Rimandati a settembreLa scuola non ha ancora un protocollo di riapertura

Secondo i sindacati, quella dell’istruzione è un’emergenza nell’emergenza e una questione su cui non c’è abbastanza dibattito. Un tema reso ancora più complesso dalla ministra Azzolina che non intende confrontarsi con le parti sociali

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Mentre le aziende si organizzano con i sindacati e il governo per produrre protocolli appositi e riaprire in sicurezza le attività a partire dal 4 maggio, il mondo della scuola rimane sospeso. La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina prima, e il premier Giuseppe Conte poi, hanno confermato che le attività scolastiche non riprenderanno prima di settembre, lasciando le famiglie in un limbo che potrebbe durare tutta l’estate.

I sindacati sostengono di avere scarsa collaborazione dal ministero, che ha preso decisioni senza consultare nessuno: «Noi rispettiamo le indicazioni delle autorità sanitarie, nostro primo punto di riferimento. Ma la riapertura delle scuole non può essere a lungo ritardata perché il Paese ha bisogno dell’attività nelle classi. Non si può ridurre il rapporto educativo alla sola didattica a distanza», dice a Linkiesta Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola.

«Per la riapertura dell’attività scolastica ogni reparto deve essere pronto a scattare a ranghi completi. A settembre ci ritroveremo con 65mila cattedre vuote, 70mila posti di sostegno in deroga, come minimo 200mila posti da coprire in termini di docenti. Oltre a 20mila posti Ata, con i posti per dirigenti scolastici liberi per oltre il 50%», aggiunge Anna Maria Santoro, responsabile dipartimento contrattazione nazionale FLC CGIL.

Si parla della messa in sicurezza, di quasi 8 milioni di alunni, più 1,1 milioni delle paritarie, e di 1,2 milioni di lavoratori, più tutte le famiglie. «Sono numeri importanti. Abbiamo conosciuto le esigenze dei lavoratori che rientrano in un’azienda e devono essere attrezzati. Le imprese stanno valutando la possibilità di fare un prelievo sierologico, misurare la temperatura corporea, garantire il distanziamento sociale, sanificare gli ambienti, e avere l’attrezzatura necessaria per garantire tutto questo», prosegue Gissi. Sulla scuola, però, il ministero non ha proposto niente del genere .

La ministra Azzolina si muove da sola. «Non vediamo la ministra dal 1 aprile. E l’avevamo vista almeno un mese prima. Dall’inizio dell’emergenza ci siamo incontrati due volte. La segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan vede il presidente del Consiglio almeno una volta a settimana», puntualizza Maddalena Gissi.

«La scuola è un mondo inclusivo, il termine distanziamento già stona in questo contesto. Sarà difficile farne capire ai bambini e ragazzi l’importanza», dice Gissi. Soprattutto, serviranno un gran numero di precauzioni (e quindi risorse) per riprendere le lezioni.

Non solo le mascherine – «chi le deve pagare?», si chiede Gissi – ma anche la regolamentazione di mense, palestre, mezzi per arrivare a scuola. «Esisterà un collaboratore scolastico per la pulizia e sanificazione? I banchi vanno ripuliti, bisogna avere istruzioni precise, essere formati per la cura igienica dei luoghi», puntualizza Gissi. Per il momento, per la sanificazione degli ambienti scolastici sono stati previsti 5 milioni. «Si tratta di circa 2 euro per ogni bambino. Considerando che si partiva già prima da una situazione critica, senza la carta igienica e il sapone per le mani, le premesse non sono buone», commenta Lucia Sacco, sindacalista della Gilda.

Non è chiaro poi come la ministra intenda risolvere il problema delle “classi pollaio”: «Le nostre classi hanno una media nazionale che supera 20,25 alunni con punte superiori al 22», dice Gissi. Bisognerebbe quindi dimezzare le classi, ma la ministra ha già dichiarato di essere contraria ai doppi turni come nel dopoguerra.

