Nei piazzali dei concessionari italiani da inizio marzo sono ferme al sole oltre 300mila auto rimaste invendute nei mesi di lockdown. Con le riaperture del 4 maggio, qualche cliente si è presentato a comprare la macchina nuova. La paura del virus porterà tanti a muoversi con le proprie auto, ma saranno pochi quelli che decideranno di fare un investimento da migliaia di euro in un momento di forte crisi economica.
Il settore automotive, nel panorama del sistema manifatturiero italiano, è quello che pagherà il conto più salato: -25,9% di fatturato a fine anno, secondo le previsioni di Intesa San Paolo e Prometeia. Per le sole autovetture, si parla di circa 500-600mila immatricolazioni in meno rispetto al 2019. La crisi riguarda tutta l’Europa, con punte del -89% di vendite in Francia e -97,5% in Italia ad aprile. Anche Cina e Stati Uniti sono in difficoltà.
«Mentre il presidente Macron ha annunciato un piano straordinario da 8 miliardi, noi siamo fermi agli incentivi per l’acquisto dei monopattini», dice Paolo Scudieri, imprenditore alla guida del gruppo Adler e presidente di Anfia, l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica. Il decreto rilancio ha rifinanziato con 300 milioni il fondo per l’acquisto di auto elettriche e ibride e ha inserito nell’ecobonus casa la detrazione al 110% per i lavori di installazione di punti di ricarica per i veicoli.
Ma è troppo poco per rimettere in moto il settore. Nessun intervento per il trasporto dei bus a lunga percorrenza, né per il trasporto merci, che per il 70% in italia si muovono ancora su gomma. «Non sono misure sufficienti. Non c’è una visione su quello che sarà l’industria dell’auto italiana», dice Scudieri.
Il comparto conta oltre 5mila imprese e 270mila addetti, che esportano oltre il 50% dei prodotti e che oggi danno lavoro a 1,2 milioni di persone lungo tutta la filiera, dalle fabbriche al noleggio, dalla manutenzione ai trasporti, rappresentando circa il 10% del Pil italiano.
Per il momento, dal governo è arrivato solo qualche annuncio. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, in audizione alla Camera, ha parlato di piani specifici per i settori particolarmente colpiti dalla crisi, come turismo e automotive. E pure il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha detto che un intervento di sostegno per il comparto automobilistico «non è più derogabile», ipotizzando l’incentivazione del noleggio a lungo termine per smaltire il parco auto dai piazzali. I soldi per risollevare il settore dovrebbero arrivare con il Recovery Fund europeo annunciato da Ursula von der Leyen, ma nei fatti sarebbero disponibili non prima del 2021.
E in questa crisi, il tempismo è tutto, se si vuole evitare la scomparsa di interi pezzi di filiera. La produzione italiana dell’auto viene già da 20 mesi a segno negativo. E molti pezzi della catena rischiano di chiudere. Le fabbriche hanno potuto riaprire dal 27 aprile, ma lo stabilimento Fca di Cassino, dopo tre giorni di produzione, ha già richiuso. Melfi sta ricominciando a lavorare in questi giorni, ma utilizzerà la cassa fino al 17 giugno, mentre Pomigliano ripartirà con la produzione della Panda l’8 giugno.
In totale, nel settore, ci sono ancora oltre diecimila lavoratori in cassa integrazione e con salari ridotti. Il 4 maggio hanno riaperto i punti vendita, ma «la riapertura dei concessionari, da sola, non basterà certo a riavviare il mercato, e la filiera produttiva», spiegano da Anfia. «Siamo isolati mentre gli altri si muovono in modo veloce», dice Paolo Scudieri. «Le nostre imprese hanno necessità di rimanere attive».
Il problema non riguarda tanto i grandi gruppi. Il prestito a Fca da 6,3 miliardi con la garanzia Sace, dopo giorni di polemiche, ha avuto il semaforo verde di Intesa. E Marelli ha appena ottenuto oltre 1 miliardo di euro di finanziamenti dal proprio azionista Kkr e dalle banche giapponesi. «Il problema», spiega Raffaele Apetino, coordinatore nazionale automotive della Fim Cisl, «riguarda le piccole e medie imprese della componentistica, che hanno maggiore difficoltà di accesso al credito».
