Cosa di meglio per distrarsi un po’, per un mondo ancora sotto lo shock della prima pandemia della globalizzazione, che una notizia che sembra riportarci ai tempi d’oro dell’esplorazione spaziale? Ebbene sì, quasi dieci anni dopo il volo dell’ultima navetta, gli Stati Uniti ritrovano la capacità di lanciare i loro astronauti (e quelli dei loro “friends and allies”) dal suolo americano e su un veicolo concepito e costruito negli Usa.
In sé la notizia non dovrebbe suscitare molto scalpore. Da quando gli Stati Uniti decisero di fermare il programma “Shuttle” nel 2011 la Soyuz russa ha egregiamente coperto le necessità di trasferimento degli astronauti di tutti i paesi partner, da e per la ISS (Stazione Spaziale Internazionale). Per quasi 10 anni, quindi, gli astronauti americani (e così gli europei, i canadesi e i giapponesi) sono stati obbligati a passare da Baikonour per potersi recare sul loro luogo di lavoro e residenza per sei mesi, a 400 km in orbita intorno alla Terra.
Oggi la politica di partenariato pubblico-privato lanciata dall’Amministrazione Obama ha finalmente portato i suoi frutti: l’imprenditore Elon Musk ha sviluppato e costruito il Crew Dragon con i soldi del contribuente americano messi a disposizione dalla Nasa per SpaceX e per la sua concorrente Boeing che, con il suo Starliner, sarà l’altra società fornitrice delle missioni di trasporto spaziale verso la ISS nell’ambito del Commercial Crew Program della Nasa.
Niente privatizzazione dello spazio per il momento, anche se, specialmente per quanto riguarda Elon Musk si può facilmente immaginare come la capacità sviluppata con fondi pubblici potrà essere usata anche a scopi strettamente commerciali (per esempio con il turismo spaziale).
Gli Stati Uniti sono giustamente fieri di aver recuperato il controllo del trasporto spaziale verso l’orbita bassa e di poter mettere fine al pagamento ogni volta di decine e decine di milioni di dollari ai russi per i viaggi dei loro astronauti sulle Soyuz. Gli USA riacquistano una sovranità piena sullo spazio per quanto riguarda i voli abitati.
Ancora più di questa, un’altra notizia avrebbe dovuto richiamare l’attenzione dei media in questi giorni. Per la prima volta da sessant’anni a questa parte, si è cominciato a costruire un veicolo spaziale per portare degli astronauti sulla superficie della Luna. La concezione del modulo lunare delle missioni Apollo risale ai primi anni 60 e fino ad ora, di fronte ad un obiettivo ambizioso di ritorno sul nostro satellite, mancava ancora questo veicolo che coprisse la fase finale di “allunaggio” (mentre è quasi pronto – con il contributo Europeo – il veicolo per arrivare in orbita lunare, cioè Orion).
Poco tempo fa la NASA ha assegnato tre contratti ad altrettante ditte americane per la concezione di un modulo abitato per la superficie lunare. Questo era l’ultimo elemento che mancava per rendere credibile e realizzabile l’obiettivo ambizioso di poter tornare sulla luna (magari con la prima donna ad allunare) nel 2024, data fissata dal Vice-Presidente Mike Pence poco più di un anno fa dando un orizzonte temporale stringente alla Space Policy Directive N. 1 firmata da Trump nel 2017.
A sessant’anni dall’inizio dello sviluppo del modulo lunare (Lem) di Apollo, tre ditte – Blue Origins, Space X e Dynetics – si contendono il privilegio e la ricompensa di un contratto con la Nasa (nell’ambito del programma Artemis) per riportare gli USA sulla superficie della luna che non ha visto piedi umani dal 1972.
Tre ditte che 20 anni fa non esistevano ancora o non avevano una divisione spazio. Due di queste fanno capo a dei miliardari col pallino dello spazio, Jeff Bezos (Amazon) e il già ricordato Elon Musk, la terza, Dynetics, guida un consorzio molto ampio. Di quest’ultimo consorzio fa parte anche l’italo-francese Thales Alenia Space il cui centro di competenza in termini di infrastrutture spaziali abitate si trova a Torino.
La Nasa assegnò il contratto per lo sviluppo del Lem nel 1962 che fu effettivamente utilizzato solo nel 1969. Vedremo se il XXI secolo permetterà di sviluppare sistemi complessi nella metà del tempo che ci volle allora ma in condizioni politiche e di bilancio certamente non più favorevoli di quanto non lo fossero allora. Le recentissime dimissioni del direttore dei voli abitati della NASA, Doug Loverro, dopo solo pochi mesi in quella posizione, possono creare qualche turbolenza in un percorso con un ritmo di marcia così serrato.
L’Amministrazione Trump sembra decisa a dimostrare agli USA (2024 sarebbe la fine di un eventuale secondo mandato di D. Trump) ed al mondo che la supremazia globale passa dal ritornare a essere i primi nello spazio.
Questa volta la competizione sembra essere più con la Cina che con la Russia. Due missioni verso Marte partiranno rispettivamente dal suolo americano e da quello cinese questa estate (mentre resta al palo l’Europa la cui missione ExoMars dovrà aspettare la prossima finestra di lancio nel 2022). La costruzione della stazione spaziale cinese procede nonostante la crisi sanitaria.
Gli USA vogliono fare del loro programma Artemis (il gemello di Apollo secondo la mitologia greca e la simbologia NASA) uno strumento di alleanza proponendo – qualche giorno fa – gli “Accordi Artemis”, una serie di principi che dovrebbe regolare le attività spaziali ed in particolare il ritorno sulla luna. Secondo la logica propria della Stazione Spaziale si tratta di accordi bilaterali tra la NASA ed eventuali partners internazionali.
Se gli Accordi Artemis si rifanno giocoforza al dettato del diritto internazionale dello spazio, essi marcano anche una volontà di supremazia e di coordinamento degli Usa su altri partners. È difficile immaginare la disponibilità delle altri grandi potenze spaziali (come Russia e Cina) ad allinearsi dietro la NASA.
Non è sfuggito agli osservatori come il ruolo di Thales Alenia Space nel team di Dynetics potrebbe aprire la strada a un ruolo privilegiato per l’Italia in chiave bilaterale con gli USA nel quadro delle future missioni abitate verso la luna. Già nell’ambito degli accordi per la ISS l’Italia ha saputo agire sia sul piano Europeo (partecipando al programma ESA relativo al contributo europeo per la ISS ed integrando il Corpo Europeo degli Astronauti) sia sul piano bilaterale sviluppando per la NASA dei moduli strutturali e logistici per la ISS ed ottenendo in cambio delle opportunità di volo per astronauti italiani, ancorché integrati nel Corpo Europeo.
Seguiremo tutti con trepidazione il lancio del nuovo Crew Dragon come si fa ogni qualvolta parte un veicolo spaziale abitato.
La partita però è appena all’inizio e, ancora lontani dalla privatizzazione dello spazio, le logiche di potenza, di sovranità e di competizione geo-politica dispiegheranno ancora i loro effetti in quello che sembra essere un remake della competizione che caratterizzò la Guerra Fredda.