Il 23 aprile 2020 è il giorno in cui è cambiata l’editoria repubblicana, il giorno in cui è partito l’ambizioso progetto di John Elkann, primo azionista dell’Economist, figlio di un giornalista e nipote dell’Avvocato Agnelli che era noto per avere una grande ammirazione per il mondo dell’informazione.
Con Maurizio Molinari a Repubblica e Mattia Feltri all’Huffington Post, il gruppo Gedi è pronto ad estendere il progetto avviato da Molinari alla Stampa, dove andrà Massimo Giannini, di trasformazione digitale dell’azienda sulla scia delle poche ma rilevanti storie editoriali di successo in giro per il mondo. Non è un caso che nel nuovo consiglio di amministrazione di Gedi ieri sia entrato Pietro Supino, doppia cittadinanza italiana e svizzera e presidente del gruppo editoriale elvetico Tx, ex TaMedia, forte nel digitale con i suoi cinquanta brand dell’informazione.
Qualità, innovazione e sperimentazione sono le parole chiave per reinventarsi al tempo della rivoluzione digitale e per convincere i lettori a pagare ciò che altrimenti potrebbero leggere gratuitamente altrove.
Elkann e Molinari potranno contare su una potenza di fuoco giornalistica senza precedenti nell’editoria italiana: Repubblica, Stampa, il Secolo XIX, tredici quotidiani locali, varie riviste verticali, il settimanale L’Espresso, l’Huffington Post, Limes, Micromega, National Geographic, le radio di informazione e di intrattenimento, una nutrita squadra digital e un’importante concessionaria pubblicitaria.
Se opportunamente integrata e confezionata in modo semplice e adeguato ai tempi, l’offerta informativa di Gedi è paragonabile per qualità e quantità a quella dei grandi gruppi editoriali internazionali, specie ora che sarà guidata in modo coerente da un azionista di riferimento giovane e solido (John Elkann), da un management di sicuro affidamento per l’azionista (Maurizio Scanavino) e da un direttore editoriale (Maurizio Molinari) noto nell’ambiente giornalistico per esaltarsi nella difficoltà.
La sfida è tutt’altro che facile: i conti non sono buoni, le copie sono in calo, il modo tradizionale di fare i giornali è talmente radicato nella cultura redazionale da respingere ogni tentativo di cambiamento. L’industria delle notizie è ancora alla ricerca di un modello di business sostenibile, senza considerare l’impatto della pandemia sui ricavi pubblicitari del 2020. Ma evidentemente la straordinaria accelerazione impressa dal virus alla svolta digitale della società, dall’istruzione al lavoro, deve aver convinto i vertici di Gedi che era esattamente questo il momento per lanciare la nuova avventura, seguendo l’insegnamento reso celebre dal primo chief of staff di Barack Obama, Rahm Emanuel, il quale di fronte al dissesto finanziario del 2008 disse: «Meglio evitare che una crisi seria si trasformi in un’opportunità sprecata», intendendo che proprio nei momenti di difficoltà si possono fare cose che prima si pensava che non si potessero fare.
Repubblica e le sue sorelle si trovano di fronte un Corriere della Sera debilitato dalla cura popolare e populista di Urbano Cairo e un Sole 24 Ore che potrebbe tornare competitivo solo se il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi ribaltasse le ultime e grottesche esperienze giornalistiche avallate dal suo predecessore. Ma al momento né il Corriere né il Sole sembrano avere una proprietà, una strategia e una dimensione tali da poter costruire un nuovo modello di sviluppo per l’editoria italiana. Vedremo che saprà fare Gedi, ma la sua sfida riguarda tutti quanti: una società adulta ha bisogno di un’informazione seria e di qualità perché, come si legge sotto la testata del Washington Post, «la democrazia muore nell’oscurità».