Come si riparte con le scuole chiuse?Riaprire il 4 maggio sarà impossibile senza pensare alle famiglie

I problemi organizzativi per nuclei familiari e genitori single verso la fase due rischiano di protrarsi per tutta l’estate. Dove la scuola è un elemento cruciale

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Photo by Simon Matzinger on Unsplash

All’annuncio della “fase due” di graduale riapertura del Paese, le famiglie si sono subito poste il problema: come si può pensare di rilanciare le attività produttive e di riportare le persone nei luoghi di lavoro, se le scuole rimangono chiuse?

Se da un lato infatti il governo continua a spingere sull’idea che bisogna rimettere in moto il motore del Paese, d’altra parte il pericolo di una nuova ondata di epidemia ha già portato la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina a dichiarare che fino a settembre nessuno tornerà in classe.

In mezzo, altri mesi da trascorrere a casa, con il rischio che anche oratori, centri estivi e tutte le attività che normalmente impegnano i più piccoli anche durante il periodo estivo rimangano chiuse. Il peso per le famiglie, private anche dell’aiuto fondamentale dei nonni (che sono più esposti alle complicazioni del contagio), rischia di diventare insostenibile. «C’è una forte sensazione di abbandono, sappiamo che la salute viene al primo posto, ma se si muove il mondo del lavoro non può non muoversi anche il mondo della scuola. Altrimenti si lascia ancora sulle spalle delle famiglie il peso della gestione dei bambini», dice a Linkiesta Annamaria Bertoli, vicepresidente dell’Associazione Italiana Genitori (AGE).

Con il decreto Cura Italia a marzo è stato varato un primo pacchetto di misure che, fra le altre cose, puntava al sostegno dei nuclei familiari: 15 giorni di congedo parentale straordinario con stipendio al 50% oppure bonus babysitter da 600 euro, promozione dello smart working, carta famiglia per fare acquisti, buoni spesa e divieto di licenziamento per due mesi. «Noi siamo stati impegnati fin dal primo momento», dice Andrea Cuccello, segretario confederale Cisl, a Linkiesta. «Abbiamo partecipato al primo tavolo di lavoro con la ministra Nunzia Catalfo sui provvedimenti prima della cassa integrazione in deroga, e poi sulle misure dei congedi e dei permessi straordinari. Il governo si è mosso velocemente, e questa è una cosa positiva. Ma non è ancora abbastanza».

Molti sono infatti gli aspetti problematici. Il primo, naturalmente, quello dello smart working, che se ben si applica alle professioni da ufficio, «nelle grandi fabbriche del settore manifatturiero non è fattibile», dice Cuccello. Per di più, secondo l’osservatorio Pmi del Politecnico di Milano, solo il 30% delle piccole e medie aziende è attrezzato per il lavoro da remoto, e persino in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna la quota di pmi che non è pronta allo smart working è superiore alla media di mercato del 51%. I device, inoltre, spesso sono un problema (in molte famiglie genitori e figli devono litigarsi l’unico computer presente in casa, gli uni per lavorare, gli altri per fare didattica a distanza), ed anche gli spazi sovente non sono congrui – come si fa a lavorare efficacemente se al contempo bisogna badare ai figli, iperattivi e nervosi poiché chiusi in casa a loro volta?

Ma i problemi di gestione vanno oltre. La misura del congedo parentale – che fra l’altro è scaduto il 13 aprile – ha coinvolto i genitori lavoratori con figli fino a 12 anni. Ma l’abbandono di minore è un reato penale per bambini e ragazzi fino ai 14. Secondo aspetto, quello del bonus babysitter: è positivo che si sia pensato a un’alternativa rispetto al congedo, ma per i genitori rimane il fatto che accogliere in casa una persona per la quale non è stato finora previsto nessun test di immunità, comporta che la tata potrebbe portare il virus in casa. D’altra parte, è positivo che la carta famiglia, pensata in origine solo per famiglie numerose, sia stata estesa su tutto il territorio italiano anche a chi ha un figlio solo.

