Dice Oscar Farinetti che, prima dell’avvento di Eataly, vicino alle mele c’era solo il prezzo. «Eataly è nata per mettersi a parlare di mele. Così chi le mangia si sente figo».
Ma per mangiarle, bisogna sbucciarle. Facile, vero? Partiamo dall’attrezzo: chi si affida al primo coltello che passa sappia che quello adatto ha la lama lunga non oltre i dieci centimetri, liscia, leggermente ricurva e ben affilata, per prelevare meno polpa possibile. In gergo tecnico, l’utensile da maneggiare con massima cautela si chiama Tournier, ideale per frutta e verdura tonda, da impugnare tenendo braccio e lama in asse come se uno fosse il prolungamento dell’altro.
La mano non dominante terrà il frutto e lo farà ruotare in senso orario verso il filo della lama. Poi sarà la volta della calotta superiore e di quella inferiore, da rimuovere appoggiando la mela su una superficie piana. Un’altra scuola di pensiero prevede l’uso del pelapatate; in questo caso il procedimento è inverso: prima si tolgono le calotte quindi si passa alla buccia, procedendo sempre verso l’esterno per maggiore sicurezza. Resta il problema del torsolo ma con il giusto utensile è questione di qualche secondo: basta inserire il cava torsolo nella cavità del picciolo, spingere verso il basso e farlo uscire dalla parte opposta.
A questo punto si aprirebbe il grande capitolo del come la affetto, capitolo che meriterebbe un servizio a sé: vi basti sapere che si possono realizzare le forme più strane, dai cigni alle rose e ritorno.
Tutto questo vale se avete tra le mani una mela diciamo così “normale” e non una cotogna, decisamente più tosta delle sue sorelle e refrattaria agli strumenti di cui sopra. Per affrontarla ad armi pari serve innanzitutto una spazzola da cucina per la peluria esterna, un pelapatate per la scorza, uno scavino per il torsolo e un grosso coltello a lama piatta per ridurre la polpa in fette o a cubetti.
Cotogne a parte, se andate di fretta o siete poco avvezzi a maneggiare utensili da taglio mettetevi comodi. Il web è popolato di aggeggi, alcuni buffi altri meno, simili a macinini che svolgono questa noiosa incombenza con grazia sopraffina. Non tutti per la verità: qualcuno ha dimostrato che l’operazione può essere svolta usando nientemeno che un trapano.
Roba da far impallidire qualsiasi esperto di bon ton secondo il quale la mela va sì sbucciata senza alcun contatto con le mani ma utilizzando la classica abbinata forchetta/coltello. Il procedimento corretto prevede che il frutto vada tagliato in quattro parti, le singole fette sbucciate quindi ridotte in pezzi più piccoli da portare uno alla volta alla bocca infilzandoli con garbo – tradotto, non da parte a parte – con i rebbi della forchetta. Le care, vecchie buone maniere.
Tutti contenti? Dipende. Una corrente di pensiero sostiene che la buccia sia sacra e non vada affatto rimossa (ovviamente se abbiamo la certezza che il frutto provenga da agricoltura biologica). E quando sulla superficie c’è la cera? Va tolta o meno? E, soprattutto, la mela resta biologica o viene contaminata? Il dubbio è lecito e ha alimentato numerose leggende metropolitane che di tanto in tanto tornano a rimbalzare in rete e sui social.
Per chiarezza, la presenza della cera non è altro che una protezione contro la disidratazione e i parassiti, non è pericolosa e non ne invalida le caratteristiche bio. Se invece non siamo sicuri della provenienza, meglio lavarla molto bene prima di addentarla. A volte il problema è un altro: consumarla in un secondo tempo, magari senza avere a portata di mano un coltello.
C’è chi ci ha pensato anche ai gourmet da passeggio e qui dimostra come affettarla e ricomporla facilmente con l’aiuto di un elastico. Così sarà perfetta per viaggiare con noi fino in capo al mondo.
A proposito di chilometri: avete mai pensato a quanta strada facciano partendo dall’albero e alle peripezie che compiono per arrivare sugli scaffali del supermercato e da lì sulle nostre tavole? Prima di lasciare il consorzio della Val Venosta, ad esempio, ciascuna mela viene fotografata ben 60 volte per poter essere indirizzata verso compagne di plateaux identiche per colore e dimensione. Un po’ di rispetto nel maneggiarle glielo dobbiamo se non altro perché si portano dietro un’aura di leggenda, da Adamo ed Eva in poi.
Pensiamo a quella che cadendo dall’albero ispirò a Newton la teoria della gravità o, più prosaicamente, a quella che, appoggiata sul tavolo e già mezza morsicata, suggerì ai fondatori della Apple il nome della loro azienda. Forse a ispirare Jobs e compagni furono i Beatles ma anche in questo caso c’entra comunque lei.
Quel che possiamo dire con sufficiente sicurezza è che la mela di Cupertino deve avere senz’altro anche la buccia perché nessuno la addenterebbe dopo averla sbucciata. Fateci caso la prossima volta che guarderete quel frutto morsicato che, tra l’altro, suggerisce anche qualcosa di molto più sottile: quel morso ha a che fare con la volontà di superare il limite, di andare oltre il consentito, come se la conoscenza fosse legata al gesto di addentare qualcosa (Jobs non è forse passato alla storia con la frase “Siate affamati, siate folli?”) con tutte le conseguenze del caso. E qui Biancaneve potrebbe dire la sua.
Sarà forse per il loro portato simbolico che le mele di tanto in tanto fanno capolino anche nel subconscio. Stando al parere di chi se ne intende, se sogniamo di raccoglierla è un buon momento, finalmente l’occasione che attendevamo è arrivata; mangiarla è il preludio di magre consolazioni ma se è marcia… porta bene!
Non tutte le mele marce vengono per nuocere si potrebbe dire aggiungendo l’ennesimo detto popolare che celebra questo frutto. Alla lunga schiera ne andrebbe aggiunto uno ad honorem: della mela non si butta via niente. Se finora avete gettato le bucce, considerandole semplici scarti, da oggi non lo farete più.
Tagliate a pezzetti e aggiunte a una qualsiasi confettura sostituiscono in tutto o in parte gli addensanti chimici; messe in forno con cannella e zucchero le bucce diventano dolcissimi snack spezzafame; disidratate e mescolate a spezie e olii essenziali diventano un potpourri a costo zero e quando esauriscono il loro generoso servizio diventano compost. E i semi? Con un po’ di pratica è possibile farli germogliare in casa e provare l’avventura di far crescere un piccolo melo domestico. Per la raccolta occorreranno anni ma con un po’ di fortuna e di pazienza ci attendono i frutti più dolci del mondo da usare, volendo, così. E allora no, non saranno semplici mele ma qualcosa di più.
Disclaimer: nessuna mela è stata maltrattata per realizzare (questa torta) questo servizio.