«Questa non è l’Unione europea», andrebbe scritto sotto le carte del continente appese nelle scuole di ogni ordine e grado. Così come la pipa di Magritte “non è una pipa” ma solo una sua rappresentazione, le carte politiche dell’Europa sono molto lontane dal visualizzare il progetto comunitario europeo. Allora cambiamo le carte, potrebbe dire qualcuno a pochi giorni dal 20 maggio, quando si festeggeranno i 450 anni dalla pubblicazione del primo Atlante: il “Theatrum Orbis Terrarum” del cartografo e geografo fiammingo Abraham Ortelius. Non si risolverebbe nulla: euroscettica, in questo caso, pare essere proprio la cartografia, o almeno la cartografia per come si è sviluppata fino a oggi.
«Il modello cartografico attuale visualizza con difficoltà esperienze di dominio del territorio diverse rispetto a quella dello Stato nazione», spiega Edoardo Boria, docente di geopolitica alla Sapienza e autore di “Storia della cartografia in Italia dall’Unità a oggi. Tra scienza, società e progetti di potere” (Utet Università).
«Il Sacro romano impero, per esempio, è difficilmente rappresentabile sulla nostra carta perché l’universalismo carolingio conviveva con i particolarismi feudali: esisteva un territorio franco vero e proprio, poi i territori associati con una certa autonomia, infine i popoli tributari, molto più autonomi. La complessità di relazioni politiche nel Medioevo si traduceva anche in una maggiore ricchezza cartografica, gli ultimi secoli di individualismo nazionalistico hanno prodotto un impoverimento della carta politica».
Rappresentare l’Unione europea sembra tuttavia affare più semplice: ventisette Stati nazionali che, senza stabilire gerarchie reciproche, si associano in un progetto politico paritario. «La carta politica d’Europa per noi è la carta degli Stati: è difficile tradurre visivamente un progetto intrinsecamente sovranazionale come quello dell’Unione europea», osserva Boria. «Era paradossalmente più facile secoli fa, quando l’Unione non c’era ma il cartografo Sebastian Münster, per esempio, poteva disegnare una carta allegorica in cui l’Europa aveva le sembianze di una regina, con la corona e lo scettro».
La cartografia moderna ha accompagnato l’affermarsi degli Stati nazione e da essi è stata influenzata. «L’idea di Stato si fonda sui medesimi presupposti della cartografia moderna. Due su tutti: il confine e l’omogeneità del territorio», spiega Edoardo Boria. «Il primo è un dispositivo geografico fondamentale per la definizione degli Stati moderni perché sancisce il limite della sovranità.
Si traduce sulla carta in un segno lineare tanto importante da violare il principio di scala. Il fatto che lo Stato eserciti il medesimo controllo dalla capitale all’ultima delle periferie si traduce visualmente nell’omogeneità cromatica che rende ogni Stato simile alla tessera di un puzzle. Il nostro modello cartografico è un prodotto contingente alla nascita degli Stati moderni: se fra 500 anni non ci saranno più, cambierà anche il modello cartografico».
La cartografia in età moderna è diventata tanto importante da assumere status legale, in sede internazionale ma anche privatistica: «Dal Settecento si accludono carte geografiche ai trattati diplomatici e il catasto è fatto di carte. La carta sancisce il possesso: si è proprietari di un terreno perché lo dice la carta. Questo passaggio di status della cartografia è avvenuto in Europa, è stato diffuso nel mondo dagli europei ed è stato anche un modo con cui gli europei si sono impossessati di territori altrui: i nativi magari vivevano in quei luoghi da generazioni, ma non avevano carte per dimostrarlo».
«Tutt’oggi quando un palestinese rivendica un territorio, la domanda che fa il giudice israeliano è di dimostrare che la sua famiglia ne era proprietaria prima del 1948, e vorrebbe che lo dimostrasse tramite una carta. Ma nella cultura araba le carte non avevano questo ruolo: a volte non c’è neanche un documento scritto, perché il possedimento era attestato solo per via orale».
Il valore, anche legale, assunto dalla cartografia in Europa da una parte si lega all’affermazione degli Stati nazione e dall’altra ha radici nella centralità del concetto di “rappresentazione” nella cultura del continente, che ha permeato non solo le arti ma l’evoluzione stessa delle società: «Lo Stato nazionale è “rappresentativo”, la nostra democrazia è di tipo “rappresentativo”, al Parlamento eleggiamo rappresentanti. Una parte vale per il tutto, la rappresentazione e la visualizzazione di quella realtà vale come la realtà stessa», racconta Boria.