Le famiglie si stanno confrontando tutti i giorni con questi problemi, e il prolungamento della chiusura delle scuole rischia solo di aggravare la situazione. Per il momento, sia i sindacati che il ministro della Famiglia Elena Bonetti sono fiduciosi in una estensione dei provvedimenti anche nel decreto Aprile, su cui il governo sta lavorando in questi giorni. «Bisogna prevedere che per i lavoratori, proprio per la cura familiare, siano implementati pacchetti complessivi di norme», dice Cuccello. «Serve un pacchetto riconoscibile anche per chi non può rientrare al lavoro, facendo attenzione particolare agli immunodepressi, che non possono perdere il posto di lavoro per le proprie patologie».

Non dello stesso impegno si può parlare però sul fronte dell’istruzione. Un gruppo di genitori, tra cui anche alcuni insegnanti ed educatori, ha rivolto una lettera aperta, molto dura, alla ministra Azzolina, in merito alla chiusura categorica delle scuole fino a dopo l’estate: «È per noi inaccettabile che si continui a proporre una visione e soluzioni parziali e settoriali. Non è possibile considerare come unica soluzione quella della didattica a distanza, senza peraltro considerarne adeguatamente le ricadute sulla vita dei minori e delle loro famiglie, e senza considerare le problematiche organizzative e di gestione che questa genera. Riteniamo tutto ciò gravissimo, tanto più se, guardando agli altri paesi con numeri simili ai nostri in termini di contagi e di decessi, si scopre che per loro la scuola è, insieme ad altre, una delle priorità, tenendo anche conto che sono ormai molti gli studi scientifici che attestano la sproporzione tra i vantaggi di un lockdown prolungato e i danni e i rischi che può produrre sulla popolazione e in particolare su bambini e adolescenti».

Inutile dire che le sfide sono collegate a più livelli e comportano un lavoro concertato di tutto l’esecutivo. La stessa ministra Bonetti sa di dover fare di più nel prossimo decreto per aumentare il sostegno alle famiglie: per cominciare, ha dichiarato di voler proporre un assegno unico da 80 a 160 euro (a seconda dell’Isee) per ogni figlio a carico, così come di voler rendere possibile l’apertura dei parchi per i più piccoli. «I bambini e ragazzi iniziano a soffrire moltissimo la quarantena. Nell’emergenza è stato giusto chiedere un sacrificio. Adesso però dobbiamo restituire loro lo spazio del gioco e dello sport», ha detto in un’intervista a Repubblica.

La tematica dei diritti dell’infanzia, infatti, in questo momento è cruciale. La stessa Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano ha chiesto che nella task force per la fase due dell’emergenza sia presente anche un esperto di politiche per l’infanzia e l’adolescenza, che dialoghi anche con l’Osservatorio nazionale. «C’è la necessità di pianificare interventi che garantiscano la continuità dei servizi dedicati alle persone di minore età e che rafforzino i sistemi di prevenzione, protezione, integrazione e inclusione destinati a bambini e adolescenti», scrive il Garante. «Occorre puntare sui diritti dei più piccoli, ponendo al centro le persone di minore età, perché il futuro che seguirà l’emergenza è destinato a coinvolgerle direttamente».

Nessun discorso e piano sulla riapertura e la fase due, però, ha ancora riguardato i bambini. «È vero, c’è l’economia, ma non è concepibile che sia quella a dettare gli eventi», dice Bertoli. Le donne sono l’altro punto dolente: se le madri sole sono quelle più a rischio di povertà, specialmente se hanno lavori atipici e intermittenti, si è visto però quanto più possano essere centrali in un momento come questo, dove già da sempre sono quelle che in casa si occupano della cura dei figli. Una buona notizia, dunque, che Bonetti abbia deciso di formare “Donne per un nuovo Rinascimento”, una task force tutta al femminile (che comprende grossi nomi da Fabiola Giannotti a Ilaria Capua), per rispondere alle sfide del gender gap alla fine dell’emergenza. Una novità che unita alla richiesta del ministro che durante la fase della ripresa a tornare al lavoro per prime siano le donne.

