È partita la Fase 2, ma i problemi per le attività economiche arrivano adesso. In particolare per gli esercenti, i quali dopo due mesi di stop si sono ritrovati nella paradossale condizione di dover continuare a pagare gli affitti e tutte le tasse connesse alla propria attività. L’unica differenza rispetto a prima? Che non hanno incassato un euro. E così, per capire come sta ripartendo il settore, abbiamo chiesto a due donne simbolo della ristorazione e della movida milanese, che nel cuore pulsante dei Navigli rappresentano una ideale cartina tornasole della grande voglia di ripartire. Ci hanno raccontato dei giganteschi scogli contro i quali rischiano di sbattere se nessuno darà loro una mano.
Maida Mercuri, titolare del Pont de Ferr, da 34 anni portava avanti il suo ristorante senza mai aver previsto un giorno di chiusura. Sempre presente, dietro al bancone o tra i tavoli, da un giorno all’altro si è trovata a dover osservare la sua creatura dal balcone con le saracinesche abbassate. Prima si è ingegnata con il delivery, mettendosi in prima persona per le consegne a domicilio perché, come ha spiegato, «ci tengo a mantenere un rapporto umano, prima ancora che professionale con i miei clienti», ma si dice molto delusa da come si stanno comportando le istituzioni nei confronti del suo settore: «Lo Stato non sembra esistere. Tutti i locali sono dimensionati per avere un introito direttamente proporzionale all’affitto e ai dipendenti. Adesso che riapriamo abbiamo un terzo delle capacità produttive, ammesso che arrivi quel terzo di clienti, ma senza che ci abbiano detassato nulla. Per esempio a Rimini il sindaco ha deciso che tutta l’occupazione del suolo pubblico sarà gratis per un anno. Questa è la mentalità giusta per farci ripartire. Mentre da noi, ad oggi, non è stato previsto nulla».
Proprio in questi giorni, non solo a Milano, è andata in scena una manifestazione di protesta dei gestori di locali, bar e ristoranti, ma il loro sit-in è stato accolto dalle forze dell’ordine con l’emissione di verbali, dopo averli identificati, per addebitargli multe da 400 euro ciascuno. Una risposta che certamente non va nella direzione del sostegno all’intero settore. «In Francia dicono: ‘Meglio indebitati che falliti’, mi sembra corretto. Qui invece neanche ci fanno protestare pacificamente». Eppure, sempre secondo la titolare del Pont de Ferr, le possibilità ci sarebbero eccome: «Abbiamo fatto due conti e l’occupazione del suolo pubblico di tutte le attività in questi due mesi costerebbero un ammanco alle casse del Comune di 80mila euro. Non mi dicano che non hanno questa cifra».
E così, lo sforzo che in tanti stanno producendo per rimettersi in sesto e lasciarsi alle spalle l’emergenza Coronavirus, sembrerebbe vanificata dalla mancanza di misure di sostegno: «A Milano non ci hanno ancora fatto sapere se ci toglieranno le tasse sull’occupazione di suolo pubblico e la Tari sui rifiuti. Ma stando chiusi che cosa abbiamo occupato e che rifiuti abbiamo prodotto? Finirà che chiuderanno in tanti lasciando debiti da tutte le parti. Io non ci penso neanche, perché sono matta e una guerrigliera, però quando parlo con il commercialista vorrebbe picchiarmi». Quale sarebbe, quindi la prima cosa da fare, le abbiamo chiesto: «Abbiamo bisogno di un prestito a lunghissima durata. Al di là dello stato di indebitamento di ognuno. Con dei paletti, certo, ma sono misure necessarie. Così ci si può risollevare».
La protesta degli esercenti è andata in scena in piazza Sempione nella mattinata di mercoledì 6 maggio, dove sono giunti con le sedie vuote, poste davanti all’Arco della Pace e i cartelli con la scritta “se apriamo falliamo: io non apro”. Una delegazione che rappresentava più di 7mila attività di tutta la città. Senza contare coloro che basavano gran parte degli introiti sulla vita notturna e, pur volendo, difficilmente potranno riprendere nel breve periodo come nel passato. È il caso de Le Trottoir, storico locale posto sulla Darsena, ritrovo della movida di tanti turisti, artisti e cultori della Milano da bere. La sua titolare, Michelle Vasseur, è sulla stessa linea di tutti i colleghi. Per ripartire, ha sottolineato, serve detassare. Altrimenti? Nessuno pagherà: «Dal punto di vista umano è stato molto difficile, soprattutto per chi lavorava da noi. Il primo mese ho potuto aiutarli, il secondo no. Siamo fortunati ad essere in una ottima posizione, però quest’anno non ci sarà turismo e la gente quando tornerà ad affollare i locali di notte? Per questo, se non ci sgravano di alcune spese, non è che non vogliamo, non possiamo proprio pagare».
E così, se potesse rivolgersi direttamente al premier Conte, ecco cosa gli chiederebbe: «Mollate i soldi, perché sennò sui Navigli, così come in altre zone di Milano, riaprirà la metà delle attività. Ci vuole estrema tolleranza, sempre con ordine e buona educazione, ma senza queste condizioni in città non si salva nessuno. In più, è necessario che si possa con più libertà poter organizzare l’animazione in strada. Come si dice: ‘Il brodo lo puoi fare con i dadi che hai’. Se hai l’affluenza e il cash flow puoi pagare, se non li hai non puoi pagare. Le banche in questo periodo le abbiamo salvate noi, adesso spetta a loro salvare noi». E infine ha voluto rivolgersi direttamente al sindaco Giuseppe Sala: «Spero che il Sindaco saprà tirare fuori le palle come ha fatto in passato con Expo. Milano è la città più importante d’Italia, ma se continuano a pretendere tasse da chi non le può pagare, ci prendono in giro tutti e ci condannano al fallimento».