Justin AmashChi è il terzo incomodo nella corsa alla Casa Bianca che potrebbe danneggiare Biden

Deputato repubblicano, ma anti Trump, proveniente dai Tea Party, si presenta con il partito libertario. Sondaggi bassissimi e nessuna possibilità di vittoria, ma al candidato democratico può togliere i voti degli scontenti di destra del presidente

BILL PUGLIANO / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / Getty Images via AFP

Joe Biden ha un problema. O meglio ne ha tanti. Ma uno di questi si chiama Justin Amash. Il deputato quarantenne che, a meno di sorprese, potrebbe diventare il prossimo 25 maggio il frontrunner del partito libertario americano.

In realtà Amash non ha nessuna, ma proprio nessuna, probabilità di vincere o di conseguire un buon risultato. Il sistema politico americano è radicato sul bipartitismo e i candidati di partiti che non fossero democratico e repubblicano non hanno mai avuto una storia gloriosa. L’unico ad aver avuto un risultato apprezzabile fu Ross Perot nel 1992, con il 18 per cento.

Niente di cui preoccuparsi, in teoria. Ma il sistema elettorale americano (lo abbiamo visto) è spietato, basta una manciata di voti per dare uno stato all’uno o all’altro candidato e ribaltare previsioni e scenari.

Così, oggi, il problema (di Joe Biden, ma per certi aspetti, anche di Donald Trump) è che i terzi candidati, come fossero novelli Jep Gambardella, non possono vincere le elezioni, ma hanno il potere di far fallire le campagne elettorali degli altri.

In particolare quella di Joe Biden, perché a lui contenderà i voti di quelli che non vogliono votare Trump. Chi invece vuole confermare il presidente ha già le idee chiare e difficilmente le cambierà.

Amash è un deputato repubblicano del Michigan, di tendenza conservatrice di destra (viene da un tea party) ma ha una lunga storia di oppositore interno a Trump, tanto che è stato l’unico repubblicano del Congresso a votargli contro.

Due aspetti in apparente contraddizione che lo mettono in una posizione ideale per dragare voti dal bacino di Biden. In particolare Amash potrebbe portargli via gli ambitissimi voti dei repubblicani #nevertrump che però (per tradizione, valori, riflessi pavloviani) non se la sentono di votare per i democratici.

Allo stesso modo potrebbe sottrarre a Biden i voti degli indipendenti e degli indecisi, di quelli insomma cui non piace Trump ma ai quali nemmeno Biden sconfinfera poi molto. Inoltre c’è il fattore età: molti giovani potrebbero decidere che tra due ultrasettantenni sia meglio un dinamico quarantenne.

In tutto, i voti, anche nelle più rosee previsioni di Amash non sarebbero molti (i primi sondaggi lo danno al 2 per cento) ma potrebbero essere abbastanza per far pendere la bilancia delle elezioni americane da un lato o dall’altro.

Non sarebbe la prima volta. Nelle elezioni sul filo di lana del 2000, l’avvocato verde Ralph Nader raccolse il 2 per cento dei voti, sottraendoli al bacino del democratico Al Gore e mandando alla Casa Bianca George W. Bush. Episodio contrappasso, probabilmente, del 1992, quando Ross Perot con il suo Partito per la Riforma, sottrasse voti a George H. Bush, spalancando, pur senza volerlo, le porte della presidenza a Bill Clinton.

Anche in tempi più vicini, è verosimile pensare che nella rocambolesca elezione di Donald Trump nel 2016, ci sia stato lo zampino della verde Jill Stein e soprattutto del libertario Gary Johnson, che con il suo 6%, è stato il candidato libertario a prendere più voti nella storia del suo partito (fondato nel 1971). «In 11 stati il totale dei voti del candidato libertario Gary Johnson ha superato il margine di voto che separava Trump e Hillary Clinton» scrive il sito Fivethirtyeight.

«Ora, ciò non significa che Johnson abbia necessariamente cambiato il risultato di quegli stati, ma lui e altri contendenti di terze parti (come Jill Stein del Green Party) potrebbero aver contribuito a modellare il risultato, in particolare nei tre Stati che si sono rivelati decisivi presso l’Electoral College: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin».

E proprio in questi tre stati in bilico Amash potrebbe fare male a Biden. In particolare in Michigan, stato in bilico che, con solo 10 mila voti, nel 2016 consegnò la vittoria a Donald Trump.

Un sondaggio pubblicato lo scorso dicembre da Detroit News riporta che in assenza di Amash il vantaggio di Biden su Trump era di 12 punti. In presenza di Amash, invece, il vantaggio si assottigliava fino a quasi scomparire (4%).

La musica non cambia in altri stati in bilico come il Wisconsin (Biden è in vantaggio di 4 punti), l’Ohio (Biden avanti di 1), l’Iowa (Trump avanti di 2), la Florida (Biden avanti di 3). Vantaggi infinitesimali, che potrebbero cambiare con un refolo di vento.

Per questo dalle parti di Biden stanno serrando le fila e, invece, da quelle di Donald Trump la notizia della probabile candidatura di Amash è stata accolta con sollievo, tanto che il Presidente gli ha dato il benvenuto, a suo modo, nella corsa. 

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