«Ci sono circa 40 milioni di europei che hanno perso il lavoro. Del tutto o in parte. E nei prossimi mesi potrebbero essere 60 milioni su una popolazione complessiva di circa 400 milioni di popolazione attiva in Europa». Il primo maggio è passato, ma i problemi dei lavoratori restano come spiega preoccupato Luca Visentini, segretario generale della Confederazione europea dei sindacati. «Non sappiamo di preciso quanta parte di questi 40 milioni abbia fatto richiesta di sussidio di disoccupazione e quanta invece abbia chiesto solo una forma di integrazione al reddito, come la cassa integrazione o i bonus per i liberi professionisti, ma secondo le stime, due terzi, per fortuna, hanno chiesto forme di sostegno, quindi tecnicamente non hanno perso del tutto il lavoro, mentre un terzo lo ha perso del tutto e in modo permanente: parliamo di 10 milioni di persone».
Un numero enorme.
Sì soprattutto se si considera che la crisi, devastante, del 2008 aveva creato “solo” 20 milioni di disoccupati permanenti. I danni che la crisi del debito ha fatto in anni, sono stati fatti (e superati) in meno di due mesi.
L’Unione europea ha messo in campo varie misure per limitare i danni. In particolare, a sostegno di chi ha perso il lavoro, saranno attivati i 100 miliardi dei fondi Sure. Che ne pensa il sindacato?
L’Ue ha fatto uno sforzo enorme, e in tempi straordinariamente brevi. Sul fatto che i fondi Sure (che si sommano a tutte le altre misure avviate da Banca europea degli investimenti, Banca centrale europea, al Meccanismo europeo di stabilità per la sanità, alla sospensione del Patto di stabilità e allo -speriamo prossimo- Recovery Fund) siano imponenti ed efficaci direi che non ci sono dubbi. L’unico problema sarà vedere se saranno sufficienti.
Lo saranno?
Dipende da due cose: la prima che questi fondi siano erogati in tempi brevi, parliamo di settimane, non di mesi. La seconda è capire se ci sarà o meno una seconda ondata del virus in autunno, o se rallenterà almeno in estate. Quest’ultima variabile è imponderabile, non dipende da nessuno. Stanziare ed erogare in tempi brevi i fondi, invece dipende dall’UE e dai governi dei Paesi membri. Spetta a loro fare il più in fretta possibile.
Quindi, in sintesi, lo Sure piace al sindacato?
In sintesi sì. Sure risolve molto. Certo non tutto.
Quali sono le zone rimaste in ombra?
Esistono ancora problemi per i lavoratori atipici, i liberi professionisti e i lavoratori in nero che di fatto non sono stati ancora aiutati né, ancora prima, censiti. Si può discutere quanto si vuole sul loro conto, ma sta di fatto che non possono essere abbandonati a loro stessi.
In cosa si tradurrà lo Sure per l’Italia?
Detto in termini molto concreti in una cifra di circa 16 miliardi di euro, ossia circa l’80 per cento dei 25 miliardi stanziati sinora. A cui si aggiungeranno i 30 della Bei e i 37 del Mes per le spese sanitarie. In tutto fa 85 miliardi, a tassi vicini allo zero da restituire mediamente in 30 anni.
Come giudica le misure prese singolarmente dai 27 Paesi?
Hanno fatto sforzi enormi e in brevissimo tempo. Basti pensare che prima della crisi del coronavirus, solo 14 paesi avevano forme di sostegno al reddito. Ora invece sono state attivate in tutti i 27 paesi. Ci sono stati sforzi notevoli da parte di tutti i Paesi membri per estendere questi sussidi alle piccolissime imprese da pochi dipendenti e ai servizi.
Qual è lo Stato membro che se la sta cavando meglio, dal punto di vista del sostegno alla disoccupazione?
La Francia, senza dubbio. Lì hanno da tempo trovato forme di regolarizzazione di tutti i lavoratori atipici e autonomi. I freelance o i lavoratori dello spettacolo, per dire, non vengono pagati a prestazione, ma a giornata, secondo un contratto collettivo nazionale con tanto di salario minimo. Tutti, di qualunque categoria, hanno copertura pensionistica e previdenza sociale, il che significa che per tutti esistono forme di sostegno al reddito nel caso in cui, per mille motivi, non si possa lavorare. La Francia è un Paese riuscito a ridurre nel tempo quasi a zero i disoccupati permanenti: parliamo di 100 mila persone o poco più. Mentre per 5 milioni di persone esistono forme di assistenza al reddito. Il sostegno, poi, arriva in alcuni casi fino al 100 per cento del reddito (80 per cento dallo stato, il resto dalle imprese).
Chi se la cava peggio?
Direi l’Ungheria. Lì non esiste quasi concertazione e il potere contrattuale è minimo. Ho avuto un carteggio con Viktor Orban, il quale mi ha risposto che stanno bene, grazie. E che passata la buriana ricominceranno a crescere come e più di prima.
Come sarà il 2021 per i lavoratori europei?
Dipende. Il problema sarà capire se e come la crisi CoVid farà ripartire le cose su nuove basi. Come meno deregulation, meno austerità e più attenzione alle fasce deboli. A mio parere occorre garantire che il ritorno al lavoro sia coordinato e diretto da linee guida precise. La salute dei cittadini e dei lavoratori deve essere tutelata in modo efficace e puntuale. Non casuale e soprattutto non in ordine sparso.