Ryanair UnionPerché gli europei non riescono a capirsi?

Per creare l’identità europea ha fatto di più il turismo dei weekend dei sistemi scolastici nazionali. Ora che la compagnia aerea low cost è ferma fino al vaccino serviranno nuovi strumenti culturali per rafforzare il sentire comune

Ian LANGSDON / POOL / AFP

«Noi olandesi coltiviamo un perverso orgoglio per la nostra mancanza di diplomazia. Diciamo sempre che siamo troppo onesti per essere gentili, mentre i belgi sono troppo gentili per essere onesti». A spiegarlo a Linkiesta è Joep Leerssen, docente di Letteratura Europea all’Università di Amsterdam. «Qui un’opinione deve avere la forma di un pugno in faccia. Le nostre posizioni non sono diverse da quelle della Germania, ma ci piace il ruolo del poliziotto cattivo». L’estenuante trattativa su eurobond, Sure, Bei e Meccanismo europeo di solidarietà ci ha fatto spesso interrogare sul carattere degli olandesi: ma perché fanno così? Addirittura il ministro delle Finanze olandese, Wopke Hoekstra si è scusato per la mancanza di empatia nei nostri confronti. Oltre ai problemi di architettura dell’Unione europea, capro espiatorio perfetto degli egoismi nazionali, al fondo c’è una questione culturale. Perché tra europei fatichiamo a intenderci e aiutarci anche in una situazione come questa? 

«Nonostante decenni di investimenti nel creare uno spirito europeo, nei programmi scolastici la Storia viene ancora studiata su base nazionale: c’è quella italiana per gli italiani, quella francese per i francesi e così via. In quest’ottica ha fatto di più il turismo dei weekend che il sistema scolastico, ma ora che l’Europa di Ryanair è finita, serviranno nuovi strumenti culturali per rafforzare il sentire comune», spiega Patrizia Dogliani, docente di Storia contemporanea all’Università di Bologna.

Anche l’esperienza del nostro lockdown è diventato uno sfoggio di orgoglio nazionale, inno e tricolore ai balconi. «Nonostante tutti gli sforzi, l’Europa continua a essere vissuta come utopia futura e non come declinabile al presente». E poi, come spesso sottolinea lo storico pop di riferimento degli italiani, Alessandro Barbero, il carattere dei popoli esiste e ce ne stiamo accorgendo nel corso di questa ricerca di una risposta comune alla pandemia. «Tutte le teorie del conflitto ci confermano che la diversità è un valore in tempi di concordia, ma diventa un ostacolo in tempi difficili», conferma Leerssen.

«Ci piace godere della musica italiana e dello stile di vita danese, perché altrimenti la vita diventerebbe noiosa. Ma quello che in pace ci sembra così charming, durante le crisi si trasforma in irritante». Il punto, al di là del dibattito finanziario, sarebbe trovare un’identità europea alla quale aggrapparci in tempi come questi. «Se ne esiste una, risiede nella consapevolezza che la vita è paradossale e contraddittoria. Il motto dell’Unione potrebbe essere: it’s complicated. Non ci può piacere Trump perché non siamo per le risposte semplici». E come mettere a frutto questa identità? «Per riuscirci serve un’intelligenza molto… europea», spiega Leerssen. 

In questa fase anche le letture e le metafore diventano sostanza: «Siamo un mosaico troppo complesso, non ho mai creduto all’immagine del nord protestante contro il sud cattolico. È solo uno schema che fa emergere pregiudizi», chiarisce Dogliani. «Nemmeno i politici di alto livello ne sono immuni. Ne soffrono, o li strumentalizzano, oppure entrambe le cose».  Quasi una lotta di classe transnazionale, nella quale si innestano i pregiudizi reciproci accumulati nei decenni.

La pensa così anche Hans Kundnani è Senior Research Fellow dell’Europe Programme alla Chatham House di Londra: «Si sta facendo largo una lettura in stile Huntington, con lo scontro di civiltà applicato all’Unione, tra nord frugale e protestante e sud cattolico e propenso ai debiti. Io però non ci credo, è meglio vedere la faccenda da un punto di vista politico: sinistra contro destra. I paesi del sud Europa chiedono una redistribuzione delle risorse, quelli del nord più stabile e ricco non sono d’accordo». 

Per gli olandesi è una cosa nuova, mentre lo scontro di stereotipi tra italiani e tedeschi ha una lunga storia alimentata da polemiche continue. L’ultimo caso è l’articolo del Die Welt sulla mafia e gli aiuti europei. «È da tempo che vorrei che qualcuno facesse un dottorato sulle continue allusioni alla mafia sulla stampa tedesca. Nel 2015 Frankfurter Allgemeine scrisse che Draghi aveva fatto all’Europa “un’offerta che non poteva rifiutare”, con citazione diretta del Padrino. Succede di continuo», ricorda Kundnani. Indizi di reciproca diffidenza che portano alla difficoltà di intendersi, aggravata dal fatto di avere tutti un po’ ragione.

«Per alcuni paesi il fondamento dell’Europa è il rispetto di regole comuni, per altri la solidarietà nel momento del bisogno, e sono entrambe visioni giuste». È un paradosso tutto europeo, alla fine. Ciò che fa crescere l’euroscetticismo in Italia, Spagna o Grecia (il rispetto delle regole come valore assoluto) lo fa diminuire in Germania e Olanda.  Viceversa, ciò fa aumentare la diffidenza contro l’Europa in questi paesi (la solidarietà whatever it takes), l’attenua a sud. Per risolverlo, direbbe il nostro professore olandese, serve un’intelligenza molto europea. 

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