Parliamo di 296mila lavoratori, di cui il 40% è legato alla produzione per Fca. La stessa Fca che nel mese di aprile ha venduto in Italia 1.620 auto, il 96,3% in meno dello stesso mese del 2019.
«Nel decreto rilancio ci aspettavamo una norma per il settore automotive, e invece abbiamo riscontrato con amarezza che non è stato predisposto nulla», dice Apetino. La speranza ora è che intanto «nella conversione in legge del decreto rilancio venga inserito un emendamento a sostegno della filiera».
La cosa più urgente è «smuovere» quelle oltre 300mila auto ferme davanti ai concessionari. Che a loro volta rallentano la ripresa della produzione nelle imprese già fiaccate da due mesi azzeramento del fatturato. Con ricadute che, in una reazione a catena, si riverberano sul settore dell’acciaio (vedi la crisi del settore, da Ilva all’Ast), della plastica e della gomma.
Il presidente dell’Anfia e l’Unione industriale di Torino hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte per sollecitare l’adozione di incentivi statali, che favoriscano la rottamazione delle vecchie auto e la transizione verso modelli meno inquinanti. Così come già chiesto da Federauto (la federazione dei concessionari) e Unrae (rappresentante degli autoveicoli esteri), la proposta avanzata è di estendere l’ecobonus alle vetture con emissioni medie di anidride carbonica tra 61 e 95 grammi per chilometro, «allargando la platea dei beneficiari, pur restando in linea con gli obiettivi europei di graduale decarbonizzazione della mobilità», dicono.
Il parco auto italiano oggi è composto da 44,7 milioni di autoveicoli, di cui 39,5 milioni di auto. Di queste, il 32,5% (circa 13 milioni) è composto ancora da macchine ante Euro 4 e il 57% ha addirittura oltre dieci anni di vita. «Serve una seria campagna di rottamazione in modo da smuovere il mercato», dice Apetino. Un provvedimento, spiega Scudieri, «che sarebbe a costo zero per lo Stato italiano, in quanto l’incremento delle immatricolazioni genererebbe un gettito Iva maggiore del bonus per il ricambio, ocme è accaduto oltre dieci anni fa». Mentre per il rinnovo del parco auto delle imprese, la proposta è di «armonizzarsi ai parametri europei con una decontribuzione al 100% della quota Iva, laddove invece noi permettiamo solo il 40%».
Sindacati e associazioni datoriali hanno presentato un manifesto comune al governo. E la Fim ha consegnato un report sullo stato dell’industria nelle mani del ministro Patuanelli. La speranza della filiera ora è che anche l’Italia possa approvare un piano per il settore che, tra aiuti a fondo perduto, incentivi all’acquisto e alla transizione ecologica, possa avvicinarsi agli 8 miliardi stanziati da Macron.
In assenza di interventi mirati, una chiusura del mercato auto 2020 con 500-600mila unità in meno rispetto all’anno precedente determinerà un mancato gettito Iva di circa 2,5 miliardi di euro.
Il ritardo del governo italiano potrebbe essere dovuto anche all’attesa di un possibile intervento massiccio da parte della Commissione europea, che nei giorni scorsi aveva fatto circolare una bozza con aiuti da 100 miliardi per l’automotive con l’obiettivo della transizione verso l’elettrica.
Ma intanto la Francia si è portata avanti con il suo «piano storico», con sostegni all’acquisto e alla rottamazione e un fondo per modernizzare la filiera, puntando a fare del paese il primo produttore di auto pulite in Europa. La Germania, invece, sta preparando un piano di 2,5 miliardi in sussidi statali per l’acquisto di auto nuove, non solo elettriche e ibride, ma tutte quelle che emettono fino a 140 grammi di anidride carbonica. Quindi anche vetture a benzina e diesel.