Ma le famiglie sono tutte diverse, con bisogni e specificità unici. Per cui là dove si cerca di trovare soluzioni soddisfacenti per tutti, bisognerebbe ricordarsi anche delle genitori soli (spesso donne) con figli. Che, fra le altre cose, sono tra quelli che stanno soffrendo di più in questo momento di emergenza. Senza mai peraltro essere stati inclusi nelle politiche di welfare familiare, nonostante rappresentino il 16% delle famiglie italiane. A Milano, per esempio, una famiglia su tre (con figli) è monogenitoriale. Spiega a Linkiesta Gisella Bassanini, presidente dell’associazione SmallFamilies, dedicata proprio alle famiglie monoparentali, che ad esempio «un grosso problema all’inizio era costituito dal diritto di visita per i genitori separati, non si capiva se l’autocertificazione prevedesse questa possibilità o meno. Per non parlare degli insulti ricevuti dai genitori che si portavano i figli al supermercato. A qualcuno è anche stato chiesto di lasciare il figlio fuori».

I congedi parentali previsti dall’emergenza, denuncia Bassanini, sono pensati sulle coppie e su un’idea di famiglia che, nei fatti, non corrisponde più alla realtà. «Da madre sola con una figlia minorenne, non solo mi vedo decurtato lo stipendio del 50%, ma poi con chi la lascio dopo i 15 giorni?». «ll problema è che non esistono servizi dedicati ai monogenitori nel nostro paese», prosegue la presidente dell’associazione. E la questione non si limita soltanto all’emergenza coronavirus, ma è un problema decennale. Basti pensare che in determinate regioni (come la Lombardia) alcuni servizi per i genitori soli, dagli affitti al sostegno al reddito, sono riservati soltanto a chi è stato sposato in precedenza. Da anni le associazioni come SmallFamilies si battono per i propri diritti: «è arrivato il momento di pensare ad una legge nazionale», dice Bassanini. Ora che bisognerà ripensare completamente la conciliazione famiglia-lavoro, non sarebbe il caso di approfittarne per includere anche queste persone?

Per il momento, le associazioni come SmallFamilies e l’Associazione Italiana Genitori si sono attivate per promuovere iniziative di mutuo-aiuto e di sostegno concreto alle famiglie, lì dove lo Stato non è ancora arrivato. L’AGE, che al suo interno raduna circa 1300 associazioni, ha raccolto donazioni tra le famiglie per il contrasto alla povertà, di acquisto spesa e di donazione di supporti tecnologici, così come abiti per bambini, carrozzine e altri accessori per neonati, ma anche un servizio di supporto psicologico e di animazione didattica e di incoraggiamento alla lettura. SmallFamilies, invece, a Milano ha fatto rete con il progetto Mai Solo dell’Associazione Energie Sociali Jesurum, per consentire ai genitori soli e impossibilitati a uscire che gli sia recapitata la spesa a casa. «Se le istituzioni favorissero le reti per le iniziative di sostegno dal basso, facendo da cabina di regia, assisteremmo ad un moltiplicarsi delle iniziative», dice Bassanini. La ministra Bonetti ha già dichiarato, nelle proprie intenzioni per il decreto aprile, di voler sfruttare il terzo settore e le realtà di volontariato. Rimane solo da capire se e in che modo queste esperienze verranno incluse.

«È necessario che le istituzioni intervengano con misure concrete a supporto delle famiglie. Lo chiede la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che affida ai genitori la guida, l’accompagnamento, l’educazione e il sostentamento dei figli e agli Stati impone di sostenere i genitori, soprattutto quando questi non sono in condizione di adempiere ai loro compiti», conclude il garante per l’infanzia. Riaprire il Paese lasciando fermo il comparto dell’istruzione rischia di essere suicidio in termini sociali ed economici. «Il lavoro non può iniziare senza la scuola. Sarà uno che si ripercuoterà a livello sociale», commenta secca Bertoli. «I bambini nel nostro Paese non sono nemmeno tanti. Che almeno venga garantita loro l’assistenza».

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