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“Come Vienna piange e ride” ce lo racconta un film tedesco del 1927. Introvabile, quanto ormai inutile per capire la città. Perché qualche tempo dopo ci è tornato un americano, e come Vienna piange e ride è diventato chiaro a tutti. Richard Linklater cercava in realtà una città tedesca. Ma difficile sarebbe immaginare location diversa per il suo “Prima dell’alba” (1995). Perché senza Vienna, Celine (Judy Delpy) e Jesse (Ethan Hawke) non sarebbero la coppia più bella del cinema moderno.
All’inizio del film, Jesse, un americano datosi all’eurotour, si prepara a scendere alla stazione Westbahnof. «Scendi con me, scopriamo la città assieme» butta lì alla ragazza francese conosciuta in viaggio. Celine allunga la mano. Inizia così “Prima dell’alba”. Con un arrivo in città e l’inizio di un amore. Come le due cose si incrocino è magia. Perché come Vienna piange e ride è come piangono e ridono Celine e Jesse.
Dopo avere chiacchierato per ore sul treno, scoprono di non essersi ancora presentati. Coi piedi su Vienna pronunciano i propri nomi. «Piacere Celine», e cominciano a camminare. Un attimo dopo sono sul ponte Zollamtssteg. 4 km dalla stazione. Un’ora di cammino. Linklater crea una geografia immaginaria. Una Vienna ideale.
«Bel ponte», afferma Jesse. Ma nessuno dei due guarda la città. Schiacciati da giardini e palazzi barocchi si trovano stretti l’uno all’altro. Quello che li cattura sono gli incontri. Quei «viennesi simpatici» che convinsero Linklater a scegliere Vienna. I primi due sono teatranti allo sbando. «Cosa vi aspettavate di trovare qui?» chiedono alla coppia di stranieri. La domanda cade nel vuoto. Ma la risposta è nelle immagini.
Si trascinano oltre, discutono di grandi e piccole questioni, svelandosi assieme alla città. A ogni strada una domanda. Si ritrovano a Maria Theresien Platz, nell’abbraccio tra Naturhistorisches Museum e Kunsthirosishes Museum. Hanno fretta, la Red Tram viennese li aspetta. Ma se fossero entrati nel museo con la più grande collezione di Bruegel d’Europa, avrebbero incontrato Johann e Anne. Li avrebbero colti in qualche riflessione sull’arte e la vita. Sarebbero però entrati in un altro film, “Museum Hours” (2012).
Con “Prima dell’alba” condivide Vienna come atmosfera. Lui una guardia di sicurezza, lei una canadese di mezza età. In “Museum Hours” esplorano la città attraverso l’arte. Si passa dai monumenti ai quadri, attraverso il racconto di Johann. Un Cicerone stanco. Quella diretta da Jem Cohen non è la storia d’amore tra giovani ventenni. “Museum Hours” racconta un’età lenta. Meno pronta ai grandi gesti e ai treni abbandonati.
Ne deriva una Vienna diversa, innevata perché «la primavera è a Parigi». Ripararsi dalla nebbia e dal suggestivo grigiore li porta a Seegrotte. Il lago sotterraneo più grande d’Europa svela il lato onirico di un film da contemplare.
D’altronde Vienna è la “City of dreams” secondo un musical degli anni ’50. E infatti all’Albertina Balcony Jesse guarda Celine e confessa di sentirsi «in un mondo di sogni». Lei lo bacia con il Wiener Staatsoper sullo sfondo. Il più celebre teatro di Vienna. Non è il loro primo bacio. Dato invece in un luogo ancor più iconico: la gigantesca ruota panoramica al Prater di Vienna. Dove 46 anni prima un capriccioso e statuario Orson Welles interpretò il cattivo del noir europeo “Il terzo uomo” (1949).
Non tutti i film hanno un museo a loro dedicato. “Il Terzo Uomo” sì, proprio nel centro di Vienna. Basta lasciarsi alla spalle Naschmarkt e svoltare a destra. Al suo interno un proiettore del 1936 riproduce il film. Anche in questo caso Vienna non era la prima scelta. Allo scrittore Graham Greene si chiese «una storia nel cuore oscuro del continente: Vienna o Roma». Quando la figlia del Lord Montagu d’Austria lo portò alla ruota si convinse della prima. Carol Reed diresse “Il Terzo Uomo” nelle strade del dopoguerra viennese. Il noir, genere americano, sembrò rinascere tra le macerie di un’Europa «un po’ bombardata».
La vista di Vienna apre il film, colta dall’ultimo piano di un palazzo a Praterstrasse 1. Anche Orson Welles se ne innamorò, ma non abbastanza da scendere nelle sue fogne. La famosa scena di inseguimento sotterraneo è tra le poche girate in studio. Tutto il resto è Vienna, notturna e obliqua. Capovolta in inquadrature che piegano gli edifici. Palazzo Pallavicini al numero 5 di Josefsplatz (ancora bellissimo) ospita il misterioso amico del protagonista. La facciata classicista sorretta da due cariatidi sembra rovesciarsi.
Quando Orson Welles appare – atteso come solo anni dopo sarà Marlon Brando nel finale di “Apocalypse Now” – è Vienna a proiettarlo. Appoggiato al numero 8 di Schreyvogelgasse viene illuminato da una finestra aperta dall’altro lato della strada. Ma dopo che Vienna diventa cinema, viene abbandonata. Perché le fogne sono gli Shepperton Studios.
Di Vienne simulate è pieno il cinema. Un caso eclatante è “Amadeus” (1984), di Miloš Forman. Mozart ha avuto il suo film perfetto, ma a Praga. Meno costosa e «comunque bellissima». Ogni palazzo che fa da sfondo al pianista si finge Vienna. Così per quasi tutti i grandi personaggi austriaci portati sul grande schermo, da Schiele a Freud. Fa eccezione un musicista, ma perché eccezionale è anche il suo regista. Hitchock in quella “Vienna di Strauss” diretta nel 1934. La sua Vienna è diversa da tutte le altre, anche se fatta in studio. Una ricca rete di strade trafficate da personaggi stravaganti.
Qui, trombettieri, ricchi uomini e dame si incrociano sullo sfondo di un conflitto musicale. Strauss Jr vuole dimostrare al padre il proprio valore. Nasce così “Sul bel Danubio blu”. Anche se «il Danubio non è mai stato blu in vita sua». Vienna insegnò a Hitchcock (anni prima di Hollywood) a trasformare la musica in movimento.
Nessuna città poteva farlo meglio. In una scena Strauss compone osservando il viavai di un panificio. La musica è Vienna, e viaggia per le strade. E infatti Celine e Jesse un attimo “prima dell’alba” si fermano a sentirla. Su una stradina a poca distanza da Schwarzenberg park ballano al suono improvviso di un arpicordo.
Il cinema a Vienna è musica. In un noir come “Il Terzo Uomo” la cetra (strumento con cui risuona il tema chiave del film) è protagonista. Il successo del film produsse un boom di vendite dello strumento.
“Prima dell’alba” si apre invece sull’overture di un’operetta, mentre il treno avvicina Vienna. Quando invece Jesse e Celine si devono salutare, Linklater sceglie una sonata. Una composizione per solisti. I due si dividono, e Vienna riappare come unico legame. Si riavvolge la pellicola. Riattraversiamo la città senza di loro. Ma con una promessa: «tra sei mesi qui, au revoir».