Il bilancio dello Stato non è un documento contabile ma è l’atto politico-economico e finanziario con il quale il Parlamento autorizza il Governo a mettere in atto quell’insieme di azioni con le quali lo Stato interviene nell’economia e garantisce alle cittadine e ai cittadini insieme ai soggetti collettivi beni comuni, L’approvazione del bilancio rappresenta il momento centrale nella definizione dell’attività finanziaria pubblica.
Il bilancio dello Stato esercita normalmente le funzioni allocative, di stabilizzazione e di redistribuzione che variano a seconda del livello più o meno centralizzato statuale.
Dalla metà degli anni 70 il bilancio ha fatto un salto di qualità con un approccio di programmazione pluriennale che è stato adottato progressivamente in tutti i paesi occidentali e che, solo alla fine degli anni 80, è entrato nella legislazione comunitaria.
Dagli anni 90 è iniziato a Porto Alegre un percorso accidentato con l’obiettivo di introdurre, accanto alla democrazia rappresentativa, anche la democrazia partecipativa attraverso il metodo del bilancio partecipativo che non ha superato tuttavia il livello della sperimentazione locale.
Poiché l’Unione europea non è (ancora) uno Stato e non è nemmeno una federazione il suo bilancio è solo un embrione dello strumento che esiste in tutti i nostri paesi sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo.
La crisi esplosa a causa della pandemia ha finalmente aperto un dibattito non solo fra esperti sul bilancio europeo, un dibattito che fu tentato dal Parlamento europeo, anche da esperti alla fine degli anni 70 e che invece non è avvenuto nei dieci anni della crisi finanziaria apertasi nel 2007-2008.
Stiamo vivendo in un tempo sospeso in attesa che passi la pandemia, che la scienza e la società, chiusa alla quotidianità del vivere insieme, mettano fine alla aggressività letale del virus con la speranza che la scoperta di un vaccino prevenga in Europa e nel mondo una nuova pandemia.
In questo tempo sospeso siamo coscienti di ciò che è stato prima della pandemia e di ciò che è condizionato oggi dalle regole emergenziali che sono state suggerite dagli scienziati e decise – non senza polemiche – dalla politica.
In questo tempo sospeso è stata in parte sospesa la quotidianità della vita sociale della democrazia partecipativa con la rilevante eccezione delle attività di volontariato ma è stata in parte sospesa anche la quotidianità della vita politica della democrazia rappresentativa con una forte riduzione del potere delle assemblee parlamentari quasi sempre nel rispetto delle costituzioni al contrario di quel che è avvenuto in Ungheria dove il Orszaghaz (l’Assemblea nazionale) si è auto-sospeso a tempo indeterminato a favore del governo illiberale di Viktor Orban nonostante le proteste al di fuori dell’Ungheria.
Dopo la pandemia non potremo e non dovremo più tornare alla “normalità” perché gli effetti della sospensione del tempo dovranno sollecitarci a riflettere sul modello delle nostre società e su alcuni aspetti essenziali del vivere insieme.
Pensiamo alla riorganizzazione dello spazio e al ruolo delle città, all’organizzazione della mobilità e alla redistribuzione del tempo, al ricambio generazionale e alla parità di genere, alle forme della partecipazione civile, alla democrazia economica, alla formazione permanente e allo sviluppo della comunicazione e al pluralismo dell’informazione.
La necessità di una prosperità condivisa, della lotta alle diseguaglianze e alla ricerca di forme più diffuse di uguaglianze delle opportunità con particolare riferimento alle opportunità di genere e alle opportunità generazionali richiederà un ruolo accresciuto della dimensione europea per le maggiori interdipendenze fra le nostre società e perché il valore della democrazia – reso opaco nel tempo sospeso – può essere recuperato in modo simmetrico solo a livello europeo.
Nonostante un’opinione largamente diffusa e apparentemente razionale secondo cui la priorità del dopo-pandemia dovrà essere data solo agli aspetti economici e finanziari del piano di ricostruzione (il Recovery Plan), noi siamo convinti che il tempo della politica europea non potrà essere più sospeso e che, accanto alla ricostruzione economica e sociale, bisognerà mettere mano alla ristrutturazione della casa comune europea riaprendo il “cantiere Europa” (aperto ai “non addetti ai lavori”) che è stato chiuso all’interno dell’Unione europea nel 2007 con la firma del Trattato di Lisbona mentre sono stati aperti al di fuori dell’Unione europea dei cantieri intergovernativi che hanno prodotto guasti di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze.
Il tempo della ristrutturazione della casa comune non può seguire i tempi troppo lenti e troppo lunghi di una Conferenza europea sul futuro dell’Europa, nata prima della pandemia senza legittimità democratica (accountability) e capacità di decidere (power to deliver) e destinata a durare due anni per poi offrire solo delle “raccomandazioni” al Consiglio europeo.
Noi siamo convinti che la legittimità democratica europea e la capacità di decidere (a maggioranza) risiedono nel Parlamento europeo che può esprimersi a nome delle cittadine e dei cittadini che lo hanno eletto e assumere la leadership – come esso stesso ha scritto nella risoluzione del 15 gennaio 2020 – di un processo che noi riteniamo debba essere costituente per aprire la via verso la realizzazione della finalità federale dell’integrazione europea iscritta da Jean Monnet nella Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950.
Poiché si dovrà verificare se esiste la volontà in tutti i paesi dell’Unione europea e nei Paesi candidati all’adesione ad accettare il passaggio dall’Unione ad una Comunità federale noi riteniamo che la Conferenza sul futuro dell’Europa – aperta alla partecipazione di rappresentanze dei parlamenti nazionali e di organizzazioni europee della società civile – possa essere uno spazio pubblico transnazionale in cui il Parlamento europeo possa verificare il livello e l’ampiezza di questa volontà durante il suo lavoro costituente.
Sarà essenziale il coinvolgimento dei partiti politici a livello europeo a cui il trattato attribuisce il compito di contribuire “a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione” (art. 10 TUE).
Al termine del processo la parola deve tornare proprio alle cittadine e ai cittadini europei attraverso un referendum pan-europeo.
Estratto da “Un progetto, un metodo e un’agenda per non sciogliere l’Unione Europea” (Castelvecchi), 2,99 euro di Pier Virgilio Dastoli