RodhamChe cosa sarebbe successo se Hillary Clinton non avesse mai sposato Bill?

La scrittrice americana Curtis Sittenfeld prova a rispondere con un romanzo in cui immagina questa donna che va avanti da sola, declinando il potere come una legittima aspirazione femminile

Tanti americani se lo chiedono: come sarebbe stata la gestione dell’epidemia se alla Casa Bianca, anziché Donald Trump, ci fosse stata Hillary Clinton? Una domanda che appare retorica, considerando il record di morti che si è verificato finora negli Stati Uniti e, in generale, il modo in cui si è mossa l’amministrazione (ondivago è dir poco, inetto anche).

Si sospira: da un lato si confida nelle prossime. Dall’altro si torna, con la mente, alle elezioni del 2016. E ci si domanda: «What if»? Dipingendo realtà parallele, vicende alternative.

Ma forse è un errore. Secondo la scrittrice Curtis Sittenfeld, occorre andare più indietro per vedere la storia prendere un altro corso. Per l’esattezza, agli anni della giovinezza: nel momento fatidico dell’incontro con Bill Clinton. È questa la vera sliding door del pianeta, sostiene. Da qui è disceso tutto il resto. Come sarebbe stata la gestione dell’epidemia, quindi, se Hillary Clinton non avesse sposato Bill?

La risposta è il succo del suo ultimo romanzo, “Rodham”, pubblicato da Random House (uscirà negli Usa il 19), una storia parallela che reinventa la biografia della ex candidata dem alla presidenza americana: stessi studi alla Yale Law School, stessi brillanti risultati, stesso celebre commencement speech a Wellesley del 1969, e perfino stesso incontro con il fascinoso Bill. L’esito sarà però molto differente.

Nonostante il colpo di fulmine tra i due, con tanto di innamoramento semi-bovariano da parte di lei (gli regala, nel romanzo, un saggio del teologo Reinhold Niebuhr), di fidanzamento ufficiale e addirittura di trasferimento della coppia in Arkansas, alla fine Hillary lo molla. Troppi tradimenti.

Da qui comincia l’universo parallelo, con tutti i cambiamenti del caso. Senza la moglie, la carriera politica di Bill finisce presto: danneggiato da vari scandali sessuali, si trova costretto a cambiare strada. E finisce – con un certo sarcasmo – nella Silicon Valley.

Anche le presidenze sono diverse: George Bush senior vince le elezioni del 1992. Nel 1996 ci sarà Jerry Brown (!), ma solo per quattro anni. Nel 2000 non ci sarà Bush junior, bensì il più rispettato John McCain, confermato nel 2004. Da lì in poi sarà (come nella realtà), il ticket Obama-Biden.

E Hillary? Liberata dal fardello del marito, continua la sua carriera. Diventa professoressa alla Northwestern, si fa notare per il suo piglio, la preparazione, la passione nella politica. Nel 1992 corre (e vince) per il Senato e da lì continua la sua scalata, fino alla candidatura nel 2016, contro (come fosse un secondo round) ancora Donald Trump.

Non è la prima volta che Sittenfeld si cimenta con figure femminili presidenziali. In “American Wife”, del 2008, racconta la storia di Alice Blackwell, alter ego di Laura Bush: le origini, la vita all’interno del patriziato del petrolio, la Casa Bianca, dipanando tutte le contraddizioni dell’affetto per una figura privata, il marito, che è anche presidente degli Stati Uniti.

Con Hllary Clinton, pardon Rodham, cambia approccio: il romanzo mostra che il potere può essere una declinazione, anzi, una aspirazione femminile, legittima e completa. Rovesciando la storia, mostra (cosa che tutti hanno sospettato e alcuni anche scritto) come Bill sia stato, per certi aspetti, più un ostacolo che altro alla corsa per la presidenza.

E la Hillary del romanzo, che non perdona le scappatelle del marito, è la donna tutta di un pezzo desiderata da tante – anche se forse i tratti più complessi, che prevedono la capacità del compromesso e la sopportazione della sofferenza, hanno reso senza dubbio più interessante l’originale.

Quello che resta, in un momento in cui si sospetta (forse si spera) che ad accompagnare Joe Biden sarà Michelle Obama, anche se lei nega, è l’idea che per arrivare al potere la donna non debba per necessità essere moglie di, o peggio, vice del vice di.

Può farcela da sola. Anche se la strada sarà dura. Non a caso, anche nel confronto fittizio con Trump, sarà di nuovo una lotta tra la sua competenza e i canti del pubblico che scandiscono «lock her up».

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