Giochi di ruoloChi è la star?

La reclusione forzata e l’impedimento oggettivo a frequentare stellati ci sta facendo finalmente capire perché i gourmet si siedono alle tavole d’autore: c’entra la celebrità, ma non è dello chef che stiamo parlando

Foto di Gaia Menchicchi

Scandaglio i social network da settimane, in cerca del cosiddetto ‘sentiment’ della rete, che nel mio caso è formata quasi esclusivamente da gourmet, grand gourmet, o aspiranti tali. E se nelle prime settimane di pandemia il messaggio prevalente era dubbioso, se settimana scorsa era ansioso, questa settimana si sta trasformando in un bisogno quasi maniacale di tornare a sedere alle tavole stellate. Gli habitué di friandises&appetizer scalpitano. Perché quel luogo è un vero palcoscenico, e manca da morire. Abbiamo sempre pensato che in scena ci fosse lo chef. Che fosse lui, nella sua giacca candida al pass e poi – benevolo – in piedi accanto ai nostri tavoli, l’indiscussa guest star della rappresentazione. In realtà, e l’abbiamo capito solo adesso che quelle scene non si ripetono da un po’, che a calcare quelle assi e ad aspettare l’applauso del pubblico che travolge l’ego e riempie di grazia chi lo riceve, c’eravamo noi.

Ebbene sì, quel tavolo coperto da una tovaglia candida, quelle sedie morbide e comode, quelle posate d’argento e quelle luci di design, quel rito borghese di essere serviti e accolti, coccolati e gratificati, ci permettevano di porci su un piedistallo (che pagavamo caro, ma senza fare troppe storie) e ci permettevano per due ore alla settimana – o più, per chi può – di sentirci davvero realizzati come in poche altre occasioni.

Loro erano lì per noi, facevano non solo il loro meglio, il loro massimo. Mettevano in atto l’assurda tendenza alla perfezione che solo chi ha frequentato le cucine di stampo francese può comprendere proprio per noi, attori consumati che potevamo accettare tutta questa meraviglia con un cenno del capo.

Erano le nostre due ore di celebrità, che celebravamo con la bottiglia costosa, che condividevamo con parsimonia solo con gli amici migliori, che commentavamo senza sosta prima, durante e dopo. Che condividevamo con dovizia di scatti e di storytelling su tutti i social network possibili: una cena come status symbol, un pranzo come dimostrazione di gratificazione e vanto. Ci stiamo provando con il delivery, ma abbiamo capito in fretta che non è la stessa cosa. Il 1 giugno ci sembra una data molto lontana, e in cartellone non abbiamo ancora ben capito se c’è il nostro nome, e quali saranno le battute sul copione. Gli applausi ci mancano, forse ancora di più dei piccioni cotti à point.

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