forze armate russe», dipinta di un color khaki che la fa assomigliare a un gigantesco complesso missilistico, come quello che ha abbattuto il Boeing malese con 300 passeggeri a bordo sopra i cieli del Donbass.
Megalomane come i più stravaganti progetti urbanistici del comunismo, avrà un campanile alto 75 metri (come gli anni trascorsi dalla vittoria del 1945), un viale d’accesso di 1418 passi (uno per ogni giorno della guerra, che secondo i russi inizia nel 1941 con l’attacco di Hitler a Stalin, non nel 1939, quando i due dittatori si sono smezzati l’Europa Orientale), altari forgiati da armi-trofeo e cupole dorate che sembrano testate nucleari.
Ma la parte più interessante saranno gli interni, coperti di mosaici che raffigurano, per esempio, tutti i generali di Stalin (il comandante supremo, ovviamente, è presente, ma viene pudicamente raffigurato come manifesto e non come persona.
Il pezzo forte è l’icona che raffigura Putin circondato da tutti i suoi fedelissimi, ministri, deputati, capi dei servizi segreti, che celebrano insieme al popolo festante e agli “omini verdi” l’annessione della Crimea, benedetta dalla Madonna che stende il suo velo sopra la scena, che ricorda un po’ gli affreschi dei principi della Rus’ nella Santa Sofia di Kiev e un po’ i manifestri comunisti del Primo maggio.
L’autore dei mosaici Vassilij Nesterenko ha raccontato tutta la storia bellica russa attraverso le icone della Madre di dio: la Madonna di Vladimir salva la Russia da Tamerlano, quella di Kazan dai polacchi, quella di Smolensk da Napoleone e più immagini sacre per respingere i nazisti, «senza queste icone non sappiamo come sarebbe andata nel 1941».
Ci sono immagini di apparizione della Madonna nelle battaglie di Kursk e di Stalingrado, e perfino in quella di Tsushima, che a dire il vero è stata catastrofica per la flotta russa, mandata a picco dai giapponesi. Manca ancora l’icona della Madre di dio della Compassione, alla quale il patriarca di tutte le Russia Kirill ha fatto fare il giro del raccordo anulare di Mosca sulla sua Mercedes, per combattere il Covid-19.
Che intanto sta facendo strage tra il clero moscovita: sono già morti religiosi importanti come l’abate della cattedrale Elokhovskij, la seconda per importanza di Mosca, e intere confraternite di monasteri storici – tra cui il Novospasskij di Mosca e quello della Trinità e di San Sergio a Serghiev Posad, il “Vaticano” russo – sono in quarantena con sintomi del virus. Abati e importanti funzionari del Patriarcato sono ricoverati, mentre serpeggia la paura tra i vip moscoviti che hanno partecipato alla Pasqua ortodossa, violando il divieto di assembramenti con la scusa di “funzioni religiose private”, un must in certi ambienti in cerca di quello che il geniale Viktor Pelevin già nel 1999 aveva definito come «un Signore di classe per signori di classe».
Del resto, a metà marzo nel centro di Pietroburgo venivano ancora esposte reliquie religiose che centinaia di fedeli baciavano convinte dai pope che i veri credenti erano immuni al coronavirus. I monasteri della chiesa di Mosca all’estero – come quelli di Kiev, Minsk o al confine con l’enclave occupata dai separatisti filorussi nel Donbass – sono diventati focolai di contagi. Ma anche con la posticipazione della parata a settembre, i lavori nel cantiere della cattedrale color khaki fervono, e il comune di Mosca e la giunta regionale hanno appena sborsato per la conclusione della costruzione circa 37 milioni di euro.
E mentre la mancanza di mascherine, guanti e ventilatori negli ospedali della provincia russa sta diventando tragica, il patriarca Kirill invia alla regione Puglia, su richiesta esplicita del governatore Michele Emiliano, otto tonnellate di aiuti sanitari. In altre parole, il contribuente russo paga la cattedrale-carro armato con le icone di Putin, mentre il governatore dem di una regione italiana chiede – non si vede nemmeno offrire, preso alla sprovvista dall’offensiva diplomatica di Mosca, come era successo un mese fa a Conte, ma chiede, invocando il nome di san Nicola da Bari – aiuti dal Patriarcato, che Kirill fa acquistare e spedire dalla Cina da non meglio identificati imprenditori russi in Svizzera.
Per aiutare i russi, il patriarca si limita soltanto a un giro in tangenziale con l’icona sul sedile della sua limousine. Chiamare questa pagliacciata “geopolitica” significherebbe offendere perfino i padri in odore di nazismo di questa disciplina.