«Abbiamo bisogno di un protocollo per la sicurezza. Che tutti i settori hanno già approvato. La ministra Dadone ha appena fatto un incontro di verifica del protocollo già varato 15 giorni fa. Noi invece non ne abbiamo nemmeno sentito parlare», dice Gissi. La Cisl ha stilato un documento con la lista delle priorità da affrontare.

Esiste anche il problema pedagogico. Sulla didattica a distanza «la scuola sta facendo passi da gigante. Ma bisogna trovare dei modelli», dice Gissi. Secondo Santoro, «i docenti stanno facendo un enorme lavoro, a casa stanno facendo il triplo rispetto alla didattica in presenza». Parte del problema, naturalmente, è che molti partivano da condizioni di scarsa conoscenza dei mezzi tecnologici per l’insegnamento. Ma se l’intenzione è veramente di puntare sulla didattica a distanza, servirebbe allora una formazione ben sostanziata soprattutto per loro. Allora un’alternanza efficace tra didattica in presenza e a distanza sarebbe possibile.

Ma Azzolina sembra avere altre priorità. «La ministra si è incaponita, continua a ripetere di voler fare i bandi di concorso, quando abbiamo bisogno di parlare di altro. È un’emergenza gestire queste procedure», dice Gissi. «Ci vogliono assunzioni dalle graduatorie con procedure semplificate, già da quelle si potrebbe individuare il personale che può essere messo in cattedra, perché si sa che sono quelli che insegnano da anni come precari. Ma la ministra si ostina a voler bandire concorsi per numeri imponenti, 200-300mila persone, che non si sa come si farà a organizzare, e non capisce che si sta mettendo in un vicolo cieco», aggiunge Santoro.

«Perché non stabilizzare i precari e durante l’anno fare i concorsi? Già questo sarebbe un segnale. Se si accetta il principio che bisogna essere pronti a scattare il primo settembre, allora misure come i concorsi estivi, che vanno bene per il periodo ordinario, non possono andare bene per il periodo straordinario».

Eppure, le proposte per ragionare insieme su una “scuola nuova” ci sarebbero. «Si potrebbe rimodulare l’orario in 45-50 minuti di lezione, potenziando l’organico almeno temporaneamente. Servono 50-60mila docenti in più a partire dalla scuola dell’infanzia e dalla primaria, dove il problema sarà ancora più pressante quando riprenderanno le attività produttive», dice Santoro.

«Anche gli spazi di un’edilizia leggera andrebbero ridefiniti. Caserme e luoghi con grandi spazi all’aperto si potrebbero utilizzare per fare laboratori e attività sportive e ludiche, così la riorganizzazione dell’attività potrebbe essere più tranquilla», dice Gissi.

Sarebbero gesti fondamentali, anche simbolicamente. «Mettere insieme sanità, scuola, sicurezza, significa fare una scelta che non è legata alla strumentalizzazione del mercato. Significa pensare a quello che potrà avvenire in qualunque momento, oggi una pandemia, domani un problema ambientale», dice Gissi. Per i sindacati, i tre miliardi proposti dal sottosegretario all’istruzione Giuseppe De Cristofaro non sono sufficienti. Per Marcello Pacifico, presidente del sindacato Anief, non basterebbero nemmeno per adeguare gli stipendi dei docenti.

«Se questi soldi rappresentano un investimento in unità in organico per riorganizzare l’attività didattica, bisognerà confrontarsi con numeri più importanti. Se invece il governo immagina un piano per lo sviluppo delle competenze tecnologiche tra i docenti, serviranno risorse anche per quello. E poi come coprire le spese per la sanificazione? Per l’acquisto dei misuratori della temperatura? Tre miliardi sono pochi», dice Gissi.

«Se volessimo assumere anche solo temporaneamente 50mila docenti e 15mila Ata per ampliare l’offerta formativa e per rispettare la distanza sociale, ci vorrebbero 2 miliardi», conclude Santoro. «Occorre fare i calcoli per capire se tre miliardi siano sufficienti. Lì dove non bastano, si dovranno aggiungere. Sarebbe un modo per risarcire l’istruzione, considerando che negli anni abbiamo perso 57mila Ata e quasi 100mila docenti».

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