Rosatismi Che cos’è questa storia del Prosecco Rosé

Dalla prossima vendemmia sarà possibile produrre anche la versione con aggiunta di Pinot nero del più popolare spumante italiano. Il trend che vede il rosato in cima alle classifiche dei vini più in crescita viene confermato anche dalla scelta della DOC tra Veneto e Friuli

Foto di Karolina Grabowska da Pixabay

Qualche giorno fa, il Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha approvato la proposta di modifica del disciplinare di produzione della DOC Prosecco che prevede l’introduzione della tipologia Rosé. Dopo la pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale italiana ed europea sarà possibile, a partire dalla prossima vendemmia, quella del 2020, produrre anche la versione rosata del più popolare spumante italiano.

Una novità non da poco, di cui si parlava da tempo e che guarda al segmento del vino in maggior movimento: globalmente, nel 2019, la richiesta di rosati è cresciuta del 16%, nel solo mercato statunitense tra gennaio 2016 e gennaio 2020 la loro quota di mercato è aumentata del 300%. In Provenza, la regione francese considerata come la casa di questa particolare tipologia, il prezzo delle uve destinate alla loro produzione è raddoppiato in appena 5 anni. Un’attenzione dimostrata anche dal leader mondiale nel settore del lusso: è del 2019 l’acquisizione da parte di LVMH (Moët Hennessy Louis Vuitton) del 55% di Château d’Esclans, celebre cantina provenzale che produce uno dei rosé più famosi al mondo, il “Whispering Angel”.

La zona del Prosecco è enorme, si tratta infatti di una delle DOC più grandi d’Italia, denominazione che comprende l’intero territorio delle province di Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza in Veneto e quelle di Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine in Friuli-Venezia Giulia. Per produrre Rosé in quest’area sarà possibile utilizzare accanto alla glera (la varietà con cui si produce il Prosecco) dal 10 al 15 per cento di pinot nero e sarà necessario riportare in etichetta l’indicazione “Millesimato”, oltre all’anno. Una zona che non va confusa con quella dove vengono prodotti i Prosecco di maggior qualità, le colline che possono fregiarsi della DOCG e dove la tipologia Rosé non è prevista: la zona di Conegliano Valdobbiadene e quella di Asolo.

Non mancano le polemiche. Da una parte chi dice si tratti di un tradimento della tradizione e del territorio, che l’identità del Prosecco è indissolubilmente legata alla sola glera, oltre al fatto che invece del pinot nero sarebbe stato più coerente usare una varietà più tipica della zona come il raboso. Dall’altra chi sostiene si tratti della certificazione ufficiale di una tipologia già esistente e ampiamente diffusa ma non classificata come DOC, oltre al fatto che nel corso dei decenni è inevitabile che le denominazioni si adeguino al mercato.

Un mondo che non è nuovo a discussioni di questo genere. Nel 2010 si decise di estendere l’area di produzione del Prosecco (il vino, in Veneto) per includere Prosecco (la piccola frazione del comune di Trieste, in Friuli-Venezia Giulia). Una mossa che in un sol colpo allargava l’area di produzione di migliaia di chilometri quadrati, utile a difenderne il nome in sede internazionale: in quel modo non si poteva più parlare di un vino/vitigno come il Sangiovese, ovunque replicabile senza alcun rischio, ma di un vino il cui nome ha una precisa identità geografica e quindi anche legislativa. Il Prosecco Rosé è una conseguenza indiretta di quella scelta, per tutelarne il nome si rese infatti meno solido il legame tra Prosecco e glera, lasciando così spazio a nuove tipologie.

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