«Ora è tempo di far muovere gli ingranaggi. Trovare un accordo sul nostro futuro bilancio non è solo un esercizio per incrociare numeri, si tratta piuttosto di far corrispondere alle nostre ambizioni e priorità i giusti mezzi di bilancio», disse l’allora presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker.
Era il 13 giugno 2019 e dopo quasi un anno, la negoziazione sul prossimo quadro finanziario pluriennale (Mff in inglese o Qfp in italiano) dell’Unione Europea per il periodo 2021-2027 si trova al punto di partenza, o quasi. Si tratta di più di 1000 miliardi di euro che rappresentano poco più dell’1 per cento del Prodotto interno lordo dei 27 Stati Membri.
Come anticipato anche su questo giornale qualche tempo fa, il rischio che dal 1 gennaio 2021, ovvero tra poco più di sette mesi, il nuovo MFF/QFP non sia ancora approvato e quindi la nuova programmazione (e con essa le risorse dei programmi diretti e indiretti) non entri in vigore è ormai più che probabile.
In questo contesto il Parlamento Europeo, attraverso la relazione presentata il 13 maggio dal popolare polacco Jan Olbrycht e dalla socialista spagnola Margarida Marques, e approvata a larghissima maggioranza, chiede alla Commissione europea di presentare entro il 15 giugno una proposta legislativa per la creazione di una rete di emergenza al fine di estendere di un anno l’attuale programmazione che termina a dicembre. A questo punto è lecito chiedersi: come si è arrivati in questo impasse? Quali prospettive di uscirne ci fornisce la proposta del Parlamento?
Sono due le ragioni di questo drammatico ritardo. La prima è un fattore “esogeno” e inatteso, la pandemia Covid-19 e le sue “scorie”. Il secondo è “endogeno”: la Brexit. Due motivi che mostrano quando sia difficile il processo decisionale interno dell’Unione Europea e in particolare il ruolo giocato dal Consiglio europeo, composto dai capi di stato o di governo dei 27 Stati Membri dell’Unione, che ha finora ha rallentato il raggiungimento di un accordo.
Vale la pena ricordare, infatti, che la prima proposta per il nuovo quadro finanziario pluriennale 2021 – 2027 venne presentata addirittura dalla precedente Commissione Europea a maggio del 2018, e fu discussa dopo poco tempo dal Parlamento Europeo allora in carica, mentre mancava e manca tuttora l’espressione formale del Consiglio.
La seconda metà del 2019 è stata occupata dal processo di insediamento dell’attuale Commissione europea che è avvenuto solo a dicembre. Le nuove priorità, in particolare, l’iniziativa bandiera dello European Green Deal lanciata dalla neo-presidente Ursula Von der Leyen hanno reso necessario rivedere la precedente proposta di bilancio per trovare nuove risorse che implementassero le grandi ambizioni.
A febbraio 2020 si è accesa la speranza di procedere finalmente con l’accordo quando il Consiglio è stato convocato in forma straordinaria, ma anche in quell’occasione non ci sono stati passi in avanti e tutto si è risolto nell’ennesimo rinvio.
Da un anno e mezzo gli Stati membri non riescono a trovare un accordo per uno strumento vitale per i bilanci nazionali di molti di essi ma che, pur nella sua importanza assoluta, resta poco più dell’ 1 per cento del Pil collettivo dell’UE a 27.
Ad aumentare la confusione, ma anche l’evidente necessità di rafforzare politiche pubbliche europee, ha contribuito poi la drammatica pandemia da Covid-19 che oggi rischia di sconvolgere nuovamente le priorità e la conseguente ripartizione di risorse. Tra le molte iniziative in discussione, si trova anche lo stesso European Green Deal che potrebbe vedere modifiche rilevanti se non per gli obiettivi, per i tempi di attuazione e le coperture finanziarie.
La proposta del Parlamento Europeo di una rete di sicurezza per i beneficiari dei programmi che dipendono dal MFF/QFP è fondamentale per assicurare continuità di risorse ed una transizione ragionevole alla nuova programmazione, anche se presenta alcune debolezze strutturali e un’incognita di prospettiva.
Nel breve periodo, il vuoto di risorse impedirà ai beneficiari “diretti” dei programmi dell’Unione Europea la possibilità di continuare ad usufruirne. Pensiamo agli studenti che non partono per l’Erasmus, ai ricercatori che si trovano senza fondi per continuare o avviare nuovi progetti di ricerca e così via.
Il fondo di “emergenza” risolve solo in parte questa situazione poiché garantisce una certa continuità di fondi, ma lascia aperti molti elementi di incertezza rispetto al loro effettivo utilizzo: al posto di avviare una fase nuova, con nuovi strumenti e soprattutto nuove priorità, il rischio è che si allunghi la coda dell’attuale periodo di programmazione 2014 – 2020 creando una situazione “ibrida” ove a priorità nuove si risponda con strumenti vecchi.
In termini di prospettiva, la proposta dovrà fare i conti con la presidenza tedesca dell’Unione Europea che si insedierà a partire dal primo luglio e che molto probabilmente andrà a svolgere un ruolo cruciale.
Sembra infatti che l’obiettivo del governo tedesco sia di chiudere l’accordo sul quadro finanziario per il prossimo settennato entro il semestre da loro presieduto, così da assicurare l’avvio in tempi ragionevoli del Recovery Fund a esso ancorato e guidare l’intero processo. Sebbene le due ipotesi non siano incompatibili, non è così scontato che la Germania sia particolarmente incline a estendere per tutto il 2021 l’attuale programmazione come proposto dal Parlamento europeo.
Almeno se proposta del Parlamento andrà in porto, potrà consentire all’Unione europea di “prendere la rincorsa” e offrire tempo prezioso per elaborare un quadro finanziario pluriennale fortemente potenziato in grado di rispondere davvero alle ambizioni e ai bisogni dei cittadini europei, anche attraverso la creazione di strumenti nuovi.