Uno degli errori più gravi che si possano fare di fronte a una mappa tuttavia è considerarla una riproduzione neutra e fedele della realtà: essendone una rappresentazione ne è, inevitabilmente, anche un’interpretazione. «Il matematico polacco Alfred Korzybski ha affermato che “la carta non è il territorio” e Michel Houellebecq ha risposto: “La carta è più interessante del territorio”, perché noi viviamo la realtà attraverso la sua rappresentazione, cioè attraverso la carta, e tendiamo a credere che quest’ultima sia la realtà», continua Edoardo Boria. «Al contrario, una carta politica – per come la conosciamo noi, con gli Stati disegnati come puzzle – è un’interpretazione che lo Stato nazione e l’età moderna hanno dato della politica».
Questo legame inscindibile tra realtà e sua rappresentazione dà alla cartografia una capacità performativa rispetto alla realtà. Per questo è sempre stata uno strumento fondamentale di propaganda e persuasione. Prima che si affermasse un progetto politico comunitario, fu il nazismo in età moderna a rappresentare un’Europa unità contro il pericolo bolscevico esterno.
Anche l’Unione europea ha cercato di utilizzare il potere della cartografia per comunicare il progetto di unificazione: «Agli inizi c’è stata un’abbondante pubblicistica prodotta dalla Comunità economica europea che si traduceva in volantini e dépliant con cui si cercava di imporre una narrazione continentale comune», ricorda Boria.
Con l’avvento della moneta unica la carta d’Europa è entrata nei portafogli di tutti, e la cosa più difficile è stata definirne i limiti orientali. «I confini a est sulle banconote sono vaghi, sia perché il progetto lì è ancora indefinito, sia perché sarebbe comunque difficile definirli», spiega Boria. «Propriamente l’Europa è una penisola del grande continente euroasiatico, non avrebbe le dimensioni di un continente e neppure una separazione netta con le altre terre emerse, dato che gli Urali sono una piccola catena montuosa. È la convenzione geografica che ha imposto l’idea di un continente europeo».
Fino a Pietro il Grande, che avvicinò la Russia all’Europa, la Moscovia non era considerata europea: «Prima l’Europa si fermava a Praga o poco oltre e il limite anche per i traffici era il Don, il Tanais dei greci». In posizione ambigua anche la Turchia, molte volte inclusa nella cartografia antropomorfa e satirica ottocentesca dell’Europa in virtù del ruolo politico che l’impero Ottomano aveva nei Balcani. A essere spesso escluso è stato invece il Regno Unito: «Esso non compare neppure nel progetto di Pan-Europa del conte Coudenhove-Kalergi, uno dei padri dell’idea di Europa unita».
Il confine marittimo a sud sembrerebbe il più facile da individuare, eppure è anche uno dei più problematici: l’Europa termina a Pantelleria, Lampedusa o include tutto il Mediterraneo? Dalla risposta a questa domanda derivano atteggiamenti opposti rispetto alla questione delle migrazioni. E ancora una volta la cartografia è tanto esito quanto fondamento della nostra visione del mondo: «Il Mediterraneo come barriera è un’invenzione moderna: fino al Medioevo e ancor più per i classici era visto come un bacino unitario, esattamente l’opposto del muro. L’età moderna, spostando il baricentro a nord, ha reso l’Europa qualcosa di esclusivamente continentale». Anche le carte sono cambiate di conseguenza: «Nel Medioevo esistevano numerose rappresentazioni cartografiche del Mediterraneo, molte delle quali realizzate a Genova, mentre nella cartografia moderna e contemporanea esse sono quasi sparite».
Complice anche una tradizione cartografica sfavorevole, la mappa dell’Europa non ha avuto nell’immaginario collettivo un’affermazione pari a quella degli Stati che la formano. La riprova la si può cercare nella comunicazione commerciale e pubblicitaria: se le carte nazionali sono state spesso oggetto di campagne promozionali dei brand (si pensi all’emblematico Bel Paese), raramente questo è accaduto con la carta dell’Europa.
Fa eccezione una grafica pubblicitaria di Air France disegnata da Michel Dubré in cui le nuvole sopra l’aeroporto Charles de Gaulle creano nel cielo l’immagine del continente. Era il 1979 e, a detta del testo pubblicitario, l’Europa era “diventata più vicina”.