Lo dicono le statistiche nazionali ed internazionali, lo dicono importanti autorità istituzionali, lo sanno le famiglie e ne sono consapevoli loro stessi. La pandemia è destinata ad aggravare le disuguaglianze tra generazioni e a peggiorare le condizioni dei giovani, anche perché si tratta della seconda crisi che si è abbattuta su di loro in meno di vent’anni.
«Il problema di un bambino di 3 anni non è quello di un uomo di 30 anni, ma sia quel bambino sia quell’uomo sono oggi in Italia i perdenti del “sistema”. Prima della crisi Covid il tasso di povertà assoluta in Italia era tra i minorenni tre volte quello degli ultra 65enni. Il 12% contro il 4%. Negli ultimi quindici anni gli ultra65enni sono passati dall’essere la classe di età che aveva più poveri a quella che ne ha oggi di meno. Dunque al di là della retorica mainstream, il problema della povertà è innanzitutto un problema dei bambini e dei ragazzi, non degli anziani».
Emma Bonino è da poco sbarcata su Instagram: l’intento, con i giovani, non è solo di intercettarli, ma di coinvolgerli.
«Cari ragazzi, mettetevi scomodi», dice nel suo primo post. Perché no, la ricostruzione dopo la pandemia non li sta prevedendo, e invece dovrebbe, eccome.
«Quando è iniziata la legislatura l’Italia era già, a parte la Grecia, il Paese che spendeva di più in pensioni rispetto al Pil», spiega Bonino a Linkiesta. «E il Governo giallo-verde ha varato come prima legge “quota cento”, cioè ha deciso di aumentare la spesa pensionistica di 63 miliardi per i successivi 18 anni per mandare in pensione anticipata qualche centinaio di migliaio di 62enni, in larghissima misura occupati e tutt’altro che poveri. Quando sono arrivati al governo i giallo-rossi, hanno subito confermato questa legge. Anzi il “nuovo” Governo si è costituito giurando che non l’avrebbe toccata».
Quello dell’ignorare i giovani è un problema che in Italia dura da tempo. Ma se il coronavirus porterà il paese ad una recessione, d’altro canto avrebbe potuto (e potrebbe ancora) rappresentare un’opportunità per fare tabula rasa di alcune debolezze strutturali che hanno caratterizzato il sistema in questi anni e porre le fondamenta per un futuro veramente solido, e dal respiro lungo.
Non sta succedendo. «Dal punto di vista socio-economico, questo governo sta facendo l’errore – sempre che sia solo un errore in buona fede – di promettere a tutti interventi salvavita, quando è evidente e pacifico che si può assistere chi non ce la fa solo se la società nel suo complesso ce la fa.
Su questo punto si continuano a rimuovere psicologicamente una serie di debolezze croniche, che si continuano a addebitare a responsabili “esterni” al circuito della politica nazionale. Ma la bassa produttività, l’inefficienza della Pubblica amministrazione e della giustizia, il sotto-finanziamento del sistema dell’istruzione, il crollo degli investimenti pubblici (e si potrebbe continuare) hanno solo cause nazionali», dice la senatrice.
Certo, per uscire dalla crisi nell’immediato «alcuni interventi, quelli di sostegno al reddito per i lavoratori in lockdown, erano inevitabili», dice Bonino. Ma «di quelli necessari per ripartire non solo dopo il Covid, ma dopo venti anni di continuo e implacabile declino, non se ne vede l’ombra».
È questa la motivazione che la spinge a rivolgersi ai giovani: «Non è vero che andrà tutto bene, se non invertiremo radicalmente la rotta», racconta.
«Dico da tempo – devo dire senza troppo successo – che mi piacerebbe vedere una Greta o un Greto del debito pubblico, che prenda a cuore la questione ineludibile della prigione finanziaria in cui la generazione dei padri ha rinchiuso quella dei figli», dice la senatrice. «I giovani non usciranno dalla crisi se l’Italia non fermerà il proprio declino e questo non avverrà fino a che continuerà a vincere l’idea che la crescita non è un problema, perché i soldi se non ci sono, si stampano».
Ma se da un lato la scarsa lungimiranza di una classe politica ha affossato le opportunità delle ultime generazioni, è anche vero che da tempo loro stessi sono diventati apatici e disinteressati a ciò che succede nel mondo. «Chi semina antipolitica non si può sorprendere di essere preso sul serio e di vedere la politica disertata in termini di interesse, passione e partecipazione», commenta Bonino. «Poi è indubbio che oggi il modo di “fare politica” è cambiato, non è più rigidamente intermediato da partiti o organizzazioni formali. Ma è proprio il “fare politica” in sé che è disprezzato. Ormai anche i politici, per farsi ascoltare, devono dire che non fanno discorsi politici. Una cosa patetica».
Eppure, in giro per il mondo, a Hong Kong, in Libano e ora anche negli Stati Uniti, ondate di proteste vedono i giovani in prima linea. «Le opzioni ci sono, e se non ci sono si possono inventare. Per fare un esempio remoto, la Lega Italiana per il divorzio non esisteva e qualcuno l’ha fatta, per avere il divorzio», suggerisce la senatrice, paladina della lotta per i diritti femminili. I partiti, in fondo, non sono un’opzione obbligatoria per nessuno, ma bisogna stare in guardia: «Una democrazia senza partiti, anzi una democrazia contro i partiti, come viene propagandata dagli apprendisti stregoni del M5S, è solo un incubo totalitario», dice Bonino.
Nella lotta per il diritto al futuro dei giovani, dovrebbe esserci spazio più di tutti per le ragazze. Se la loro generazione è quella che più ha patito in passato e più patirà le conseguenze delle crisi, sono le giovani donne a vivere le disuguaglianze più nette. Sono le più istruite e spesso le più qualificate, eppure ancora lontane dall’uguaglianza in termini di stipendio e di posizioni apicali. E ora il coronavirus rischia di farle retrocedere ancora di più.
Bonino aveva trent’anni quando si autodenunciò per procurato aborto: è stata una delle battaglie che l’hanno più contraddistinta, sfociata nella legge del 1978. «Vengo da una storia politica, quella radicale, in cui non esistevano sezioni giovanili e femminili, ma che ha promosso leadership di giovani e donne senza paragoni con gli altri partiti italiani. Le battaglie femminili e giovanili sono legate nel senso che la promozione dei diritti è possibile solo attraverso l’assunzione di un impegno diretto di responsabilità e partecipazione politica. La legalizzazione dell’aborto in Italia è stata possibile non perché qualcuno, dall’esterno, ha riconosciuto questo diritto, ma perché le donne hanno smesso di accettare che venisse loro negato».