Non bastavano gli attacchi dei vari Gandolfini, Amato, Pillon, Adinolfi, De Mari alla proposta di legge contro l’omotransfobia in nome di un presunto reato d’opinione da sventare.
Non bastava che ad agitare ieri il medesimo argomento fosse il vescovo di Ventimiglia-Sanremo, Antonio Suetta, già noto per il suo ruolo di economo diocesano e rettore del seminario di Albenga durante il controverso episcopato di Mario Olivieri.
Oggi l’ennesimo non licet, e di peso, è arrivato dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana attraverso il comunicato dal titolo assertivamente inequivocabile Omofobia, non serve una legge.
Per quanto ammorbidito, secondo sottigliezze curiali degne di miglior causa, dalla premessa in caratteri più piccoli I vescovi contro ogni discriminazione.
Ad affermare quest’ultimo concetto, di fatto poi successivamente smentito, le parole di Francesco: «Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde» con cui si apre la nota odierna, che sembra richiamare nei toni quella tristemente nota del 27 aprile contro l’originario piano di Palazzo Chigi sulla celebrazione delle messe con il popolo (poi sconfessato giorni dopo da Papa Francesco e dallo stesso presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, con un controcomunicato).
E infatti, dopo il preambolo di condanna «di ogni tipo di razzismo o di esclusione come pure ogni reazione violenta» e delle «discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale» in quanto «violazione della dignità umana», ecco l’affondo contro la legge.
E, per giunta, con le stesse motivazioni e armamentario lessicale, messe in campo nelle ultime settimane dai menzionati esponenti della galassia cattodestrorsa e antibergogliana dei pro life e pro family.
«Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio.
Questa consapevolezza ci porta a guardare con preoccupazione alle proposte di legge attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia: anche per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni.
Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte.
Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso.
Crediamo fermamente che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona.
Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto. Nella misura in cui tale dialogo avviene nella libertà, ne trarranno beneficio tanto il rispetto della persona quanto la democraticità del Paese».
Eppure, al di là di non pochi aspetti critici, due soprattutto sollevano interrogativi e non da poco.
Il primo è relativo al fatto che la presidenza della Cei abbia espresso perplessità e obiezioni senza conoscere il testo unificato, che sarà depositato solo il 16 giugno e la cui discussione in Aula della Camera è stata calendarizzata per il mese di luglio. Quindi ante praevisa demerita, per usare un’espressione nota ai tunicati.
Il secondo, invece, alla paventata introduzione del reato d’opinione, che non si configurerà affatto come ribadito da numerosi giuristi auditi in Commissione Giustizia e come ribadito dallo stesso relatore della legge Alessandro Zan nel corso di un’intervista del 6 giugno.
Infatti il testo unificato prevede che l’articolo 604 bis del Codice penale (che recepisce il disposto della legge Mancino) non sarà esteso alle discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere per quanto riguarda la fattispecie della propaganda delle idee, che resterà circoscritta alla «superiorità o all’odio razziale o etnico».
«La legge interviene invece – così Zan nell’intervista – sull’istigazione e sul compimento di atti discriminatori e violenti, che sono due fattispecie ben distinte, e non va in nessun modo a pregiudicare la libertà di espressione. Va precisato, in ogni caso, che la libertà di espressione non è un principio di per sé assoluto. Ma, come ricordato da diverse sentenze, trova i suoi limiti nella necessità di proteggere altri beni di rilievo costituzionale come la dignità delle persone e la loro pari dignità sociale. Chiamare, ad esempio, una persona “f****o di m***a” non può certamente essere inteso come libertà d’espressione. Perciò le varie polemiche su questo tema appaiono del tutto pretestuose e strumentali».
Per farla in breve, si potrà continuare a insegnare quanto dice il Catechismo in materia di omosessualità o citare letteralisticamente passi biblici di condanna al riguardo o ritenere «che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura –» senza essere sottoposti a processo penale.
