Triste, solitario y finalMichele Emiliano e i Cinque Stelle, storia di un amore mai corrisposto

Il presidente della Puglia non è riuscito a conquistare gli elettori del Movimento neanche dopo cinque lunghi anni di assiduo corteggiamento. La candidata grillina alle elezioni regionali chiude la porta a lui e al Partito democratico: «Sanno di perdere e vogliono addirittura dettare le condizioni: impensabile»

STR / AFP

Cinque lunghi anni di assiduo corteggiamento non sono bastati a Michele Emiliano per conquistare gli elettori del Movimento Cinque Stelle. Antonella Laricchia, candidata grillina alla presidenza della regione Puglia, ha chiuso la porta a ogni possibile accordo: mai con il Partito democratico e con Emiliano, giudicato «il peggior presidente della storia regionale pugliese». 

Non deve essere stato facile, per il governatore uscente e per i Democratici, mandare giù questo boccone amaro visto che l’ultimo tentativo per provare a stringere un’alleanza è arrivato l’altro giorno su iniziativa del segretario pugliese del Pd, Marco Lacarra. Semplice e apparentemente lineare il suo ragionamento: a Roma governiamo insieme, perché non replicare lo stesso schema in Puglia? 

«Perché – è la risposta di Antonella Laricchia – il governo regionale ha fatto molti danni, a partire da sanità e agricoltura le cui deleghe, guarda caso, sono nelle mani del presidente della Regione. Sanno di perdere e vogliono addirittura dettare le condizioni: impensabile». Capitolo chiuso. 

Eppure Emiliano ci ha provato con ogni mezzo per portare dalla sua parte il mondo grillino. Iniziò subito, appena eletto nel 2015, quando offrì ai sostenitori di Grillo e Casaleggio ben tre posti nella sua giunta. Tre consiglieri regionali appena eletti, tre donne nominate a loro insaputa, con una investitura durata qualche ora, giusto il tempo di permettere alle dirette interessate – Viviana Guarini, Rosa Barone e la stessa Antonella Laricchia – di far sapere che no, che di condividere con lui responsabilità di governo non avevano alcuna voglia: “la paura di essere controllato dalla principale forza di opposizione – scrissero in una nota – lo ha portato a compiere quello che è un atto di una violenza istituzionale inaudita nei confronti di tutti i pugliesi”. 

Nonostante questo clamoroso rifiuto, Emiliano non si è dato per vinto e ha continuato con il suo stile e le sue scelte nella missione di «istituzionalizzare il populismo» (parole sue, intervista rilasciata al Corriere della Sera, 28 febbraio 2020). I risultati di questa incessante opera di convincimento si conosceranno tra qualche mese e precisamente quando i pugliesi si recheranno alle urne per rinnovare il consiglio regionale e decidere quindi se confermarlo o mandarlo a casa. 

Legittimato da primarie che non hanno suscitato particolari entusiasmi, Emiliano arriva all’appuntamento elettorale di settembre forte del sostegno del Partito democratico e di altre liste dal peso elettorale tutto da verificare. 

Sarà dunque sfidato da Antonella Laricchia del Movimento 5 Stelle e da Raffaele Fitto che guiderà il centrodestra (si attende solo l’ufficialità della candidatura a meno di smentite dell’ultima ora). Dovrà fare a meno certamente anche di Carlo Calenda e quasi sicuramente dell’apporto dei renziani. È di qualche giorno fa il tweet del leader di Azione che sbarra la strada ad ogni ripensamento: «Caro Michele Emiliano io sono quello “al soldo delle lobby del gas e del carbone”. Come puoi pensare di chiedere un’alleanza? D’altra parte tu sei quello di Tap, Xylella, e Ilva e io davvero non riesco a pensare a nessuno peggiore di te per governare qualsiasi cosa». 

Non è stata da meno la ministra Teresa Bellanova, punto di riferimento di Matteo Renzi in terra pugliese, quando durante un incontro di Italia Viva aveva spiegato che «quando diciamo no a Emiliano, diciamo no alla demagogia, no al trasformismo e no al peggior notabilitato meridionale». Se queste sono le premesse, è davvero difficile immaginare una ricomposizione dello schieramento progressista. Qualche dirigente ci spera ancora, facendo leva sempre sull’alleanza che tiene in piedi Giuseppe Conte, ma più che di speranze si parla ormai di miracolo. E i miracoli, in politica, avvengono molto raramente. 

Anche nel rapporto con i corpi intermedi, Emiliano non se la passa poi tanto bene. Durante un incontro con lo stato maggiore dei sindacati pugliesi, convocato lunedì scorso per affrontare la complicatissima vertenza dello stabilimento siderurgico di Taranto, con Arcelor Mittal pronta a fare le valigie, Emiliano si è lamentato di una sorta di isolamento, facendo esplicito riferimento alle severe critiche che puntualmente gli piovono addosso da parte di Carlo Calenda e Marco Bentivogli, il segretario dei metalmeccanici della Cisl. Critiche a suo parere immeritate. 

I sindacati – conferma a Linkiesta uno dei partecipanti alla conference call –  non solo non si sono scomposti ma hanno fatto notare a Emiliano che il giorno dello sciopero dei lavoratori del siderurgico, il 10 giugno, lui era sì a Taranto per firmare, insieme al sindaco Rinaldo Melucci, lo Statuto dei Giochi del Mediterraneo che si terranno nel capoluogo ionico nel 2026, invece di partecipare alla manifestazione di protesta degli operai.

Caduta nel vuoto anche la richiesta di sottoscrivere un documento congiunto con cui proprio Cgil, Cisl e Uil avrebbero dovuto chiedere al presidente del Consiglio Conte, tra le altre cose, di convocare anche la Regione Puglia al tavolo di confronto tra Arcelor Mittal e sindacati. Non siamo noi – gli è stato risposto con garbata freddezza – che facciamo le convocazioni. 

Intanto, ammoniscono proprio i rappresentanti dei lavoratori, in Puglia sta per scoppiare una bomba sociale. Con il sempre più probabile disimpegno di Arcelor Mittal, tra diretti e indiretti i posti di lavoro a rischio sono non meno di cinquemila. 

A settembre del 2018 Luigi Di Maio dichiarò di aver risolto in tre mesi la vertenza Ilva dopo che in campagna elettorale aveva di fatto promesso, insieme a tutto il movimento Cinque Stelle, la chiusura del sito industriale. Il principio di realtà ci dice che nessuno dei due propositi si è avverato. E così ora, tra chi invoca la statalizzazione dello stabilimento siderurgico e chi scommette ancora sulla decarbonizzazione, una soluzione positiva alla vertenza sembra sempre più lontana. 

Le elezioni regionali si avvicinano, più che di sparate demagogiche è tempo di bilanci e di rendicontazione.

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