Se si pensa che lo stesso esempio relativo alla famiglia era stato fatto il 26 maggio in audizione da Gianfranco Amato, presidente dell’associazione Giuristi per la Vita e organizzatore con Povia delle conferenze-concerto contro la presunta deriva omosessualista, se ne può ancora una volta evincere non solo quanto certi martellanti anatematismi dei reazionari abbiano un loro peso sull’episcopato ma quanto sia ancora influente lo zoccolo duro wojtyłiano e ratzingeriano in seno alla stessa Conferenza episcopale italiana.
Alla quale ha risposto in tarda mattinata proprio lo stesso Zan col dire: «Sorprendono le critiche della presidenza Cei alla legge contro l’omotransfobia, il cui testo unificato ancora non è stato depositato e su cui stiamo ancora lavorando. Lo ripeto per l’ennesima volta a scanso di fraintendimenti: Non verrà esteso all’orientamento sessuale e all’identità di genere il reato di “propaganda di idee” come oggi è previsto dall’art. 604 bis del codice penale per l’odio etnico e razziale. Dunque nessuna limitazione della libertà di espressione o censura o bavaglio come ho sentito dire in questi giorni a sproposito.
Il testo base contro l’omotransfobia che tra pochi giorni verrà adottato in Commissione Giustizia della Camera interviene sui reati di istigazione a commettere atti discriminatori o violenti e sul compimento di quei medesimi atti per condotte motivate dal genere, dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Ed estende ai reati comuni commessi per le stesse ragioni l’aggravante prevista dall’articolo 604-ter. Nulla di più, ma neanche nulla di meno».
Anche ad Alessandra Maiorino, vicecapogruppo M5s al Senato e prima firmataria di un progetto di legge contro l’omotransfobia, «dispiace che la Conferenza Episcopale Italiana abbia voluto esprimersi su un testo di legge che ancora non conosce, dato che ci stiamo ancora lavorando con le diverse forze di maggioranza, e si presti quindi involontariamente a fare da cassa di risonanza a posizioni di intolleranza e di odio che non giovano al Paese.
Rilevo peraltro – così al nostro giornale – che la posizione espressa dalla Cei, ossia che in Italia non ci sarebbe bisogno di una legge, è ormai piuttosto mai isolata, essendosi espressi invece in senso contrario sia il presidente della Repubblica, che il presidente Conte. Misure di tutela delle persone Lgbti sono in vigore in tutta Europa e oltre. L’Italia non solo ne ha bisogno, ma sconta un forte ritardo.
Qui non si vuole negare il diritto di parola a nessuno, piuttosto si vuole riaffermare il diritto costituzionalmente sancito a non essere discriminati per tutti i cittadini e le cittadine, indipendentemente dal loro modo di essere».
A Linkiesta il sottosegretario agli Affari esteri e alla Cooperazione internazionale, Ivan Scalfarotto, che nella scorsa legislatura aveva presentato un progetto di legge in materia di contrasto all’omotrasfobia e che ha poi ripresentato all’inizio di quella vigente (testo il cui abbinamento è stato disposto dalla Commissione Giustizia), ha invece commentato: «Stiamo rivedendo il medesimo film del 2013: una levata di scudi preventiva contro una legge che ha il solo difetto di costituire una barriera contro l’odio e l’intolleranza. All’epoca gli autori di questi attacchi l’ebbero vinta non per la forza dei loro argomenti, ma per un assist che ricevettero dall’esterno in modo del tutto inopinato: quello che consentì loro di unire di fatto la loro voce a quella di chi – per motivi opposti, ritenendola troppo blanda – pure si schierò contro l’approvazione della legge. Speriamo che questa volta non accada e che le divisioni tra chi questa legge, a ragione, richiede a viva voce non siano un regalo per chi non tiene in conto né le ragioni del rispetto né quelle della civiltà».
Per Nicola Fratoianni, portavoce nazionale di Sinistra Italiana, che pur ha detto di aver pubblicamente apprezzato in questi anni difficili, «da non credente, posizioni coraggiose e controcorrente dei vescovi italiani» resta totalmente irricevibile la nota odiena della Cei.
«L’unica deriva liberticida che conosco – ha concluso – è quella sempre più aggressiva nei confronti di persone che vengono ferite nella loro dignità. Una legge contro questa barbarie è necessaria ed urgente. Bisogna farla». Voci critiche anche dal mondo dell’associazionismo Lgbti come GayLib e Arcigay Nazionale.